Dal carnevale di Scampia avevamo imparato, in tempi non sospetti, che almeno per un giorno era possibile capovolgere le regole del gioco e mandare il potere a gambe all’aria, mettendo sul trono un qualche re improbabile e senza voce. Così, in anni recenti, che strana sensazione veder comparire il sindaco tra i vialoni e le case popolari, aggirandosi in mezzo ai carri di cartapesta con l’aria spaesata di chi si è imbucato al compleanno di uno sconosciuto… Quest’anno poi, a pochi mesi dalle comunali di maggio, il presenzialismo del primo cittadino si è fatto più intenso: il venerdì alla sfilata della Sanità, la domenica a Scampia, il martedì tra le maschere del centro storico. I carnevali sociali, che proprio sull’esempio del Gridas di Scampia si sono moltiplicati negli ultimi anni, ridotti a fare da sfondo per il rassicurante messaggio del sindaco ricandidato. Qualcuno alla Sanità, per smorzare il dispetto di vederlo comparire nella piazza e nel quartiere in cui era stata reclamata la presenza della sua giunta dopo gli ultimi omicidi, scherzava sul fatto che d’ora in poi ce lo troveremo tra i piedi sempre più spesso, come quel personaggio dei Simpson che in campagna elettorale tagliava nastri qua e là in modo frenetico, sporgendo appena la mano dal finestrino dell’auto prima di ripartire a razzo.
Alla fine gli organizzatori dei vari carnevali hanno sorvolato con una certa signorilità, ma è anche vero che negli ultimi tempi si sono moltiplicate le occasioni in cui de Magistris ha mostrato con la presenza, e a volte con i fatti, una grande attenzione alle iniziative di base che si vanno sviluppando in città: memorabile il brindisi natalizio all’ex Asilo Filangieri, per celebrare il riconoscimento del famoso “regolamento di uso civico” che stabilisce le norme per la fruizione di quel centro occupato, in realtà riconosciuto con una delibera già da un paio d’anni; oppure il discorso tenuto ai giovani dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di via Imbriani, qualche giorno dopo l’occupazione; gli “abusivi socialmente utili” per i quali, in seguito, il comune si è fatto garante nei confronti del ministero, proprietario dell’enorme struttura; o ancora, l’applaudito comizio in Galleria Umberto, durante la manifestazione dei comitati contro il commissariamento da parte del governo Renzi del processo di riqualificazione a Bagnoli. Da questi e altri segnali sembra evidente che de Magistris abbia individuato con chiarezza uno dei bersagli della sua campagna per le comunali: un profilo di giovane (e meno giovane) impegnato nelle iniziative politiche, sociali e culturali più combattive della città. Un bacino di voti non enorme, ma evidentemente giudicato permeabile e in fondo affidabile, che già cinque anni fa regalò al sindaco arancione discrete soddisfazioni. Meno comprensibile, invece, tra dichiarazioni esplicite di voto e possibilismi vari, l’appoggio che sembra riscuotere il sindaco in molti ambienti di movimento. Dopo cinque anni di pesante inconcludenza, di parole e occasioni buttate al vento, di doppie e triple giravolte per restare sempre nello stesso punto, dopo che i centri sociali che lo appoggiarono alle scorse elezioni vennero scaricati senza scrupoli nel giro di qualche mese e i consiglieri eletti nella lista di movimento galleggiano da anni fuori dalla maggioranza, non si capisce che cosa spinga tanti militanti a cedere una volta ancora al fascino dell’ex magistrato vomerese.
C’è chi sostiene, dopo gli ultimi mesi di contrapposizione con il governo Renzi, che de Magistris sia la carta vincente per incanalare la trasformazione di Bagnoli nella direzione indicata dai comitati. In realtà su Bagnoli il sindaco, dopo i primi tre anni di immobilismo e promesse a vuoto – a cominciare dalla mancata attuazione della delibera per la spiaggia pubblica e l’accordo “a tradimento” per la ricostruzione di Città della Scienza –, ha appiattito la sua posizione su quella dei movimenti dal giorno dell’annuncio del commissariamento. Come accaduto in altre occasioni, de Magistris utilizza la presenza di un “nemico” lontano e potente per raccogliere favore tra i napoletani, sposando posizioni che, per chi conserva memoria della sua condotta su Bagnoli in questi anni, gli sono di fatto estranee. In questo caso, le garanzie che il sindaco sia un buon alleato o compagno di viaggio sono pari a zero. L’orizzonte in cui si muove, lo ha dimostrato, è semplicemente la propria sopravvivenza politica, e sarà inutile recriminare quando, al prossimo cambio di scenario politico, compirà l’ennesima piroetta sfilandosi dalla sua attuale compagnia.
C’è poi chi dice che la rielezione del sindaco sia utile per difendere i centri sociali. Certo, fino a qualche tempo fa pensare che i centri sociali avessero bisogno di eleggere un sindaco per garantirsi la sopravvivenza poteva sembrare un’eresia. I centri occupati, per come li conoscevamo, si sono sempre difesi da soli, anche a costo di traslocare o di cambiare sembianze. Anche a Napoli, come altrove, i primi anni Duemila hanno segnato un ripiegamento nella loro capacità d’incidere e rinnovarsi, e non è un caso che proprio in quel periodo si comincino a stipulare in città alcune forme di convenzione con la controparte istituzionale. Questa piccola svolta regolatrice, che in realtà sanciva (su carta, oltre che nei fatti) l’esaurimento di un percorso e di uno slancio vitale, ha costituito un viatico per le esperienze più recenti, che hanno proposto lo stesso tipo di modello in forme leggermente mutate. La storia dell’ex Asilo Filangieri si inserisce a pieno titolo in questo filone. Dall’occupazione del marzo 2012 il collettivo ha cambiato più volte la propria composizione, ma il modello di gestione degli spazi non si discosta poi tanto da quello dei centri sociali che negli anni Novanta si mostravano più interessati al dibattito delle idee e alla ricerca artistica che alla classica militanza attraverso manifestazioni e cortei. Quindi concerti, dibattiti, proiezioni, laboratori di teatro e così via. Un centro culturale in piena regola, con una programmazione che si è andata arricchendo in quantità e qualità, elevandosi molto al di sopra dell’offerta di analoghi centri comunali, ma pur sempre in una zona franca rispetto agli obblighi fiscali e burocratici cui sono sottoposti luoghi simili in città. Che ci sia bisogno di ben 23 articoli per stabilirne le regole di funzionamento, e che sia così importante che questi articoli vengano riconosciuti dal potere in carica, sembra in realtà trascurabile. Posti del genere, in cui la gente sta insieme, impara e a volte dà il meglio di sé al di fuori dalle regole idiote della burocrazia, sono temporanei per definizione; e meglio funzionano quanto meno devono rendere conto a qualche istituzione esterna; sono vitali e servono finché esistono persone motivate e capaci che li tengono in piedi, e quando queste, per un motivo o per l’altro non ci saranno più, non basteranno gli articoli vidimati dalla giunta comunale per tenere in vita l’esperienza.
C’è infine un aspetto apparentemente meno serio ma a suo modo preoccupante in questo ritorno di fiamma tra il sindaco e i movimenti, ed è la convergenza tra le parole, tanto reboanti quanto velleitarie, usate da de Magistris sui social network, le cerimonie ufficiali e le cittadinanze onorarie elargite agli eroi di resistenze lontane, con le chimere rivoluzionarie e i miraggi di palingenesi coltivati da vecchi e giovani militanti: un piccolo saggio di quel che potrebbe essere, e non sarà, il populismo in salsa napoletana; una convergenza che si sviluppa sul terreno di un totale distacco dalla realtà, ma che va segnalata perché, nella sua irrealtà, produce in ogni caso effetti tangibili – e unicamente a vantaggio del sindaco.
Per chi fa politica a partire dall’autorganizzazione, tutti questi segnali rappresentano un passo indietro, l’eterno ritorno dell’illusione che si possa governare i processi, manovrare il burattinaio; che fare politica significhi innanzitutto destreggiarsi con tattica e strategia; la tentazione ricorrente per alcuni piccoli leader di consacrarsi statisti, in mancanza di altre più concrete abilità: l’ambizione di lasciare la municipalità per fare il grande salto in consiglio comunale… È un peccato, perché in questi anni tante piccole e grandi iniziative di base stanno dimostrando con i fatti che la città si può cambiare a partire dai propri luoghi di vita e dalle persone più prossime, attraverso l’organizzazione, la perseveranza, la lontananza dai poteri; certo, a fatica e lentamente, ma è un cambiamento tangibile, l’unico del quale possiamo essere responsabili, e per raggiungerlo non esistono scorciatoie o salvatori della patria. (napolimonitor)