Elemento chiave del gioco del calcio – dalla Rivoluzione olandese degli anni Settanta fino al modello Guardiola – lo spazio è diventato materia di studio e insegnamento per allenatori, calciatori e appassionati, capace di trasformarsi in una specie di mantra; tutto nel calcio oggi ha a che fare con lo spazio: “attaccare lo spazio”, “palla nello spazio”, “coprire gli spazi”, “creare lo spazio”. Il centravanti capace di impegnare intere difese e segnare gol di prepotenza, catalizza troppo il flusso del gioco trasformandolo in qualcosa di prevedibile per il reparto arretrato avversario e scontato per il pubblico. La preferenza per giocatori brevilinei e rapidi ha portato così a un nuovo modo di intendere il football. Ma è un sistema più efficace, meno efficace? Più o meno divertente?
Dallo spazio, i confini del terreno di gioco non si vedono neppure. Come dice Gagarin nella tessera associativa di Nessuno Fuorigioco, non si vedono neppure quelli tra le nazioni, figurarsi le righe laterali di un campetto in cui giocano i ragazzini, rom per di più, ancor meno visibili rispetto agli altri. Nessuno Fuorigioco è una ricerca del proprio spazio: nello sport, sul campetto, in spogliatoio e nella società. Accompagnate da un’attività di advocacy con l’obiettivo di modificare le norme federali sui tesseramenti dei minori stranieri, tre squadre si allenano in settimana per disputare al sabato le gare del campionato Uisp provinciale: l’under venti maschile, i Giovanissimi e la squadra femminile. A supporto dell’attività tifosi-sostenitori a cui un codice etico in dieci punti impone di tifare sempre “per” e mai “contro” (punto 4), oltre che di invitare alle partite chi odia gli zingari: “Punto 6. Se mi capita malauguratamente di conoscere qualcuno che odia o prova antipatia nei confronti degli zingari, degli stranieri in genere, o dei diversi da sé mi impegno a portarlo a una partita della New Team. Se il mio (mio malgrado) conoscente non cambia idea neppure di fronte a una partita della New Team, lo giuro, non gli parlerò mai più!”.
Lunghe trasferte veneziane e montane che sanno di gite e pic-nic, ritiri estivi identitari e voglia di partecipare, hanno trasformato una sgangherata compagine in un laboratorio capace di cercare una collocazione sociale ed educativa a ragazzine e ragazzini penultimi (a scavare bene nel mondo, c’è sempre qualcuno ancor più indietro, come se in realtà gli ultimi non si trovassero mai). In un percorso di crescita continua, Nessuno Fuorigioco è passato per un primo anno di iscrizione al campionato in cui ha collezionato sconfitte fragorose, necessarie risse interne, incertezze e abbandoni senza spiegazioni. Ma grazie a un processo passato attraverso la comprensione della sconfitta, è giunto il momento in cui prepararsi a un salto.
La /o/ di Nessuno e Polifemo – Piccola parentesi fonetico-linguistica
Con ogni probabilità “nessun fuorigioco” è la dicitura comunemente più utilizzata dai parlanti e scriventi in italiano, con la caduta della vocale /o/ che crea un ponte tra le due parole formando, alla pronuncia, un unico suono continuo, quasi fosse un tutto attaccato nessunfuorigioco. Ritirare su quella /o/ cascata chissà dove è un ripescare dall’oblio una forma umana, rendere pronome un aggettivo, personificare la qualità dell’assenza. Al contrario di quanto fatto da Ulisse, quando disse a Polifemo di chiamarsi Nessuno per diventare invisibile occupando meno spazio possibile sotto alla pancia dei montoni, qui Nessuno è un reclamo di esistenza, una comparsa improvvisa e una presa di posizione nel mondo o nel campo di gioco. È un’orda di bambini che dicono: anche se noi siamo Nessuno, non vogliamo andare in fuorigioco. Non vogliamo nasconderci tra la lana dei montoni.
Muoversi in campo, lungo l’asse orizzontale piuttosto che verticale, assume un’importanza strategica fondamentale. Impegnarsi per creare spazi di gioco utili ai propri compagni diventa una delle caratteristiche più importanti e contemporaneamente più dispendiose. Nella testa dei calciatori, piano piano, entra il concetto di “muoversi senza palla per agevolare il gioco dei propri compagni”. Il singolo perde importanza a favore della collettività, paga la tassa del sacrificio affinché la propria squadra possa esprimere un gioco efficace. Nessuno Fuorigioco, con la sua /o/ diventata isola felice esclusa dalla realtà, è un continuo movimento orizzontale alla ricerca degli spazi e del momento buono per verticalizzare verso la porta altrui, trincerata da una difesa di burocrazia e sgomberi.
Com’è vivere in un (centro)campo?
Più o meno così, anzi proprio così. I fratelli De Serio hanno documentato lo sgombero e la distruzione del campo di Lunga Stura Lazio a Torino, lo stesso dove vivevano alcuni ragazzi e ragazze soci di Nessuno Fuorigioco. Anche quello in fin dei conti era uno spazio, creato da un vuoto normativo, riempito e con il tempo cresciuto con baracche che qualcuno era costretto a chiamare casa. Solitamente nei vuoti gli attaccanti si lanciano, sperando di ricevere un passaggio dal compagno: scattano, occupano quello spazio e, se arriva il pallone, cercano di creare qualcosa, magari un gol. Il passaggio nove volte su dieci non arriva o arriva tardi, quando ormai l’attaccante è in fuorigioco, o la difesa recupera, sgombra l’area e spazza via alzando un polverone. Se invece l’assist arriva con i tempi giusti si aprono possibilità, si crea l’occasione per segnare.
Il passaggio decisivo, molto spesso arriva dal centrocampo, il settore in cui giocano i calciatori più completi: con cervello, polmoni, piedi buoni e visione di gioco; qualcuno sostiene che sia lì, che si vincono le partite. Centrocampo, forse non proprio casualmente, è anche il nome dell’associazione sportiva in cui confluirà Nessuno Fuorigioco a breve, portandosi dietro sei anni di lavoro ed esperienza, di crescita e volontà. Cambierà molto perché varieranno le esigenze e le premesse. La sfida nuova, da buoni sportivi, è quella di confrontarsi veramente con l’altro, inserirsi in un contesto più esposto, lasciando l’isola dove “si sognano cose belle” per tentare di realizzarle. Ci saranno – grazie anche alla campagna di crowdfunding – più forze per avere un educatore dedicato a ogni categoria e un doposcuola che aiuti la crescita dei singoli. E visto che la vittoria passa dal centrocampo, chissà che non decida di fermarsi lì, proprio in quello spazio, visibile pure dallo spazio (chiedete a Gagarin) all’angolo tra via Petrella e via Cimarosa, in Barriera di Milano. (edoardo faletti)