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24 Maggio 2018

È morto Sarri viva Ancelotti

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(disegno di cyop&kaf)
(disegno di cyop&kaf)

Nemmeno il tempo di lasciar raffreddare il letto dove giacque Maurizio Sarri, che il Napoli consuma il suo primo amplesso con Carlo Ancelotti, uno dei più titolati allenatori del mondo, ingaggiato da De Laurentiis a pochi giorni dalla fine di un campionato agro-dolce.

La mossa del presidente è stata scaltra. Solo l’ingaggio di un tecnico di livello così alto avrebbe potuto mitigare la delusione per l’addio di quello che è, allo stato attuale, uno dei migliori allenatori in Europa, e a cui la piazza napoletana si era legata come non accadeva dai tempi di Vinicio (altro promotore del bel gioco a zero tituli). Delle reali motivazioni per cui le strade di Sarri e del Napoli si siano separate non ci è stato detto nulla. Non regge la teoria del mister sul troppo amore ricevuto e la capacità di saper mettere fine a una storia nel momento migliore (quando Mourinho lasciò l’Inter aveva appena vinto tutto ciò che si poteva). Né lo spauracchio di un drastico ridimensionamento, che difficilmente sarebbe stato accettato da Ancelotti. La verità è che Sarri e De Laurentiis non si sopportavano più. Il primo non ha perdonato al secondo l’aver vanificato tutti gli sforzi della squadra con un non-mercato, quello dello scorso gennaio, che si è rivelato decisivo per perdere uno scudetto che il Napoli avrebbe meritato; il presidente è convinto che Sarri abbia svalutato i cartellini dei vari Rog, Diawara, Maksimovic, Ounas, di cui il tecnico non si è mai fidato, dimenticando le plusvalenze che il suo lavoro frutterà su quelli di Jorginho, Mertens, Koulibaly, Ghoulam, Hysaj. Le contestazioni degli ultras durante le ultime partite, che si schieravano a favore del tecnico nello scontro tra lui e la società, sono state l’ultimo affronto che ha portato il presidente ad accelerare la decisione.

Lo stile con cui l’ha fatto, è il solito. Il campionato è finito da qualche secondo, e dopo essersi fatto immortalare nello spogliatoio fradicio di champagne (a festeggiare non si sa cosa, se non gli introiti dell’ennesima qualificazione in Champions), De Laurentiis ai microfoni di Sky parla di “tempo scaduto” e attacca Sarri scaricando su di lui le colpe del mancato rinnovo. Lo aveva fatto già in passato, più volte, a mezzo stampa, come dopo la partita con il Real Madrid, quando il tecnico decise di restare a Napoli solo perché convinto dai calciatori. Non passa che qualche giorno dalla partita col Crotone che De Laurentiis si fa fotografare di nuovo, questa volta al fianco di Ancelotti, congeda Sarri con un tweet e volta pagina. Non stupisce, conoscendo il personaggio.

Fa più effetto la reazione dei tifosi e della città, che come da copione si lascia accecare dal fascino del nuovo, scordandosi il passato a velocità record. Accoliti e fanatici del Sarrismo, teorici di approssimative filosofie sportive ispirate alla figura del Comandante, appassionati fino a ieri inebriati dalla macchina perfetta messa in piedi dal mister, retorici alfieri del “vecchio calcio” che guardavano alla tuta e alla sigaretta di Sarri come a una Sacra Sindone pallonara, oggi impacchettano e mettono da parte tre anni che hanno avuto dello stra-ordinario, liquidandoli via social con noiose elucubrazioni del tipo: “È stato bellissimo. Ma certo che Ancelotti…”. Al circo non si sottrae nessuno, dalle centinaia di opinionisti che affollano le tivvù private fino ai giornalisti della carta stampata, passando per i calciatori (il primo a esporsi è stato Insigne, ne seguiranno degli altri) e i para-intellettuali che con goffa autoironia cercavano di celare un culto della personalità a cui non riuscivano a sottrarsi. Fa un po’ tristezza pensare allo stato d’animo di Sarri in questo momento, meno di una settimana fa idolatrato da una intera città, oggi già parte di un passato epico ma oltre il quale si può andare facilmente.

Da un punto di vista sportivo la venuta di Sarri ha rappresentato una botta di vita per la città. La sua squadra ha mostrato cose che in Serie A non si vedevano da quasi vent’anni (la Roma di Capello, Totti, Cassano, Batistuta, Emerson, Cafù) o forse dai tempi del Milan di Sacchi. Un trip durato tre anni, che se fosse stato vincente sarebbe stato paragonabile al settennato di Maradona, persino lui – oggi nessuno lo ricorda – trattato malissimo nei giorni del burrascoso addio da Napoli, soprattutto dalla stampa locale. Sarri non ha una squalifica per cocaina da farsi perdonare, né una fuga notturna in macchina con la barba incolta, sotto una pioggia di flash e volanti della polizia. Riuscirà a evitarsi insomma quello che dovette sopportare Maradona. Ma l’istantaneo oblio che gli si sta riservando è il perfetto contraltare di una idolatria pacchiana e fuori controllo che una città senza misura gli ha tributato per tre anni, salvo poi scaricarlo dopo aver visto un paio di fotogallery col nuovo condottiero pubblicate dal Corriere dello Sport.

La consapevolezza riguardo il suo incredibile lavoro, le condizioni societarie in cui è stato costretto a portarlo avanti e la sua anomala personalità, resteranno nella mente dei pochi sportivi e tifosi lucidi a cui non basterà un top-manager e forse nemmeno il prossimo scudetto per dimenticare questi tre anni. (riccardo rosa)

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