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29 Maggio 2017

L’enigma Liberato, progetto musicale o strategia coloniale?

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(disegno di escif)
(disegno di giovanni colaneri)

Il fatto che qualche giorno fa, al Mi Ami Festival (Milano), al momento della prima esibizione live di Liberato siano comparsi sul palco un cantautore di Latina nemmeno poi troppo dotato e due giovani rapper scarsi, riduce ulteriormente l’importanza dell’identità nascosta del cantante che da qualche mese sta raccogliendo successi  dentro e fuori Napoli, dopo la pubblicazione su Youtube di due pezzi indovinati, come 9 Maggio e Tu t’e scurdat’ ‘e me.

Con il passare del tempo l’operazione Liberato sembra assumere tutte le caratteristiche di un progetto “coloniale”, pensato ed elaborato, almeno dal punto di vista commerciale, fuori Napoli, probabilmente da qualche importante etichetta discografica. Le interviste su Rolling Stone, l’ingaggio per un festival milanese, il coinvolgimento nella pantomima del primo live di artisti mediamente in voga, non sono cose così facili da mettere insieme per un artista autodidatta-emergente-indipentente che (come si era potuto ingenuamente sperare all’inizio) scala i vertici delle classifiche con la forza della propria musica.

D’altronde, se è vero che i due pezzi di Liberato hanno cominciato a circolare dal nulla sugli smartphone dei ragazzi di tutta la città, è anche vero che il boom è arrivato quando la macchina da guerra mediatica si è messa in moto, e forse è proprio questo che spinge a dire chissenefrega chi è Liberato, visto che potrebbe anche essere un impiegato stempiato della Universal che passa le sue otto ore al giorno dietro un campionatore, o un ragazzino delle scuole medie, come in quella vecchia puntata dei Simpson in cui Bart e i suoi amici vengono trasformati dalla Marina militare americana in popstar di successo.

Più interessante è capire invece gli elementi che, al netto di un’attenta strategia di marketing, sono riusciti a innescare il contagio-Liberato. Le decine di giornalisti paramusicologi romani e milanesi che hanno parlato di lui in queste settimane, hanno teorizzato un po’ a casaccio esaltando in particolare la capacità di fondere due scuole della musica contemporanea napoletana, il rap e la cosiddetta neomelodica. In realtà, con quest’ultimo genere – sulle cui evoluzioni e sulla cui scomparsa (almeno nel senso classico del termine) ci si è già pronunciati da tempo – i pezzi di Liberato hanno poco a che fare. Senza bestemmiare scomodando Avitabile o gli Almamegretta, il sound dell’ignoto cantante s’inserisce piuttosto sulla scia di alcune sperimentazioni e fusioni tra generi (vedi l’ultimo album di Ricciardi) che stanno attirando l’attenzione nazionale da qualche anno. È ovvio, però, che da un punto di vista commerciale personaggi come Ricciardi (cinquantenne nato, cresciuto e che ancora abita a Secondigliano, che ostenta sui social le foto dei pranzi in famiglia e che non rinnega affatto le sue origini melodiche) devono affidarsi solo ai propri contenuti musicali, non risultando “vendibili” come quello che invece qualcuno sta costruendo sotto il marchio Liberato. Ecco, questa è una delle questioni chiave. Probabilmente, più che della bontà di un progetto musicale, stiamo tutti parlando di una strategia comunicativa. Emblematici sono in questo senso i video delle due canzoni, che raccontano la storia di una coppia di adolescenti di estrazione popolare, prima dal punto di vista di lei (9 Maggio), tradita e abbandonata da lui, e poi da quello di lui (Tu t’e scurdat’ ‘e me), che recrimina per la fine di un’avventura interclassista con una ragazza di buona famiglia (tutto comunque già visto nelle pellicole anni Ottanta di Nino D’Angelo). Quello che vince è la fotografia dei due videoclip, la nuova cartolina di una Napoli cupa, romantica ma decadente, che nella sua finta intenzione di oltrepassare i cliché oleografici ne va a costruire di nuovi. È la fotografia di Gomorra la serie o, a un livello meno riuscito, dei film di De Angelis e delle fiction tratte dai romanzi di De Giovanni, che ricerca (e in effetti trova) le angolazioni più efficaci per far convivere il lungomare e i vicoli bui del centro, la Gaiola e l’architettura postmoderna di periferia, il rodeo di piazza Mercato e lo sfascio ereditato da Italia ’90 alle spalle del San Paolo. Sullo sfondo, l’identità elementare del tifo calcistico, capace di tenere insieme un pubblico socialmente trasversale, che infatti l’operazione Liberato coinvolge.

Qualsiasi cosa accada ora – chiunque si rivelerà (se si rivelerà) nell’ombra di Liberato – queste questioni non temono smentita. Qualcuno, che sia un cantante o una grande major, sta prendendo quello che gli serve (la famosa “strada”, su cui chiedevano un po’ di silenzio i Co’Sang già nel 2009), lo sta ripulendo solo per quel po’ che gli serve, gli sta mettendo vestiti alla moda e li sta attaccando su una video-cartolina che in questo momento è vendibilissima da Roma in su. (riccardo rosa)

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