È venerdì mattina, sono circa le nove, e sotto a un sole già cocente e la puzza di scarico una trentina di operai lavora alla ristrutturazione del varco Sant’Erasmo, all’interno del porto di Napoli. Entro ostentando la macchina fotografica e i responsabili della sicurezza mi lasciano passare senza chiedermi il documento. Beneficia con me del privilegio il sindacalista con cui sono in macchina, che proprio nelle ore successive sarà impegnato a contestare all’azienda un provvedimento disciplinare nei confronti di C., lavoratore portuale, reo di aver infangato l’immagine della sua ditta dichiarando che da mesi non vengono concessi ai lavoratori né guanti né mascherine chirurgiche anti-Covid.
L’appuntamento è con un gruppo di lavoratori che ha scioperato per protestare, all’ingresso del terminal container Conateco, contro l’azienda dove si sono registrati due nuovi licenziamenti in meno di un mese. Licenziamenti per motivi futili, ai danni di due lavoratori sindacalizzati e combattivi, appartenenti al SiCobas. Dalla Conateco (azienda che si occupa della movimentazione dei container) negli ultimi anni sono stati licenziati decine di operai per motivi pretestuosi. Qualcuno è stato reintegrato per via legale, qualcun altro ha preferito accettare la buonuscita dopo una trattativa-lampo. L’intenzione dei vertici dell’azienda è quella di sfoltire il parco lavoratori “garantiti”, cresciuto a causa delle tante assunzioni fatte alla metà degli anni Duemila, sulla spinta di un accordo di programma con la Regione e grazie a cospicui finanziamenti. L’altro obiettivo è quello di liberarsi dei lavoratori più combattivi, che non a caso sono sempre sulla “lista di sbarco”.
Con largo anticipo, i primi ad arrivare sono i lavoratori di Turi Trasport, un’azienda che impiega circa cento operai, dislocati in due sedi, alcuni dei quali lavorano anche da vent’anni senza aver mai visto un contratto di lavoro. Sono una trentina quelli scesi in strada in solidarietà con i licenziati Conateco. I primi cori che partono dal presidio sono contro Legora De Feo, amministratore delegato di Conateco e Soteco (due aziende del gruppo MSC e legate anche alla stessa Turi Transport). Negli ultimi quattro anni De Feo non ha mai accettato di sedersi al tavolo con la Prefettura di Napoli, tavolo che i SiCobas tornano a chiedere per discutere dei licenziamenti e della sicurezza sul lavoro. All’esterno del bar, di fronte ai cancelli di Conateco, un gruppo di lavoratori discute delle ragioni che li hanno spinti a scioperare: «Oggi sono stati licenziati loro, domani potremmo essere noi i prossimi», dice A., operaio della Turi.
Sono le undici, arrivano altri lavoratori e il piazzale si riempie: ci sono i facchini della logistica della TNT-Fedex di Teverola, gli ex disoccupati organizzati dei Banchi Nuovi, che hanno ottenuto con la lotta un impiego da addetti alla manutenzione stradale in Campania, i lavoratori della ditta Di Gennaro di Caivano per lo smistamento e smaltimento rifiuti, e i disoccupati del Movimento 7 Novembre, da anni al centro di martellanti proteste ed estenuanti vertenze finalizzate al riconoscimento di un lavoro stabile e sicuro.
Il blocco della merce è rapido ed efficace. I camionisti provano a fare la voce grossa, sale la tensione, qualcuno tra loro minaccia di investire gli operai in presidio, ma alla fine tutti si rassegnano senza fare troppi drammi. Il numero dei tir a cui viene impedito di svolgere le operazioni cresce. Dal porto alla tangenziale la strada si intasa, i camionisti ricominciano a sbraitare invano. Nessuno tra i manifestanti ha interesse a litigare con gli altri operai, provano a spiegare cosa sta succedendo, «quello che combinano le multinazionali miliardarie e lo Stato», arringa P., facchino della TNT. In questa prospettiva, un gruppetto di disoccupati si sposta in strada per bloccare il traffico ordinario delle auto e degli autobus. Dopo una mezz’ora, al semaforo si presentano due blindati della polizia, i celerini scendono in dieci già in assetto antisommossa, ma il caos è totale e gli impedisce di intervenire.
Dopo qualche minuto i disoccupati rientrano nel porto, con i celerini al seguito, proprio quando sembra che la questura stia intercedendo per un tavolo tra le parti finalizzato a discutere di una serie di vertenze che coinvolgono il sindacato.
M. è uno dei lavoratori di Conateco, licenziato già due volte, come altri. Spiega con chiarezza i piani dell’azienda: «Mentre fa fuori noi, operai sindacalizzati ma esperti, l’azienda più grande del porto inquadra nuove leve, gente giovane, disponibile a tutto. Lavoratori assunti grazie a parentele e clientele, che accettano contratti da stagisti anziché il contratto collettivo nazionale».
Mentre parlo con M. il dispiegamento di blindati si schiera fuori ai cancelli di Conateco. M. mi fa notare i particolari di un’immensa struttura. In alto c’è una cabina dove l’azienda sta svolgendo corsi di formazione ai carrellisti. «Quella cabina lì in alto non è ampia abbastanza per rispettare le distanze di sicurezza anti-Covid. Il formatore entra in cabina e l’operaio resta su una scala di emergenza a osservare lo svolgimento del lavoro. In più i carrelli disponibili sono monoposto e non omologati per due. La modalità di questi corsi viene stabilita senza alcuna interlocuzione con i sindacalisti che provano ancora a tutelare gli operai».
Sono passate intanto più di un paio di ore, e pare che la Digos abbia organizzato un incontro in Prefettura per il prossimo mercoledì 5 agosto. Il blocco si smantella, anche se non tutti gli operai sono convinti. «Vogliamo dimostrare che siamo disposti a trattare, ma fino a che ci prenderanno in giro, torneremo per le strade a creare tensione», urla al microfono una militante del sindacato. Intorno alle due, quando il sole batte ancor più forte lasciando sul collo e sugli avambracci dei manifestanti un’abbronzatura da sciopero, ci si dà appuntamento per mercoledì. «Cerchiamo di essere tanti, e determinati», si danno pacche sulle spalle operai e disoccupati. Per qualcuno di loro inizierà a breve un nuovo turno di lavoro. (alessandra mincone)