Ho appuntamento con Ivo alle nove del mattino. Il sole scalda ma non brucia ancora, l’aria frizzante del mattino preannuncia i languidi piaceri di una giornata tardo-primaverile. L’arrivo in Valle Galeria non smentisce queste sensazioni e il mio sguardo non si lascia troppo distogliere dai cumuli di rifiuti ai bordi di via Malnome per lasciarsi invece catturare dalla grande varietà di uccelli che popolano il cielo e i campi intorno. Di fronte a casa di Ivo parcheggio l’auto dall’altro lato della strada, dove non ci sono costruzioni e la vista si apre sui campi coltivati. Certo, sulla sinistra è in piena attività un impianto di lavaggio di breccia e ghiaia destinate al calcestruzzo, ma basta escluderlo dal margine della mia visuale, perché l’idillio non sia intaccato. Entrare nel podere mi proietta in questo viaggio nell’Agro Romano, territorio ancestrale del quale quasi sempre ho sentito parlare per le speculazioni che lo hanno deturpato e annichilito. E invece eccolo qua, esiste ancora! – mi dico. Le oche starnazzano ai miei passi sulla ghiaia.
LA STORIA DI IVO
Ivo vive qui dal 1953, quando la sua famiglia ottenne un appezzamento dall’Ente Maremma. Oltre al loro podere ne furono assegnati altri ventuno, per un’estensione totale di circa duecento ettari, nell’area conosciuta come Malnome. Non distante, in linea d’aria, dalla discarica di Malagrotta (che arriverà molto dopo, nel 1975) e contigua a Monte Carnevale, sito recentemente individuato dal comune di Roma per posizionare la prossima discarica della città.
La storia di Ivo si intreccia con la fine del modello agricolo a conduzione familiare e il progressivo degrado ambientale della Valle Galeria. Due processi che – benché non direttamente collegati – finiscono per determinare l’abbandono della terra e la destinazione del territorio ai più disparati usi industriali, soprattutto lo smaltimento di rifiuti. «Siamo arrivati ad avere fino a centoventi capi di bestiame. Facevamo il latte, dodici quintali al giorno, ma poi con le quote e il prezzo che andava sempre più giù abbiamo dovuto toglierle» – racconta Ivo mentre indica l’enorme capannone che fa da corolla alla casa in cui abita. Lo stesso è accaduto con il grano, il cui prezzo nei decenni è calato vertiginosamente; poi l’incremento del costo dei carburanti agricoli, delle sementi e così via. Mentre mi conduce a bordo del suo trattore all’interno della proprietà, il sentimento che anima il suo racconto sembra essere più l’amore che l’orgoglio. Ogni angolo di terra è carico di storia, la storia del lavoro e della dedizione che Ivo – e suo padre prima di lui – gli hanno dedicato. «Quello stagno lo ha scavato mio padre, a più riprese, ingrandendolo un po’ alla volta per poter irrigare questi campi. L’acqua viene direttamente dal lago di Bracciano, guarda com’è limpida, quanti pesci, rane, uccelli ci sono dentro».
La sorgente di cui parla Ivo è minacciata dalla costruzione della discarica di Monte Carnevale, che si troverebbe esattamente a monte del podere. La falda ne risulterebbe inquinata, l’acqua inutilizzabile per l’irrigazione, l’habitat intorno alla grande pozza compromesso per sempre. «Guarda, lo vedi quel costone? – continua Ivo – Lì ho fatto la prima cava di Malnome. Nel resto della valle c’erano già molte cave, ma in questa zona sono stato io a iniziare. Lo ammetto, avevo bisogno di soldi e ho accettato la proposta di un imprenditore del cemento. Però quello che non ho accettato fu che portassero via la ghiaia per il cemento e lasciassero tutto ribaltato e inutilizzabile, come è successo per moltissime altre cave».
BUCHI DA RIEMPIRE
Le cave sono una delle grandi piaghe della Valle Galeria, facili nascondigli per far sparire quanto di indesiderato alla vista: immondizia, rifiuti tossici, calcinacci. Ma anche discariche “legali”, perfettamente riconosciute e alla luce del sole. L’esempio principale è naturalmente Malagrotta, nata nel 1975 per iniziativa di Manlio Cerroni, che acquistò le cave rimanenti dalla costruzione della terza pista dell’aeroporto di Fiumicino. L’imprenditore aveva già i propri interessi in zona nell’ambito della gestione dei rifiuti. «Produceva compost e le cave di Malagrotta servirono in principio per stoccare il compost non utilizzabile per la concimazione perché di qualità troppo scadente, infiltrato com’era di materiali non organici», spiega Ivo. Malagrotta ormai non è più operativa, ma continua la sua attività inquinante. E continuerà per sempre, trasudando percolati e infiltrando gli ettari di terreno su cui insiste (duecentoquaranta, vale a dire quaranta in più di quanti ne furono concessi dall’Ente Maremma ai contadini nel 1953), ostacolando se non sostanzialmente impedendo la continuazione delle tradizionali attività agroalimentari dell’area.
Lo sfruttamento massivo della Valle Galeria per estrarre materiale da costruzione risale alla metà del secolo scorso. L’intera valle è infatti ricca di ghiaia utile a essere impastata con il cemento. La ghiaia risiede sotto altri strati di terra e di argilla, motivo per il quale i contratti e le autorizzazioni da parte del Comune per procedere agli scavi, prevedono il ripristino del terreno movimentato. In altre parole, si sollevano gli strati superiori, si estrae la ghiaia e si ricollocano gli strati nella loro posizione originaria. Cosa che, purtroppo, non accade se non in rarissimi casi (Ivo dovette affrontare una causa decennale per far valere il proprio diritto al ripristino dopo l’estrazione della ghiaia). A mancare sono i controlli, ovviamente, ma in parte anche la consapevolezza dei proprietari dei terreni (che in molti casi non corrispondono con le imprese che ne sfruttano le risorse) rispetto alle conseguenze del mancato ripristino ambientale, senza il quale le falde acquifere rimangono scoperte e sono soggette a contaminazioni.
UNA NUOVA DISCARICA
Il fronte più attuale – non certo l’unico – su cui si combatte la battaglia per provare a invertire la rotta nella gestione della Valle Galeria è senza dubbio il progetto di discarica a Monte Carnevale. La vicenda ha un percorso tortuoso che si dipana da più di quattro anni, tra ricorsi, cambi di proprietà e di tipologia della discarica progettata. Tutto comincia nel dicembre 2016, quando l’imprenditore Daniele Piacentini presenta un progetto che prevede una discarica di amianto e inerti (residui di costruzione, ma anche fanghi da depurazione e altri codici CER[1]). In questa fase l’area appartiene ancora alla famiglia Brandi – storici latifondisti della zona – e Piacentini vincola la sua acquisizione alla possibilità di realizzare il progetto. Progetto che trova la ferma opposizione di cittadini e comitati che nel marzo 2019 ricorrono contro il parere positivo della VIA (Valutazione Impatto Ambientale) rilasciato dalla Regione Lazio. Nel frattempo l’area è stata acquisita da Piacentini tramite la sua New Green Roma Srl. Nell’agosto 2019 viene richiesta l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) per procedere con i lavori propedeutici all’impianto della discarica. Nel dicembre 2019 accadono molte cose. Il 16 la Regione rilascia un parere preventivo di autorizzazione per la realizzazione della discarica di inerti. Il 23 Valter Lozza, astro nascente della gestione dei rifiuti, acquisisce la New Green Roma Srl. Il 27 arriva l’autorizzazione della Regione che spiana la strada alla discarica di inerti. Il 31, infine, l’amministrazione guidata da Virginia Raggi, messa alle strette dalla Regione affinché stabilisca un sito per la prossima discarica della città, fa cadere la sua scelta proprio su Monte Carnevale.
La sequenza è vertiginosa e il lasso di tempo molto ristretto in cui si svolge, lascia adito a molti dubbi sulla casualità del concatenarsi degli eventi. Dubbi che hanno portato Marco Cacciatore – presidente della commissione regionale all’urbanistica, politiche abitative e rifiuti – a presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Roma per verificare che dietro le decisioni di Comune e Regione non ci siano state anomalie.
Ma la vicenda della nuova discarica non si ferma qui. Con l’autorizzazione del 27 dicembre 2019 partono i lavori per la realizzazione, interrotti in marzo dal Tar che accoglie l’istanza di sospensiva lavori presentata dai cittadini rappresentati dagli avvocati dell’associazione Raggio Verde e sostenuti dalle azioni e dalle raccolte fondi organizzate dal Comitato Valle Galeria Libera. L’interruzione dura solo venticinque giorni, perché il Tar, riunitosi nuovamente il 16 aprile – ben solerte in pieno lockdown – dà il via libera alla ripresa dei lavori. I cittadini ricorrono ulteriormente contro questa sentenza, appellandosi al Consiglio di Stato, che nell’ordinanza emessa il 18 giugno, ritenendo che gli aspetti tecnici legati alle problematiche della geologia dei terreni vadano approfonditi, sostanzialmente rimanda la questione nuovamente al Tar, affinché fissi a breve termine il giudizio di merito. Intanto le operazioni propedeutiche all’impianto della discarica procedono e si sta realizzando la piattaforma su cui dovrebbero essere collocati gli inerti. Parallelamente Lozza ha richiesto di poter procedere alla disposizione della discarica di rifiuti urbani senza passare per il vaglio ambientale e per l’ottenimento della VIA, richiesta motivata dall’imprenditore con le dimensioni dell’impianto, che non dovrebbe superare i centomila metri cubi.
Sull’intero progetto pendono una selva di ricorsi incrociati: a quelli dei cittadini si aggiungono quelli del comune di Fiumicino e del ministero della difesa, che già nel 2012 si era opposto alla sola ipotesi di una discarica in prossimità del Comando Interforze. Il più paradossale dei ricorsi porta però la firma dello stesso comune di Roma, che se da un lato indica Monte Carnevale come sito per la nuova discarica di rifiuti speciali non pericolosi, dall’altro inoltra al presidente della Repubblica una richiesta affinché venga fermata la discarica di inerti nello stesso sito.
Benché l’iter possa apparire irto di ostacoli, gli interessi che sostengono la realizzazione della discarica sono imponenti. Ovviamente c’è il proprietario della cava, Valter Lozza, che l’ha acquistata appositamente per trarne profitto con l’impianto di smaltimento. C’è il comune di Roma, che da anni – tra conflitti interni alla maggioranza, scontri con AMA, l’azienda dei rifiuti sempre sull’orlo del fallimento e crisi più o meno prevedibili – si contorce nella ricerca di una soluzione al problema rifiuti. C’è la Regione, che ha necessità di veder risolto, seppur temporaneamente, il perenne stato di emergenza in cui versa Roma, in modo da non dover ricorrere alle deroghe alle normative regionali portando i rifiuti romani in altre aree del Lazio. C’è, infine, una parte dei cittadini romani che non vedono di cattivo occhio la soluzione della discarica, convinti che la Valle Galeria sia un territorio ormai irrecuperabile (che in molti casi neanche saprebbero collocare bene sulla mappa) ed esasperati dal costante disagio che la mancata o inefficiente raccolta dei rifiuti in città finisce per generare. Gli interessi di Ivo, e di quelli che con lui lottano nel Comitato Valle Galeria Libera, sembrano essere marginali, schiacciati tra colossali forze di enorme entità.
DUE MODELLI INCONCILIABILI
La nuova discarica confinerebbe con la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. Il sito è di interesse comunitario, tanto che al suo interno è stata perimetrata la zona di conservazione speciale Macchia Grande di Ponte Galeria. Da un censimento fotografico sull’avifauna portato a termine dai cittadini, sulla zona risultano insistere settantacinque specie, di cui dieci protette. Tutto questo dentro la futura discarica o nel raggio di un chilometro e mezzo dalla stessa.
Tuttavia sbaglierebbe chi volesse inquadrare la questione solo in termini di difesa di un presunto stato naturale e primigenio della Valle Galeria, stato al cui ritorno tendere in termini salvifici. La distanza che separa i cittadini dai fautori delle discariche è senza dubbio siderale, ma è una distanza che interroga soprattutto i temi del modello di sviluppo e della pressione ambientale che questo genera. Il modello di cui Ivo e i suoi sono portatori è senza dubbio un modello di sfruttamento delle risorse naturali, che antropizza il territorio e lo piega alle proprie necessità di produzione. Per secoli l’Agro Romano è stato quella vasta area che cingeva la capitale e la riforniva di prodotti di prima necessità: grano, ortaggi, frutta, latte, carne. Un modello che mette a valore la presenza sul territorio e la cura dello stesso, che non prevede l’azzeramento del contesto per ottenere i propri risultati o per ottimizzare i profitti, ma tende al contrario a generare un equilibrio che guarda al futuro e punta a riprodurre le condizioni di benessere. Al di là della tenerezza o della curiosità che possono generare ai miei occhi di cittadino ingenuo, di questo ci parlano gli uccelli che nidificano vicino allo stagno di Ivo: di una presenza umana che non travolge tutto quanto incontra sul proprio cammino, ma crea invece condizioni perché la vita si produca a differenti livelli. O si riparte da qui, dal fragile equilibrio intorno allo stagno di Ivo, o abbiamo poche speranze di venire a capo della crisi ambientale. In Valle Galeria, a Roma e molto più in là. (ciro colonna)
[1] Catalogo europeo dei rifiuti