I traslochi dalle vele di Scampia nelle nuove case tra via Labriola e via Gobetti sono per il momento sospesi. Restano i pochi ritardatari e i nuclei familiari che hanno avuto la sfortuna di slittare in fondo al calendario stabilito dall’amministrazione comunale. Nei primi dieci giorni di gennaio l’intero processo sarà completato, ci sarà tempo e spazio per appuntare qualche medaglia per questa necessaria opera di riqualificazione. C’è chi dovrà aspettare il giorno dell’Epifania per godere di un proprio diritto, quello all’alloggio popolare, dopo oltre trent’anni nelle graduatorie ERP, scanditi da carte, passeggiate e cortei, minacce di suicidio, manifestazioni e contestazioni, promesse elettorali mancate e colossali ritardi nei lavori. E intanto la salute che si fa sempre più provvisoria, perché nelle vele si respira amianto.
La “piazza della socialità”, il complesso che transitando da via Labriola è nascosto dalle scintillanti palazzine verdi e gialle, è un progetto nato durante la giunta Bassolino, nel 1997, e appaltato alla Brancaccio Costruzioni Spa nel 2002. Negli ultimi quindici anni la creazione di questi centoventiquattro alloggi ha subito rallentamenti, abbandoni e riprese dei lavori, denunce tra ditta appaltatrice e comune committente, paventati licenziamenti dei dipendenti da parte della Brancaccio che non riceveva fondi dal comune. In questi quindici anni (venti dall’annuncio) i legittimi assegnatari residenti nelle vele hanno visto, a pochi metri di distanza, i loro diritti nascere e poi venire inghiottiti nelle risacche della burocrazia. E gli ultimi rinvii (i traslochi dovevano avvenire in primavera, poi in autunno, ora qualcuno dovrà aspettare l’inverno) lasciano un sorriso amaro sul volto di chi aspetta da trent’anni una casa.
La signora Teresa ha quasi sessantacinque anni ma da troppo tempo è sola e malata. Ha un tumore alla faringe causato da esposizione all’amianto, è divorziata e con un figlio lontano. Del suo trasloco si fa carico l’amministrazione – «in via eccezionale», spiega un funzionario –, visto che Teresa «non ha i mezzi». I dipendenti della Napoli Servizi, gli stessi che mureranno la casa, spostano i pochi mobili e qualche ricordo, li posizionano sul nastro che li fa scivolare giù dal secondo piano della vela gialla fino al furgone. Un vigile urbano assiste alle operazioni dopo aver cercato invano il ballatoio per dieci minuti, e noi con lui. Un fuoco appiccato al piano terra da alcuni ragazzi richiama l’attenzione del vigile che chiede a Teresa un secchio pieno d’acqua, stupendosi poi che la signora abbia ancora la fornitura idrica in una casa che sta per essere murata, in una vela che sta per essere abbattuta.
Rosa aiuta la signora Teresa con i ricordi più fragili. Un vascello di cristallo, alcuni quadri raffiguranti il lago di Como, bomboniere. Teresa piange senza scomporsi, ma tutto accade così repentinamente che i nervi cedono. «Io chissà come ci starò nella casa nuova, qua comunque tenevo qualcuno che mi aiutava». Rosa ha poco meno di quarant’anni, dà consigli ai trasportatori, cammina per la casa freneticamente cercando il funzionario del comune. Racconta: «Io ero legittima assegnataria, poi il comune mi ha estromessa perché mio marito è in attesa di giudizio. Intanto mi daranno casa temporaneamente, in capa a loro se fra tre anni mio marito viene condannato loro si riprendono l’alloggio». Comincia un lungo elenco di parenti morti di amianto: «Ma quanti ancora devono morire in queste vele?».
La narrazione di quello che sta avvenendo a Scampia ha il profumo di una vittoria su tutti i fronti, per istituzioni e comitato vele. La tabella di marcia ufficiale prevede le prime demolizioni tra gennaio e febbraio 2017, a partire dalla vela verde. Contemporaneamente si procederà alla ristrutturazione della vela celeste e in primavera seguiranno le esplosioni di vela gialla e vela rossa. Qui vivono duecento nuclei familiari. «Gli occupanti si trasferiranno tutti nella vela celeste», proclama chi conosce bene carte e progetti. Sulle macerie delle vele dovrebbero essere costruiti altri alloggi popolari, si spera in tempi rapidi. Ma anche i più fiduciosi faticano a crederci: la sensazione è che sarà molto dura convincere i secondi occupanti a trasferirsi, nonostante abbiano già ricevuto l’invito a lasciare lo stabile (che è inagibile). Si teme uno sgombero nei prossimi mesi.
I sessantaquattro appartamenti realizzati dalla Società Italiana Opere Pubbliche sono le prime unità abitative che si vedono superando le vele, andando verso Secondigliano. Nei dintorni le strade hanno preso nomi simbolo: via Don Pino Puglisi, via Libero Grassi, via Peppino Impastato. Le persone che si sono appena trasferite in queste palazzine sono soddisfatte. «Le case sono perfette, niente da dire, ora speriamo solo che la gente si comporti bene», spiega Michele. I problemi sorgono nell’altro complesso, quello in piazza della socialità, nelle palazzine costruite dalla ditta Brancaccio. Teresa ha passato la notte ospite di Daniela, una giovane signora bionda, allegra perché «dopo quasi trent’anni mi daranno casa il giorno della befana». Teresa non ha potuto dormire nella sua nuova casa: non ci sono ancora i riscaldamenti e bisogna mettere mobili e scatoloni a posto. Gli ascensori non funzionano, gli ispettori spiegano ad alcune donne che «saranno attivi quando i traslochi finiranno». Al terzo piano un’anziana coppia ha ricevuto l’appartamento già fornito di vistose infiltrazioni d’acqua e per questo hanno appena chiamato gli addetti alla manutenzione. La tv non si vede, colpa forse di qualcuno che ha buttato giù muri che non andavano abbattuti.
Nelle palazzine rosa e blu che distano dieci metri dalla vela rossa le lamentele si amplificano. Tra le scale ci sono piccole feritoie lunghe dieci centimetri, la luce è un miraggio e in alcuni alloggi manca la corrente elettrica. Al piano terra le finestre hanno sbarre di ferro e questo complesso è separato dagli altri da imponenti cancelli bianchi. La piazza della socialità sembra una prigione. Molti appartamenti sono stati consegnati senza alcuna cura: sanitari disastrati, tapparelle rotte, serrature difettose. «Noi qua dobbiamo denunciare, deve venire la televisione», urla Patrizia dal balcone richiamando l’attenzione della sua dirimpettaia, che si offre di fare la voce narrante. «Stiamo adattando le case alle nostre esigenze», brontola infastidito un signore. La polvere all’interno delle palazzine è asfissiante, tra le poche auto parcheggiate si aggira il garzone della salumeria che prende ordinazioni dai balconi. Dalla vela rossa di tanto in tanto dei ragazzini s’intrufolano nel parco, scavalcano il cancello bianco e cercano di capire, guardano, chiedono.
Presto i traslochi in “piazza della socialità” saranno completati, nel frattempo Mafalda – trent’anni nell’ex Motel Agip prima dell’assegnazione – cerca di immaginare il parco tra dieci anni e vede un ghetto. Le vele di Gomorra resistono ancora, ci vivono centinaia di famiglie fino a quando non saranno decimate dall’amianto o scacciate da una ruspa. Ma «Scampia sarà il quartiere della legalità», come ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti in una recente conferenza a Roma. Alle spalle delle nuove palazzine popolari sorgerà, infatti, su settantasei mila metri quadri, un’enorme cittadella di polizia, così che la guerra tra poveri che si profila all’orizzonte sarà più gestibile per lo stato di diritto. (davide schiavon)
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