Quest’estate che volge al termine verrà ricordata in Campania come una stagione di fuochi. L’estate dei roghi di rifiuti nelle campagne e degli incendi – dolosi e accidentali, ma tutti largamente prevedibili – a impianti di stoccaggio di ecoballe militarizzati e in discariche presidiate. Una stagione infinita di puzza acida e cieli neri per gli abitanti delle provincie tra Napoli e Caserta, dove la crisi dei rifiuti non è mai finita, e ha anzi creato e messo a regime un sistema economico-criminale dalle molte diramazioni, che trovano qui il terminale stabilito per lo smaltimento illegale degli scarti industriali, tossici e pericolosi della nazione. Nello stesso periodo, si è anche assistito al riemergere della partecipazione popolare, all’insorgere pacifico e informato dei comitati cittadini, i quali hanno preso in carico ancora una volta tutte le insolvenze delle istituzioni e si sono spesi nel portare all’attenzione il disastro ambientale e sanitario voluto in queste terre.
Un’apocalisse minimizzata dalle massime cariche dello stato, ministri della salute e dell’ambiente in testa, non raccontata dai quotidiani e dai telegiornali, sempre dirottata quando per il clamore di un singolo evento si sono spese in qualche parola le cariche istituzionali, raccomandando inceneritori, gassificatori e altre torce pseudo moderne come soluzione. Ciò che è accaduto lo si è potuto leggere sulle testate virtuali e cartacee dell’informazione locale e nei social network animati dagli attivisti, mentre a livello nazionale solo Avvenire ha raccontato la terra dei fuochi in una lunga serie di reportage. La degenerazione dei luoghi e delle genti, la trasformazione dello spazio regionale in cloaca dello sviluppo, incorporata nei processi economici come depositaria delle scorie, è ancora oggi l’attualità di una parte consistente della Campania. Doveva arrivare una televisione tedesca, la Das Erste, importante come la nostra Rai Uno, per dare visibilità internazionale all’impegno dei comitati e allo stato di incuria del territorio. E se qualcuno ora solleverà accuse di allarmismo agli attivisti, incolpandoli di compromettere il turismo locale e la vendita di mozzarelle all’estero, è solo perché non ha mai camminato tra le strade poderali di Caivano, Afragola, Pomigliano, Acerra, Marcianise…
Campagne terra di nessuno, nonostante i campi coltivati, i frutteti, gli allevamenti – testimonianza residuale di una vocazione produttiva che fu agricola. Oggi resta solo uno spazio svuotato, una zona da riempire all’occorrenza di cemento, impianti inquinanti e dei sinistri scarti industriali che fiamme dolose provvedono a tramutare in cenere e fumi tossici, così da nascondere le prove e fare spazio al prossimo scarico. Nell’incolto abbandonato, nella cava di padroni compiacenti, ai margini delle stradine dell’agro profondo, tra i confini dei comuni. Una condizione sistemica: il ruolo affidato alle campagne dell’agro nolano e aversano di essere discarica in un ciclo produttivo dove i costi del trattamento degli scarti vengono elusi attraverso la distruzione e l’interramento abusivi. Fatti ricadere sulle condizioni ambientali e sugli abitanti dei paesi da più di dieci anni.
La mobilitazione questa volta ha preso le mosse da una parrocchia sulla linea del fronte, a Caivano, dove il parroco don Maurizio Patriciello ha convocato da luglio diverse assemblee, invitando a partecipare membri del clero, giornalisti, medici e tutti i cittadini interessati, così da sollecitare una reazione misurata alle dimensioni del disastro in corso. Non c’è voluto molto perché da questi incontri emergesse un gruppo coeso, formato da nuovi attivisti e da associazioni del territorio impegnate da anni nelle lotte ambientali, riuniti ora nel Coordinamento comitati fuochi. A cura del coordinamento, nei comuni della piana campana è in corso una raccolta di firme che continuerà per tutto il mese di settembre, e che sfocerà in una denuncia collettiva per omissione di tutela della salute pubblica a carico di amministratori locali e nazionali.
Nuclei di privati cittadini, supportati dalle parrocchie di Pomigliano, Arzano, Nola e altre, tentano di coinvolgere le comunità d’appartenenza, richiamano i sindaci alle loro responsabilità ed esplorano strade cittadine e poderali per censire le zone di scarico, i roghi recenti e le criticità ambientali più evidenti. I membri del coordinamento si avvalgono dell’uso di piattaforme virtuali per mettere in circolo esposti, denunce e comunicati; internet è piegato all’uso di centrale operativa per l’organizzazione delle azioni e per la creazione di archivi di foto e mappe dei roghi. La comunicazione è in presa diretta, e le immagini caricate seguono di pochi minuti l’avvistamento dei fuochi. Niente è lasciato intentato. Si è consapevoli della necessità di fornire una base scientifica forte alle denunce di inquinamento ambientale, da qui la proposta di analisi di massa in centri tossicologici per accertare la presenza di inquinanti all’interno dei corpi e inquadrare giuridicamente il problema nella categoria di “danno all’incolumità pubblica”. Un’ulteriore iniziativa è l’organizzazione di ronde di vigilanza ambientale: privati cittadini che supportano l’attività delle forze di polizia nel pattugliare le campagne, armati di telefoni cellulare, macchine fotografiche e pettorine di riconoscimento.
A osservare attentamente la mobilitazione in corso risulta chiaro come si siano incontrate due tendenze esacerbate da anni di compromissione ecologica: da un lato, l’esasperazione di abitanti sottoposti a carichi ambientali sempre più massici e incontrollati sui propri territori; dall’altro, le molte stagioni di lotta succedutesi in Campania, che hanno formato attivisti preparati alle azioni da intraprendere e informati sulle dinamiche economiche e criminali lineari con la distruzione che avanza. Ciò comporta, per l’ennesima volta, lo strutturarsi di una resistenza attiva, che mette in discussione i discorsi ufficiali e l’azione delle istituzioni. Nel momento in cui il potere costituito viene meno al suo ruolo di tutore dell’igiene sociale, o si dimostra attivo nel deteriorarla, ecco che la delega di cui esso gode si incrina irreparabilmente. Il cittadino delegittima il potere a seguito della constatazione che esso è incapace, o peggio colpevole. Diventa allora necessario ricostruire i fatti, esplorare il territorio, agire autonomamente per fermare il deragliamento.
Il sentimento imperante nella terra dei fuochi è la paura, una paura biologica, di contaminazione e malattia, a lungo termine, invisibile e vecchia di anni. Questa paura ha ora basi solide, maturate dall’esperienza e supportate da esperti non compromessi con il potere. È in corso una battaglia di conoscenza, di quale sia la versione legittima del rapporto tra inquinamento del territorio e deterioramento dei corpi. Sedicenti luminari come Donato Greco e Umberto Veronesi continuano a blandire i campani per il loro stile di vita, escludendo connessioni tra aumento dei tumori e rifiuti tossici seppelliti e bruciati ovunque, ma a rispondergli nello stesso campo della scienza ci sono ora i Medici per l’Ambiente, i ricercatori Alberto Giordano e Stefano Montanari, l’oncologo Antonio Marfella. Una narrazione conflittuale è attinta e diffusa da chi prende parte alla lotta, e a partire da questa vengono riformulate responsabilità e soluzioni. Non è più sufficiente il “lasciate fare a noi” delle voci dello stato, gli attivisti conoscono il problema e le contromisure anche meglio degli amministratori. Dal loro quadro generale, risulta chiaro che i roghi fanno parte di un sistema a cui è stato lasciato il diritto di radicarsi. Gli scarti posti dove le vite sono considerate di scarto è il risultato di un progetto che mira a spremere ricchezza nel modo distorto dello sfruttamento. Ora che il comitato inonderà le procure con centinaia di migliaia di firme forse alcuni politici, per convenienza, cavalcheranno l’onda delle proteste. Ma non si torna indietro, un altro tassello, dopo le lotte contro inceneritori e discariche, si è aggiunto alla consapevolezza degli abitanti campani. Da qui, il passo verso la determinazione dei nessi che intercorrono tra forme dello sviluppo, salubrità ambientale e partecipazione nei processi decisionali, è breve. Dopo aver fermato i roghi, bisogna iniziare a ripensare il destino del territorio. (salvatore de rosa)
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