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6 Settembre 2015

Il silenzio di Forcella

Luca Rossomando annalisa durante, città, forcella, luca rossomando, napoli

 

(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

da: Repubblica Napoli del 6 settembre

La presentazione di un libro su Annalisa Durante nel Supercinema di Forcella. Tra i relatori l’assessore alla cultura, i rappresentanti delle associazioni anticamorra, i giornalisti, il questore, e naturalmente l’autore. Dalle cronache del giorno dopo emerge lo sconforto di chi ha organizzato l’evento e il pessimismo di chi vi ha preso parte. Forcella, infatti, non ha partecipato all’incontro. La gente del quartiere è rimasta fuori dal Supercinema, a scrutare dalla strada e dai balconi il viavai dei “forestieri”. Perfino il padre di Annalisa non si è fatto vedere.

Ora, chi conosce un po’ la città, non può stupirsi di una simile circostanza. E infatti dalle dichiarazioni dei relatori, riportate dai giornali, trapelano tanti sentimenti – amarezza, frustrazione, rabbia – ma non lo stupore. Napoli, come tutte le grandi città, è frammentata da innumerevoli steccati, invisibili eppure ferrei, che separano le persone e allo stesso tempo le aggregano intorno a minuziose affinità e interessi. Nessuno può meravigliarsi se le donne, i giovani, e ancor più gli uomini di Forcella, non hanno scavalcato tali barriere per presenziare alla presentazione di un libro, fosse anche un libro che parla della loro storia. La loro risposta, oggi, non può che essere una muta, all’apparenza passiva, contemplazione.

Il guaio, a giudicare dalle cronache, è che anche dall’altra sponda, quella che, in questo gioco delle parti, si rappresenta come attiva e propositiva, non esiste lo straccio di un’idea per cambiare questa situazione. Gli approcci al problema sono sostanzialmente di due tipi. Uno più netto, autoritario, che non ammette mediazioni e associa di solito a territori come Forcella la parola “bonifica”, come se l’unica soluzione fosse fare terra bruciata di questi posti abitati da gente losca, refrattaria a qualsiasi governo. Il controcanto più democratico mette invece l’accento sulla proverbiale “assenza dello stato”, ma in fin dei conti si riduce a un lamento impotente. Certo, in questi rioni le strade sono costellate di buche, se non di voragini, molti servizi mancano o sono di terza classe, le scuole sembrano trincee e le numerose iniziative civiche si riducono a isolate testimonianze; è così da decenni, e va sempre peggio. Ma il sottofondo comune a entrambi gli approcci è che tutto questo sia semplicemente una grossa anomalia, da sanare riconducendo a una presunta normalità le sue tante manifestazioni, da quelle efferate e criminali, che vanno giustamente represse, a quelle del tutto innocue, come i gusti musicali, la passione per lo stadio o il modo di vestire.

Mai una volta, in queste occasioni, che qualcuno si chieda: dove stiamo sbagliando? Mai una volta che, da questa sponda del fiume che sembra tagliare in due la città, qualcuno si chieda: e se fossimo anche noi una parte del problema? Mai nessuno che cominci a gettare qualche grosso sasso per creare un guado e provare ad andare dall’altra parte. Sono sempre gli altri che devono venire da noi: come oggi gli immigrati che devono “integrarsi”, come un tempo i meridionali che dovevano “stare al loro posto”. Solo qualche artista, ogni tanto, sembra capace di pronunciare l’incantesimo in grado di polverizzare gli steccati. Ma gli artisti, si sa, contano poco. E allora gli assessori continueranno ad annunciare le prossime importanti iniziative, le associazioni organizzeranno parate e mausolei, le forze dell’ordine faranno la voce grossa e tutti continueranno a incontrarsi periodicamente tra loro, lamentando la mancata partecipazione dei beneficiati e accomunandoli in un comune giudizio dispregiativo.

Ma non si può credere seriamente, né è onesto lasciar credere agli altri, che cospicue porzioni della città siano abitate esclusivamente da delinquenti incalliti. Le “due città” in fondo non esistono, esiste una metropoli complessa che sfugge a ogni pretesa di omogeneità. Se le istituzioni, in senso molto ampio, non cominceranno a prendere atto delle molte diversità che vi coabitano, se non rinunceranno a imporgli i propri linguaggi, a inquadrarle nei propri parametri, continueranno a sbattere contro un muro, pur animate dalle migliori intenzioni. Se solo facessero due passi indietro, scoprirebbero che sopra, sotto, ai lati di quel muro, ci sono delle vie d’uscita. (luca rossomando)

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