Circa tremila persone hanno sfilato stamattina da piazza Garibaldi fino a piazza del Plebiscito. Meno partecipanti rispetto all’anno scorso, soprattutto sul versante degli italiani, commentano in molti. «Ma la notizia non è questa», precisa il palestinese Omar; uno degli obiettivi del corteo che denuncia il “razzismo di stato” delle leggi che regolano l’entrata e la regolarizzazione degli stranieri in Italia era l’incontro con il prefetto, «che per la terza volta nel giro di due mesi ha rifiutato di incontrarci». Oltre alle rivendicazioni condivise a livello nazionale e internazionale, a Napoli la protesta riguardava infatti anche alcuni problemi specifici che continuano ad essere ignorati dalle autorità locali. «Primo: in molte altre città italiane è già stata recepita la direttiva europea sui rimpatri, che impedisce che i migranti che hanno avuto il foglio di via possano essere arrestati come fossero criminali; ma a Napoli non se ne parla», spiega Jamal Qaddorah, responsabile immigrazione per la Cgil Campania. «Secondo: ci sono ancora settemila permessi di soggiorno bloccati da sei mesi nella provincia di Napoli, anche perchè le comunicazioni arrivano ai datori di lavoro, che spesso non si presentano; terzo: la questione rom non può continuare a essere affrontata solo a colpi di sgomberi o di soluzoni che ancora una volta non puntano all’integrazione con il resto della città».
Anche a Napoli la giornata è stata dedicata a Nourredine Adnane, il ragazzo marocchino che si è dato fuoco due settimane fa a Palermo, e a Raul, Fernando, Patrizia e Sabatino, i quattro bambini rom morti nel rogo di un campo a Roma ai primi di febbraio. Molti striscioni ricordavano anche le rivolte di queste settimane in Egitto, Tunisia, Yemen e Libia, spesso con slogan che suonano più che altro come auspici: “Il vento del sud sta arrivando anche qui!”. Ma ognuno dei partecipanti al corteo ha le sue solide e personali motivazioni. «Sono qui contro il razzismo», dice Zacaria del Burkina Faso, «non mi danno i documenti perchè non vogliono che stiamo qui, è un anno che aspetto»; come lui moltissimi sono in attesa da mesi di essere riconosciuti come rifugiati politici, o di avere un permesso di lavoro. «Senza documenti non esisti, non puoi avere un lavoro decente, non puoi fare un contratto di affitto, per l’Italia siamo fantasmi», dice Giara, originaria del Senegal. «Il problema», aggiunge Murshed, del Bangladesh, «è che è difficilissimo per chi arriva cominciare a entrare nei meccanismi del lavoro qui e fare qualsiasi cosa, ti ostacolano in tutto». Anche il test di italiano per richiedere il permesso di lungo soggiorno, dice Svitlana Hryhorchuk dell’Unione sindacale di base, «è una presa in giro: se la lingua è diventata un’obbligo la prefettura dovrebbe organizzare anche i corsi e garantire che tutti possano seguirli».
In mattinata un gruppo di attivisti antirazzisti aveva temporaneamente occupato gli uffici dell’ispettorato del lavoro per denunciare la pericolosità del lavoro in nero e la mancanza di sicurezza con cui convivono tutti i lavoratori clandestini – uno sfruttamento che “rende ancora più precario anche il lavoro degli italiani!”, ricorda un ragazzo al megafono. (viola sarnelli / foto daniele d’ari)
Ascolta qui la puntata dedicata da Passpartù alla giornata di protesta dei migranti.
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