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3 Febbraio 2012

Inward e i burocrati del writing

Cyop e Kaf
(archivio disegni napolimonitor)

Gennaio è tempo di buoni propositi. Ci siamo detti: “Interveniamo più spesso sul giornale, recensiamo le iniziative culturali, senza lasciarci deprimere dall’inconsistenza diffusa di larga parte della produzione artistica cittadina”. È il caso, ahinoi, di una mostra nella quale siamo inciampati nella sala espositiva della Biblioteca Nazionale, a Palazzo Reale. Visivamente era organizzata così: delle tele, con graffiti in miniatura contornati di tappini di bombolette, pennelli, rulli (tutti mai usati, pura scenografia), vecchie lettere di piombo erano sotto teca, in orizzontale. Un elogio alle lettere, una in particolare.

Si tratta, in breve, della sintesi di un progetto avuto luogo a Salerno, sulle facciate di una mastodontica impresa tipografica che inizia con la B. Funziona così: l’azienda commissiona a Inward, una sorta di agenzia interinale per graffitisti, un dipinto sui propri capannoni. L’Adecco della creatività urbana sceglie nove graffitisti che dovranno interpretare, secondo la loro sensibilità, la lettera B. Il tutto con tute da lavoro, occhiali, caschetti gialli, insomma, in piena legalità. Legalità che, scopriamo da uno degli interventi del catalogo (distribuito gratuitamente visto che la committenza è una tipografia) fa il pari con la professionalità e, quest’ultima, libera dalle incertezze dell’improvvisazione e dall’approssimazione proprie del dilettantismo. Come dire che Blu, o Erica il cane, che disegnano con pennelli attaccati a mazze attaccate ad altre mazze sono dei dilettanti. Ma l’improvvisazione – viene da chiedersi – è un difetto o una virtù dell’arte urbana?

I testi dunque, ma oseremmo dire, tutto il progetto Inward, ha un solo taciuto obiettivo: la carriera e il prestigio dei suoi fondatori. Ce lo confermano loro scrivendo, uno, diciamo come gli eruditi provinciali delle prime pagine de “Il lavoro culturale” di Bianciardi, l’altro, autoesaltando il lavoro di organizzazione burocratica e di sottrazione del writing all’illegalità e al dilettantismo come abbiamo già detto sopra. Ma, soprattutto, ce lo conferma la scarsa attenzione per le opere. Nel catalogo si parla di tutto: della scrittura e delle lettere, dagli egizi in poi, di strategie aziendali, biografie, psicogenesi dell’alfabeto, muralismo e quant’altro, ma mai delle opere.

Un po’ perché effettivamente sono inconsistenti, ma soprattutto perché la selezione a monte degli artisti sembra essere funzionale alla minore messa in ombra dei reali protagonisti degli eventi targati Inward: Luca Borriello e Salvatore Velotti. Quest’osservatorio della creatività urbana si prefigge, in definitiva, l’obiettivo di promuovere i graffiti in quanto tali, o meglio, una certa idea dei graffiti, dove sostituire un writer a un altro cambia poco o nulla. L’importante è che tutto quanto c’è da gestire in materia passi per la meticolosa direzione e supervisione, “otticamente corretta”, del duo in questione.

In altre pagine del catalogo si cerca affannosamente di esaltare l’Alephactory, pseudofucina artistica, laboratorio creativo messo su ad hoc per mimare la cooperazione, anche a dispetto delle immagini che parlano chiaro: ciascun artista invitato, magari accoppiato su base regionale, ha fatto il suo lavoro accuratamente separato dagli altri da una spessa riga bianca.

Il progetto, visto dalla committenza, è ovviamente pura propaganda e, sullo stesso tono, il testo in catalogo di Borriello, partendo da molto lontano, solo verso la fine si rivela per lo spot che è: “Aziende, enti, industrie, associazioni, comunità civili che, in ordine ai propri eventuali desideri di lavoro creativo a mezzo graffiti – riqualificazioni partecipate, produzioni commerciali, animazioni territoriali o comunicazioni visive – incarichino ACU (associazioni per la creatività urbana, ndr) allo scopo, così prediligendo un’estetica etica e il buono del bello, è come se impiegassero creativi urbani con ‘certificazione di qualità’: opere vincolate alle sole superfici autorizzate, direttiva europea DPI per i respiratori di protezione, il PIMUS obbligatorio per le murate più grandi, il CER 150111 per lo smaltimento speciale delle bombolette usate”.

Qualcuno fa carriera con l’antimafia, qualcuno con la partecipazione, chi con entrambe. A ciascuno il suo, direbbe qualcuno. Dunque, bando all’imprevisto e al caos che da sempre, fortunatamente diciamo noi, regnano su questa terra. (cyop&kaf)

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