Mercoledì 26 ottobre le attiviste e gli attivisti del Gridas di Scampia sono stati ricevuti dall’assessore comunale al bilancio Baretta. Già disattese le promesse dei mesi scorsi, il comune di Napoli ha fatto una seconda proposta di permuta all’Acer (Agenzia campana per l’edilizia residenziale), perché il centro sociale di via Monte Rosa passi al patrimonio comunale. In ogni caso, ancora nulla di fatto (da dodici anni ormai). Dopo la condanna del marzo scorso, l’udienza d’appello è stata rimandata al 7 febbraio 2023.
Due facce di sole con occhi di colori diversi. Sono mosaici fatti da Felice Pignataro con materiali riciclati su via Baku, nei pressi della ex-masseria dove abitava con la moglie Mirella La Magna, proprio all’ingresso del rione Scampia. Dall’altro lato della strada, il carcere di Secondigliano. Prima di salire a casa di Mirella e Felice, Martina, una dei loro tre figli, mi mostra il cortile dell’edificio. Ci sono tracce di un passato recente in cui la costruzione dei lotti di edilizia pubblica era solo all’inizio e Scampia, allora Secondigliano, area nord di Napoli, era aperta campagna. Nella parte centrale del cortile, noto dei vecchi forni delle pizze, architetture in mattoni di tufo e laterizi. Li vogliono togliere per far posto a parcheggi per le auto, dice Martina. Rimangono anche alcuni alberi da frutta. Quando Mirella La Magna racconta la storia del Gridas, Gruppo risveglio dal sonno, associazione culturale fondata da lei, Felice Pignataro, Franco Vicario e altri nel 1981, fa spesso riferimento agli anni precedenti, fine anni Sessanta, inizio Settanta. Sempre insieme a Felice, aveva dato vita alla “Scuola 128”, prima nelle baracche del campo Arar di Poggioreale e poi nel rione Ises di Secondigliano, uno dei lotti della 167. Dopo l’assegnazione delle case ai baraccati di Poggioreale, Mirella e Felice avevano seguito gli assegnatari nel nuovo insediamento di Secondigliano. Un precedente nucleo di edilizia residenziale pubblica, quello dell’Ina-Casa, era stato realizzato sul finire degli anni Cinquanta per sopperire all’esigenza abitativa del dopoguerra. Poi sono arrivate le lottizzazioni di edilizia economica e popolare definite dalla legge 167 e dal piano Pser post-terremoto. Al contrario della pianificazione successiva, il rione costruito con l’Ina-Casa, il Monte Rosa, era stato concepito bene, racconta Mirella, sia dal punto di vista architettonico che dell’organizzazione funzionale e sociale. Aveva servizi, scuole, negozi e addirittura, sempre previsto da piano, un edificio da destinare a centro sociale. E proprio in questo edificio il Gridas ha poi portato avanti la sua attività.
Saliamo le scale della ex-masseria dirette all’appartamento dove vive Mirella. Lungo le pareti e per tutta l’altezza della palazzina, ci sono murales di Felice. “Felice & Mirella Luca Martina Giovanna”. Scritta bianca sulla porta rossa. Entriamo scendendo qualche gradino. La prima stanza è il soggiorno-laboratorio di Felice. Al centro, un tavolo da lavoro con libri e attrezzi. Dovunque alle pareti, librerie costruite da Felice colme di libri. Anche il soppalco in legno, che cinge buona parte del perimetro della stanza, è stato realizzato da lui. L’ambiente successivo è anch’esso soppalcato, il soffitto dipinto. Sedendoci a tavola, osservo la scala a chiocciola. I gradini sono in legno recuperato da tavole da ponte con sopra linoleum verde. Di due verdi diversi, uno più chiaro e uno più scuro. Felice li dispose alternati in modo che potessero essere distinti tra loro. Mentre mangiamo, continuiamo a parlare della casa e della trasformazione del quartiere.
Qualche giorno prima, a ventuno anni delle giornate di Genova, avevo saputo della partecipazione del Gridas alle proteste del 2001 e avevo chiesto a Mirella e Martina di parlarmi di quell’esperienza. Il loro racconto comincia dal ’94, anno del G7 di Napoli. Felice aveva avuto la possibilità di dipingere alcuni murales in giro per Napoli e provincia in occasione di un contro-vertice, i “murales anti-G7 del Gridas”. Mirella e Martina descrivono i murales indicando una serie di cartoline su cui sono ritratti. “La nave dei sette pazzi”, realizzato all’esterno dell’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi a calata Capodichino, area in quel periodo sottoposta a controllo serrato. Il murale fu oscurato con una carta bianca, quella che si usa per coprire le affissioni abusive, poi rimossa da Felice, Mirella e Martina in una sera in cui la città era impegnata a guardare una partita di calcio in televisione. Continuiamo a sfogliare le cartoline. “La casa è un diritto”, al rione Gescal di Acerra. “Dove corre il mondo?”, in una scuola di Secondigliano. Ce ne sono altri ma ci soffermiamo su “Il treno delle disgrazie”, dipinto a via Cinthia a Fuorigrotta nei giorni in cui si teneva il vertice. «Ci sequestrarono lo striscione – dice Mirella – e ci portarono in questura, a me e Felice, per accertare di chi fosse il muro». Poterono poi tornare a completare il murale sotto il controllo di un poliziotto della Digos piuttosto disorientato rispetto alle denunce sulla condizione femminile espresse in alcune parti del murale.
Parliamo della grande mobilitazione contro il Global Forum Ocse sul digital divide del marzo 2001. Le “quattro giornate” di Napoli che portarono in Italia la scena internazionale di contestazione alla globalizzazione neoliberista e in cui fu anticipata rispetto a Genova la violenza inaudita da parte della polizia su chi manifestava. Raccontano del contributo del Gridas nella messa in scena di luglio. Una grande sfilata composta da otto cortei capeggiati da rispettivi mascheroni, gli otto potenti del G8, realizzati secondo la tecnica delle maschere del Carnevale. Partiti dai diversi quartieri di Napoli, si ritrovarono a piazza del Gesù per spartirsi una grande torta globale. Stessi mascheroni rimasti poi a Genova in una delle due scuole, la Diaz o l’adiacente Pascoli. A Genova, a Punta Vagno, Felice, insieme a studenti e studentesse dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, dipinse due murales, uno sotto corso Italia, dove il corteo di sabato 21 fu caricato dalla polizia e investito da una nube fittissima di lacrimogeni, e l’altro, qualche metro più in là, ai piedi della rampa che conduce ai Giardini Govi, dove si teneva il Genoa Social Forum. Quando il sabato mattina partirono le cariche della polizia a piazzale Kennedy, vicino corso Italia, Felice doveva ancora ultimare il murale della rampa. «Se non finiva, lui non mollava, quindi stava dipingendo tranquillo, quando cominciarono le cariche della polizia. Dal cielo elicotteri, dal mare gommoni, la polizia con i lacrimogeni, la gente impazzita che scappava. Salivano sulla nostra scala per saltare nei Giardini. Arrivavano i lacrimogeni, c’era un fumo tremendo». Felice terminò il murale, ma Martina, che partecipava con la rete Lilliput al corteo, intanto caricato dalla polizia, non riuscì a raggiungere Punta Vagno per fotografarlo.
I murales di Felice sono opera corale del Gridas e di tutte le persone che insieme a lui, dipingendo sui muri l’idea di una società diversa, hanno immaginato l’alternativa possibile e iniziato una pratica pacifica di rivendicazione di spazi e diritti negati. Così come pratica ironica di spazializzazione del dissenso è il Carnevale Sociale, festa di piazza che rende manifesta una denuncia sociale, prefigurando il riscatto dall’oppressione quotidiana. «Ha un valore enorme – ribadisce Mirella –, rivoluzionario, perché è quella festa in cui le persone immaginano per un giorno come potrebbe essere il mondo alla rovescia. Dice tutto quello che la gente non ha, tutto quello che la gente subisce». Il Gridas ha cominciato questa pratica, che si è poi diffusa in tutti i quartieri della città, attraversando lo spazio pubblico negato di Scampia, riappropriandosene e ripubblicizzandolo.
Di recente, con l’ironia che lo caratterizza, il Gridas ha portato in piazza Municipio, sotto Palazzo San Giacomo, una Festa-Protesta per festeggiare i suoi quarantuno anni di attività e per ribadire che “Il Gridas Non Si Tocca!”. Dopo dodici anni di battaglie, lo scorso marzo, la comunità del Gridas è stata dichiarata occupante abusiva e condannata da sentenza civile a lasciare l’edificio e pagare le spese processuali, che intanto continuano a lievitare, arrivando oggi a circa sedicimila euro. Nei fatti, uno dei primi e più resistenti presidi sociali e culturali di Napoli è sotto sgombero. Martedì 18 ottobre scorso, era prevista la prima udienza del processo d’appello, fissata in seguito al ricorso presentato dal Gridas. L’udienza è stata però rimandata al prossimo 7 febbraio 2023, qualche giorno prima del quarantunesimo corteo di carnevale di Scampia, che si terrà domenica 19 febbraio. L’avvocato del Gridas ha richiesto che sia fissata anche una seduta specifica per la discussione di una sospensiva della condanna.
Alcuni mesi fa, questa volta al centro sociale del Monte Rosa, in un pomeriggio di venerdì, giorno della settimana in cui il Gridas si riunisce in assemblea pubblica, Mirella e Martina mi avevano spiegato l’intricata e lunghissima vicenda giudiziaria sull’uso di quell’edificio. Quando fondano l’associazione, Mirella e Felice cominciano a utilizzare alcuni ambienti abbandonati del centro sociale. Gli altri locali hanno visto susseguirsi nel tempo gli utilizzi più svariati da parte di persone diverse. «Noi non abbiamo mai occupato questi locali, mai. Abbiamo chiesto al comitato assegnatari, che si riuniva qui periodicamente, se potevamo, due volte a settimana, dalle cinque alle sette, usare il salone per riunioni. E abbiamo avuto il permesso. Questo era un centro sociale, quindi fin dall’inizio non si è mai posto il problema di un pagamento, quello che adesso ci viene richiesto».
Mirella ricorda che già all’inizio degli anni Novanta si cominciava a vociferare che dovessero lasciare l’edificio a causa di un progetto di ristrutturazione. Scoprirono allora che l’edificio appartiene allo Iacp, Istituto autonomo per le case popolari, oggi Acer, ente della regione Campania. Di fronte a una loro prima sollecitazione per capire come poteva essere regolarizzata la situazione, l’autorità regionale dell’epoca rassicurava che potevano proseguire con le loro attività.
Passano anni, Felice ristruttura parte del piano superiore e il Gridas si fa carico di moltissimi interventi di manutenzione, in alcuni casi anche straordinaria, dell’edificio. Il Gridas sollecita ulteriormente per provare a chiarire la vicenda, ma di nuovo viene risposto che il problema non sussiste. «Nel 2005 iniziarono gli accertamenti della polizia giudiziaria – dice Martina –, a cui è seguita nel 2010 una prima lettera. C’era una trattativa in atto, ma ci arrivò un’ingiunzione di sgombero nel giugno 2010. Partì una mobilitazione nazionale».
Martina, ricordando la cronologia della vicenda, parla anche del ruolo di intermediazione assunto dal comune di Napoli tra Iacp e Gridas, allora amministrazione Iervolino, poi de Magistris. L’ingiunzione viene bloccata e nel settembre 2010 inizia un primo tavolo tecnico con lo Iacp per individuare un immobile di proprietà comunale che possa servire ad avviare una permuta tra Regione e Comune. «Si scoprì che la documentazione era vecchia e che l’immobile non era accatastato. Fummo noi a spiegare allo Iacp lo stato attuale dell’immobile. Non furono in grado di dare un valore a questo immobile, non potendo, quindi, procedere con la permuta. Si sono susseguiti negli anni sopralluoghi nella struttura, sia da parte dello Iacp che del Comune. La situazione è rimasta tale». Il processo penale iniziato a dicembre 2010 si conclude a novembre 2013 con un’assoluzione, oltre che con il riconoscimento del valore sociale del Gridas a Scampia, nonché del lavoro di manutenzione sull’edificio.
Nel 2015 arriva la citazione per il processo civile e durante gli anni successivi proseguono le ricerche dell’immobile permutabile nell’ambito del patrimonio comunale. A settembre 2017 parte il processo civile, conclusosi a ottobre 2020. La sentenza arriva a marzo 2022 con la condanna di “occupazione senza titolo dell’immobile”. Martina sottolinea le molte lacune su cui è stata costruita l’accusa. Tra queste, l’aver perseguito il processo a carico di Mirella, che non è, come nello stesso processo riconosciuto, rappresentante legale del Gridas. La sentenza non è stata ancora notificata proprio perché, non esistendo rappresentante legale, non si sa a chi debba essere indirizzata. E ancora, la condanna riguarda un’occupazione dell’immobile che non è mai avvenuta, ma soprattutto il Gridas non ha mai utilizzato l’intero edificio. Inoltre, sempre a ottobre 2020, il Comune emette una delibera con cui intende iniziare delle procedure di verifica della proprietà dell’immobile, essendo emerso durante il processo un documento che attesterebbe che il suolo su cui è stato costruito l’edificio sia di proprietà comunale. Insomma, si arriva al paradosso per cui non si riesce neanche ad accertare la proprietà dell’edificio.
A marzo, il Gridas ha chiesto di incontrare il nuovo sindaco di Napoli, terzo in carica nei dodici anni di vicenda giudiziaria. E-mail, pec, e addirittura lettera aperta inviata da San Ghetto Martire per il Gridas. Tutte ignorate. Il santo protettore di tutte le periferie del mondo e di “tutti i derelitti del libero mercato”, è un carro allegorico creato dal Gridas nel 2005, sul finire della faida di Scampia. Nella lettera, il santo di cartapesta denuncia svendita e gestione privatistica dei beni immobiliari e culturali pubblici, previste nelle nuove politiche urbane, e rivendica l’operato gratuito e di lunga data del Gridas. Finalmente, a maggio, sono concessi incontri con l’assessora all’urbanistica Lieto e l’assessore al bilancio Baretta. Promesse, ma nulla di fatto. A luglio, il Gridas sollecita nuovamente il Comune nel tentativo di far partire un tavolo tecnico tra la nuova amministrazione e l’ente regionale. In cambio riceve un altro incontro con Baretta e una certa attenzione mediatica. “Tutto risolto”, si è detto, l’immobile per la permuta è stato individuato e la questione del centro sociale è risolta. Ma a quanto pare l’Acer non si è trovato d’accordo sull’edificio indicato dal Comune. Mercoledì scorso c’è stato un ulteriore incontro, in cui Baretta ha comunicato al Gridas l’individuazione di un altro edificio proposto in permuta all’Acer, che non si è ancora espresso. Se questa volta la permuta dovesse riuscire, si dovrà poi capire se il Comune pretenderà il pagamento di un fitto. Intanto, si attende, ma c’è da fare i conti con l’udienza di febbraio.
Di recente, intanto, Scampia ha avuto i riflettori puntati per due “grandi eventi”. Il primo, il concertone Red Bull fatto proprio a piazza Ciro Esposito, fu piazza Grandi Eventi. Fortemente voluto da questa amministrazione, che punta tutto sulla strategia dell’attrazione dei grandi investimenti internazionali e privati, il concerto sponsorizzato dal colosso austriaco si è tenuto con il brand Vele sullo sfondo delle locandine pubblicitarie e la piazza transennata e (in)accessibile su prenotazione e pagamento del biglietto. L’altro, l’inaugurazione della sede universitaria di medicina della Federico II. Tutte le realtà del territorio, al contrario del primo evento, hanno accolto positivamente questo momento, atteso però da quasi vent’anni. Da quando, al posto della Vela H abbattuta nel 2003, è stato realizzato l’edificio. Infatti, non hanno mancato di ricordare alle istituzioni in parata inaugurale che quell’università è il risultato di una lunga lotta collettiva. Così come lo sono le numerosissime pratiche sociali e culturali che quotidianamente sono realizzate nel quartiere, dimenticato se non per i grandi eventi e le pianificazioni urbane fuori scala umana.
Il Gridas, da più di quarant’anni, è parte fondamentale del processo di trasformazione dal basso e riscatto di questa parte di città e, in verità, della città tutta. La sua sede storica è un punto di riferimento per il quartiere e conserva alcune delle irripetibili opere di Felice Pignataro, scomparso nel 2004. «Chiediamo che questo resti un centro sociale e che sia garantito l’utilizzo di questa struttura a tutti, com’è stato garantito da noi fino a ora. Si vuole cacciare il Gridas, ma per fare cosa? L’alternativa qual è? In un quartiere dormitorio senza servizi, senza spazi aggregativi, che gli unici luoghi già previsti come spazi sociali, siano chiusi è delirante, disarmante. Chiediamo che ci lascino lavorare, gratuitamente, come abbiamo sempre fatto». (maria reitano)
NOTE
1. Qui è possibile vedere le riprese che testimoniano la realizzazione nel 2001 dei murales del Gridas a Genova.
2. Su Produzioni dal Basso e durante tutte le iniziative del Gridas si può partecipare alla coproduzione popolare per sostenere le spese processuali insieme al Gridas.