dal numero 45 di Napoli Monitor, gennaio 2012
Partiamo dalla fine. Il protagonista dell’ultimo romanzo di Domenico Starnone – Autobiografia erotica di Aristide Gambìa, Einaudi, 2011, 20 euro – insegue per le vie di Sorrento una giovane donna che se ne va in giro apparentemente nuda. In realtà i suoi jeans hanno sulla loro parte posteriore un trompe-l’oeil che rivela quanto nasconde. Sembra essere questa l’estrema sintesi di quanto fin qui ha vissuto l’Italia contemporanea, fino al recentissimo e forse solo apparente crollo del suo capo, l’uomo-fallo Silvio Berlusconi. Mostrarsi fino al punto che la pelle nuda si rivesta di finzione.
Che questa donna viva la sua vera nudità come simulazione di simulazione? Se ne rende conto? Sono queste alcune delle domande che, ormai settantenne, si pone Aristide, piccolo borghese colto, editore, che nell’arco delle quattrocento e più pagine del libro ci racconta o ci fa raccontare, ora con una lingua “oscena” ora con la saggezza di un uomo che si è lasciato alle spalle il desiderio, l’inarrestabile trasformazione dei costumi avvenuta in Italia dal dopoguerra a oggi.
Se Gambìa inizia il suo lavoro di scavo nella memoria, liberandosi dal freno che la lingua italiana per lui rappresenta e facendo largo uso di un dialetto tosto, è perché una misteriosa donna, anch’essa di origine napoletana, con la quale ha avuto una fulminea avventura trent’anni prima, gli scrive una disinibita lettera cercando di incontrarlo per rievocare quanto accaduto. Lo fanno risalendo le nebbie dei ricordi e le bugie dei silenzi. Quando si lasciano, lei diventa la destinataria di piccoli quaderni dove il protagonista comincia ad appuntare frammenti della sua vita erotica e sentimentale: mogli, amanti, figli, successi e fallimenti, trionfi e miserie del pene, che con i suoi su e giù, si fa sintesi estrema della caducità della vita.
C’è l’infanzia negli anni Quaranta, con gli sguardi rubati alle gambe di sua madre. Un’educazione sentimentale di stampo meridionale che ha vietato e vieta ai figli maschi di considerare le donne non più del blocco unico culo-fessa-zizze, pena la fama di “ricchione”. Attraverso le avventure sessuali vissute tra i Sessanta e i Settanta scopriamo tic e nevrosi di quanti allora si imponevano, spesso senza reggerne il peso, una “liberazione sessuale” che, malvissuta, è degenerata nel tempo, portandoci a quel gioco di specchi e pixel che oggi ci è così torbidamente familiare.
“Ma quando – le domande che si fa Starnone sono molte ma questa sembra essere una delle più importanti – lo strappare tabù e il volersi nudi contro l’ipocrisia che nega il piacere cingendolo di cordoni polizieschi è diventato il più robusto degli abiti, un nuovo travestimento delle fragilità e delle angosce, perfino una più ferma richiesta di polizia?”. Di penetrazione in penetrazione si finirà per scoprire che lo stesso romanzo non è altro che il desiderio di un libro che vuole entrare in un altro libro. Starnone ci porta dietro le quinte del suo meticoloso lavoro di scrittura.
Questo modo di fare narrativa sembra rientrare in un filone recente che va da Coetzee a Siti passando per Roth o Auster, ossia quel modo di scrivere che lascia nell’impalcatura del romanzo uno spazio al suo autore e alla sua premura di svelarci meccanismi e ragioni che lo hanno messo all’opera. Da un lato, forse, sfiducia latente nella letteratura, dall’altro un tentativo di ridarle forza e verità mostrandone l’artificio. Come se si volesse sottolineare che solo nella finzione dichiarata sia possibile rintracciare ancora brandelli di verità e sguardo capace di raccontarci la mutazione che stiamo subendo.
Ultimo appunto. Michel Foucault, scrivendo di Magritte – che dei trompe-l’oeil fu distruttore – ci ricordava che “la somiglianza ha un ‘padrone’, un elemento originario che ordina e gerarchizza partendo da se stesso tutte le copie sempre più sbiadite che è possibile trarne”. Nell’Italia di oggi – viene da chiedersi – qual è la matrice, quale il padrone? Che imitazione stiamo imitando? Facciamo l’amore con lo sguardo rivolto ai film porno che abbiamo visto poco prima in rete? Siamo null’altro che un popolo di allodole impazzite e complici in un lugubre gioco di specchi? (cyop&kaf)