Dall’edizione napoletana di Repubblica dell’8 aprile 2011
A molti napoletani sembra congeniale credersi sempre sull’orlo del baratro e così anche gli intellettuali, o se vogliamo i cittadini attivi aderenti a questo o quel circolo di affinità, si riuniscono di questi tempi sotto l’insegna di un qualche urgente imperativo e discutono animatamente sulle sorti della città, a quanto pare agonizzante. Gli incontri si concludono con generici appelli a “fare rete” e a non perdersi di vista, ma gli intenti costruttivi sono in realtà secondari e tutto si riduce, una volta travasata l’enfasi della convocazione in qualche titolo di giornale, in una vetrina autoreferenziale in cui vengono esposte per qualche ora le benemerenze e le buone intenzioni dei partecipanti, accanto alle severe critiche a chi detiene il potere politico ed economico (e di questi tempi, tra bassolinismo calante e centrodestra arrembante, si va sul sicuro).
Eppure, non si può negare che da questi contesti emergano anche alcune tra le esperienze più apprezzabili nei campi della cultura o dell’impegno sociale, tanto che gli stessi promotori finiscono per smentire le premesse apocalittiche da cui hanno preso le mosse. Napoli, vista da questa altezza, è tutt’altro che immobile, o in attesa, o sul punto di morte. E nemmeno si possono dire immeritati i numerosi vituperi che, in queste occasioni, vengono affibbiati ai governanti di ogni colore.
Quel che resta sullo sfondo, talvolta per pigrizia ma anche per non ammettere compromessi o tentativi falliti, è la questione di come sia possibile influire concretamente sulle scelte di chi detiene il potere, indicando modelli virtuosi, procedure trasparenti, direzioni di marcia da intraprendere con decisione che siano valide per l’intera comunità e non rispondano solo all’interesse di pochi. Ci sembra questo il nodo centrale e non risolto del rapporto tra governanti da un lato e cittadini propositivi dall’altro, soprattutto quando questi tendono a uscire da consessi più ristretti per farsi quantitativamente rilevanti nelle strade e nelle piazze.
Se alle critiche degli intellettuali chi detiene il potere reagisce di solito con una alzata di spalle o altrimenti cercando di cooptarli, la cronaca recente ci consegna altre esperienze, a volte conflittuali altre volte collaborative ma sempre destinate a scontrarsi con l’impermeabilità della classe politica, con la sua lontananza dalle istanze provenienti dalla parte più dinamica della società, con la sua praticaccia finalizzata solo ed esclusivamente alla conservazione delle leve del comando.
Prendiamo il caso dei comitati che si battono per un ciclo integrato dei rifiuti che recepisca finalmente le direttive europee e metta al bando la nociva istituzione di discariche e inceneritori nella nostra regione, privilegiando la raccolta differenziata, la riduzione e il riciclo. Decine di comitati, dislocati in tutto il territorio cittadino e provinciale, protagonisti per anni di movimenti d’opinione che non si sono espressi solo nella protesta di piazza, ma anche attraverso la documentazione, l’analisi, la produzione di saperi e conoscenze intorno alla questione dello smaltimento dei rifiuti. Ed ecco che appena qualche giorno fa l’amministrazione regionale licenzia una bozza di piano rifiuti che prevede nuove discariche e altri tre inceneritori oltre a quello di Acerra, con previsioni di raccolta differenziata che, dopo anni di inerzia, hanno buone probabilità di restare una sequenza di numeri sulla carta. Nessuna consultazione, nessun dialogo con i comitati. Come dire, per noi le vostre parole e le vostre azioni non contano nulla.
Passando dalla dimensione collettiva a quella individuale, ecco la vicenda dell’economista Riccardo Realfonzo, raccontata in prima persona nel libro di recente uscita per le edizioni Pironti, dal titolo “‘Robin Hood’ a palazzo San Giacomo”. In questo caso, nemmeno l’opportunità di entrare nel ristretto circolo dove si prendono le decisioni, e con un ruolo preponderante come quello di assessore, risulta sufficiente a consolidare una prassi riformatrice dei conti pubblici. L’esperienza del ben intenzionato professore, infatti, si conclude con le dimissioni.
Realfonzo, ex assessore al bilancio del comune di Napoli nel corso del 2009, descrive il suo anno a palazzo San Giacomo senza risparmiarci i dettagli più imbarazzanti: il sindaco Iervolino che rimaneggia con le proprie mani il curriculum di un raccomandato per renderlo accettabile; il boicottaggio ostinato che il vicesindaco Santangelo riserva a ogni tentativo di rendere trasparenti le pratiche degli amministratori delle aziende partecipate; la leggerezza con cui l’assessore alla cultura Oddati tiene in considerazione i debiti fuori bilancio che ammontano ormai a decine di milioni di euro. E così via.
Non sono racconti che sorprendono, in fin dei conti i risultati di un tale operare sono sotto gli occhi di tutti, ma al termine della lettura, accanto a un sentimento di scoramento, non può che riproporsi la domanda: come è possibile che a partire da un mandato elettivo si possa stabilire una gestione delle risorse pubbliche in così poche mani e così sfacciatamente indifferente al bene comune? A dispetto di tante denunce e resoconti che da anni ormai sono a disposizione dell’opinione pubblica, come è possibile che tutto continui immutabile, come si può scalfire questa opaca cortina dall’apparenza tanto ottusa e infrangibile?
Nella campagna elettorale alle porte, la parola “partecipazione” campeggerà come sempre in bella mostra nei programmi e nei discorsi di tutti i candidati. I cittadini che andranno alle urne faranno bene a porsi queste domande, prima e dopo il voto, ma soprattutto a impegnarsi nel cercare risposte più efficaci di quelle messe in campo finora, affinché l’opzione di un giorno non ci consegni per cinque anni in balia della solita oligarchia, di destra o di sinistra che sia. (luca rossomando)