Sono passati due giorni dalla morte di Gennaro Cesarano, diciassettenne ammazzato alle quattro circa della notte tra sabato e domenica, nei pressi della chiesa di San Vincenzo alla Sanità. Gennaro era un ragazzo del quartiere come tanti. Aveva avuto qualche problema con la legge, frequentava l’istituto alberghiero e voleva fare il pizzaiolo. Sul luogo dell’agguato sono stati ritrovati diciotto bossoli di calibro diverso, sparati da più di un’arma, ma non esiste ancora nessuna ricostruzione ufficiale del fatto. Le ipotesi a cui lavorano le forze dell’ordine sono almeno tre. La prima è quella della solita corsa folle tra le strade del quartiere: due uomini, a bordo di una motocicletta, avrebbero sparato senza guardare, per rimarcare il predominio sul territorio in tempi di guerra tra gruppi criminali. La seconda, uno scontro a fuoco tra due o più persone, che potrebbe essere collegato all’uccisione, la scorsa settimana, di Pasquale Ceraso, ammazzato da dieci colpi alle sette del mattino in un vicolo nei pressi di via Santa Teresa degli Scalzi. Il ragazzo non avrebbe fatto in tempo a scappare, e sarebbe rimasto ucciso a pochi metri dalla panchina vicino alla quale si trovava con alcuni amici. La polizia, tuttavia, avrebbe preso in considerazione (secondo quanto riportato dall’agenzia Omninapoli) una terza ipotesi, immaginando che fosse proprio Gennaro l’obiettivo dell’agguato, nell’ambito della guerra scatenata dalle rivalità tra i clan Sequino e Sibillo.
La famiglia di Gennaro rifiuta quest’ultima ipotesi, e cerca in queste ore di difendere la memoria del giovane. Suo padre è uno storico appartenente al movimento dei disoccupati napoletani. Antonio, detto Tonino ‘o cachisso,partecipa alle lotte per il lavoro dei precari Bros. Non ha un lavoro regolare, e porta avanti la famiglia vendendo le bibite durante i concerti in giro per l’Italia. Per dimostrargli la propria vicinanza, e per cercare di elaborare una risposta politica all’incrementarsi degli scontri tra gruppi criminali, lunedì i disoccupati organizzati hanno organizzato un’assemblea al centro sociale Carlo Giuliani.
Quando l’incontro ha inizio, nell’ingresso dell’antico palazzo di via Rosarol ci sono trenta persone. Alcuni amici spiegano che Gennaro non era un pregiudicato o un criminale come è stato descritto, ma un ragazzo di un quartiere popolare, «che aveva avuto dei problemi ma aveva pure, con l’aiuto della famiglia, messo la testa a posto». A Nisida, raccontano, ci era finito con l’accusa di tentata rapina e resistenza a pubblico ufficiale. I familiari spiegano, però, che non c’era stata nessuna rapina: «Quel giorno, con altri ragazzi, Gennaro era alla ricerca di legna per il falò di Sant’Antonio. Uno di loro aveva addosso una pistola giocattolo. Imbattutisi in una motocicletta delle forze dell’ordine, i ragazzi sono scappati in motorino. Dopo un breve inseguimento sono finiti tutti a terra, agenti compresi, e dopo qualche tempo è arrivata l’accusa di rapina». Dopo aver passato qualche mese tra le carceri minorili di Nola e Nisida, considerando la sua buona condotta, Gennaro è stato rimandato a casa in regime di “messa alla prova”, e con l’obbligo a portare avanti alcuni percorsi: la scuola, l’attività sportiva (giocava a calcio nella squadra intitolata a Gaetano Scirea), e quelle sociali, che il ragazzo svolgeva con un’associazione parrocchiale.
Mentre l’assemblea di via Rosaroll perde lentamente di vigore, a qualche chilometro di distanza, nel cuore del rione Sanità, un passaparola che rimpalla via social network chiama i giovani del quartiere a raccolta. “Giustizia per Gennaro” è la parola d’ordine; gridare la sua innocenza, la necessità avvertita dai suoi coetanei. E in strada sono tanti. Oltre cento persone, forse duecento, tutti o quasi sotto i diciotto anni. Per circa un’ora il gruppo attraversa il quartiere, alternando lunghi minuti di silenzio a fragorosi applausi e cori per il giovane. Il corteo, effettuato a passo molto svelto, come se i ragazzi volessero arrivare in fretta da qualche parte per poter fare qualcosa, attraversa l’interno del quartiere. Via Sanità, il mercato dei Vergini, vico San Felice, via Santa Maria Antesaecula, dove si ferma per dieci minuti a ridosso del palazzo dove, all’ultimo piano, abita la famiglia di Gennaro. Ancora applausi, anche da parte delle persone affacciate ai balconi, e da qualcuno dei tanti immigrati cingalesi, indiani, pakistani, che si sporgono dai loro bassi, incuriositi e un po’ impressionati.
Dopo un’ora, quando mancano dieci minuti alle otto, la marcia finisce dov’era partita, nella piazza della chiesa di San Vincenzo. I giovani dispongono uno striscione su cui è scritto “Genny Vive” e restano qualche minuto in silenzio, mentre i fotografi scattano a ripetizione sempre la stessa foto. In piazza si raduna anche il resto della folla: amici, parenti, curiosi, giornalisti, poliziotti. Ci sono alcuni esponenti del partito democratico, che approfittano dell’occasione per sparare le loro cartucce migliori in vista della campagna elettorale. E così, quando qualche mamma chiede se «de Magistris si farà vedere», viene sovrastata da un gruppetto di democratici a cui non par vero di avere davanti più di cinque persone alle quali poter parlare male del sindaco.
Intanto i ragazzi rimangono in piazza. Si guardano e sembrano chiedersi: «E ora?». Qualcuno suggerisce di rimanere lì tutta la notte, ma poi d’improvviso si infilano tutti in chiesa, dove chiedono una mano a padre Zanotelli. Ne nasce l’idea di una fiaccolata che oggi attraverserà il rione a partire dalle sei del pomeriggio. L’incontro andrà avanti mezz’ora. Nella navata principale gli adulti decidono gli orari e le modalità del corteo. Alle loro spalle ci sono i ragazzi. Si sono arrampicati sull’enorme scalone che sovrasta l’altare per appendere lo striscione. Dopo esserci riusciti, osservano dall’alto la scena. Cercano chissà dove una risposta alla domanda che si fanno da sabato notte: e ora? Poi capiscono, forse senza voler ammetterlo, che da soli una risposta così è veramente difficile da trovare. (riccardo rosa)