Venerdì 11 settembre alle 19:00, presso La Casa Forte (piazza Trinità degli Spagnoli – 4, ai Quartieri Spagnoli) si terrà la mostra Lati muti di Judith Mall (Germania) e Rosario Vicidomini (Italia). A seguire, in piazza, la selezione musicale di Diego Miedo, fino a mezzanotte. Qui sotto alcuni spunti a partire dalle opere in mostra.
Prima che tutto finisse, quando ancora le camere (inquadranti) erano ammobiliate e, mute, irradiavano mistero a perdere; O forse no, era già un dopo, quell’attimo che segue l’ultima esalazione dell’ultimo uomo sulla terra; Ma no, sicuramente erro (leggi sbagliare o vagare senza meta, a piacere), e proprio per questo me ne vado scivolando in alto o in basso, da destra a manca, deviando tra le troppe suggestioni che le immagini di Judith e Rosario irradiano, ciascuna a modo suo. Ché a infilarli nella stessa cornice questi due artisti hanno in comune il passapartout: un riverbero della specie.
Certo, al primo sguardo pesa l’assenza. Quell’umanità che già Bacon aveva ridotto in poltiglia, poco più che carne maciullata, adesso sembra addirittura evaporata, portando con sé persino vermi e mosche che l’assediavano. L’uomo è antiquato (per dislivello prometeico, c’insegna Anders) eppure qui tutto ne sembra essere ancora impregnato (Judith): le suppellettili (abbandonate?), le mensole, un ventilatore, e poi certi faldoni pieni di carta che se andassimo a indagare forse scopriremmo né scritta né disegnata, da più lati muta. Come a dire che nessuna narrazione è più possibile laddove il supporto che la contiene è ammantato di una polvere così pesante (la grafite volatile che si fa masso) da impedire qualsiasi voltar di pagina. Mobilia inamovibile.
Altrove una vaschetta dove hai voglia a tener a bagno nell’acido dello sviluppo l’istantanea dell’oggi! Nulla, è insensibile alla luce questa emulsione che c’abbraccia tutti come un blob che avanza a pelo d’acqua. Tra bianco e nero i molti grigi.
E poi, quelle masse informi, colorate ma già sbiadite da un sole fisso e feroce (Rosario) sembrano essere un bolo, rimasticatura da sdentati, un inizio d’indigestione. Quel bolo ch’è pure isterico, sensazione di soffocamento da diffuso clima paranoico. Un altro mondo, fatto di similcollinette dietro le quali nessuna luna farà capolino, dove niente gira e l’ombra pende da un eterno lato, muto.
Calcoli arenati, ecco: sassi. O, a dir meglio, pietre d’ostruzione, lucide luddiste di quella macchina che (ahinoi!) non siamo. Ma anche, e forse soprattutto, sassi scagliati negli occhi di chi, posto di fronte a questi dipinti (de-pinti si dovrebbe dire, sottratti), ancora cerca un’impossibile consolazione, senza intuire che i calcoli erano erra(n)ti e che la somma, oggi, non fa più nessun totale. Lati muti o mutilati, se volete. (cyop&kaf)
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