Nisha aveva solo quarantuno anni, troppo pochi per lasciare la sua famiglia, con cui si era trasferito dallo Sri Lanka. Nisha è morto giovedì 24 ottobre 2019, investito dal suo stesso furgone mentre operava come driver di Bartolini nella provincia di Verona. Probabilmente non ha tirato il freno a mano, dopo aver fermato il furgone in salita. La dinamica è ancora incerta. La sua morte si unisce a quella degli oltre milleduecento lavoratori venuti a mancare dall’inizio dell’anno (compresi morti sulle strade e in itinere), documentati dall’Osservatorio indipendente di Bologna sui morti sul lavoro. Nisha era anche un iscritto di Adl Cobas, sindacato di base da anni operante sul territorio veronese, tra i più attivi nel settore della logistica, che nel tempo è riuscito ad aprire molte contraddizioni in quel “modello veneto” che spesso la politica ha indicato come punto di riferimento nazionale. In realtà, il Veneto è tra le regioni con il più alto numero di morti sul lavoro e Verona guida la classifica regionale, assestandosi anche sul podio nazionale con quindici persone morte dall’inizio dell’anno.
Non bastano le parole di Luca Zaia per far fronte a questo dramma quotidiano. Era il maggio 2018 quando di fronte all’ennesimo incidente mortale, il governatore veneto denunciava la gravità del fenomeno e annunciava la necessità di un “piano di azione sistematico e coordinato, da condividere a ogni livello, tra istituzioni pubbliche e servizi, sindacati, associazioni datoriali e di categoria, autonomie locali”. Le soluzioni abbozzate erano troppo vaghe per poter produrre risultati. Non basta aumentare i controlli o gli ispettori, va posta al centro la qualità del lavoro, come hanno rivendicato i sindacati di base in sciopero il 25 ottobre. La morte di Nisha ripropone questo tema: bisogna tenere conto di quanto sfruttano al lavoro, quanto costringono a viaggiare ogni mattina e ogni sera, che turni fanno fare, quanto presto fanno svegliare, quante cose non si riescono a fare perché il turno di lavoro dura troppo. Tutti fattori che incidono sulla reattività e la concentrazione dei lavoratori. A Verona sono state almeno due le manifestazioni per denunciare questa situazione, organizzate dai sindacati confederali nel 2018 dopo alcuni incidenti mortali nel settore metalmeccanico. In piazza i sindacati denunciavano che “vi è sempre più spesso l’allungamento dell’orario di lavoro e l’intensificazione dei ritmi, il tutto a scapito della sicurezza e dell’incolumità dei lavoratori”.
Negli ultimi anni la ricerca della produttività ruba sempre più spazio alla qualità del lavoro e i “doveri” dei lavoratori assumono sempre più rilevanza rispetto ai loro diritti. Il venir meno del sindacato come punto di riferimento attraverso cui far valere le proprie rivendicazioni, o anche solo denunciare le cattive condizioni di lavoro, ha spalancato le porte a uno sfruttamento sempre più intenso. Le mobilitazioni nel mondo della logistica e dei trasporti promosse dai sindacati di base (Adl Cobas, Si Cobas e Usb, in particolare) hanno rotto il vaso di pandora, portando alla luce un sommerso fatto di basse paghe, contratti irregolari, ritmi di lavoro frenetici, mobbing anti-sindacale.
Nisha si era iscritto al sindacato da pochi mesi, e i suoi turni si assestavano ancora ben oltre le otto ore giornaliere. La sua morte pone al centro del dibattito un’ulteriore questione: mentre nei corsi di formazione alla sicurezza insegnano la precisione di ogni movimento, per non sforzare la schiena, evitare cadute o piccoli incidenti, nella realtà i ritmi richiesti, in questo caso da Bartolini, producono le tragedie cui sempre più spesso assistiamo. Dove gli infortuni vengono nascosti dagli stessi dipendenti per non perdere il posto, la morte di un lavoratore rende visibile un’emergenza sociale che la politica ha scelto di ignorare. In dodici anni di monitoraggio l’Osservatorio bolognese ha segnalato diciassettemila vittime, una strage che non può lasciare indifferenti. Ma questo non interessa la politica e meno ancora i datori di lavoro.
A dieci giorni dalla morte di Nisha, Bartolini non ha ancora dato risposte, quelle che la sua famiglia e i suoi compagni di lavoro pretendono. Bartolini avrebbe il dovere di rispondere immediatamente con un sostegno alla famiglia del suo ex dipendente; subito dopo dovrebbe rendere conto agli altri suoi lavoratori, come sottolinea Roberto Malesani, coordinatore di Adl Cobas nella provincia di Verona: serve risolvere in tempi rapidi la questione degli orari di lavoro, rispondere affinché i ritmi siano compatibili con i carichi richiesti, non rimandare oltre il problema. Qualora l’azienda non rispondesse a queste richieste, è certo che i compagni di Nisha, come già annunciato, non continueranno a stare in silenzio. (oreste veronesi)