C’è chi governa con le emergenze e i grandi eventi, e chi utilizza la città in un altro modo: riapre un parco abbandonato, trasforma un cortile, costruisce un campo da gioco. Sono due opposti modelli di città, disegnate quello che preferite…
Nel parco Ventaglieri, a Montesanto, un piccolo gruppo formato da due architetti, un fabbro e un pittore ha costruito due giochi in legno e ferro, che hanno preso le forme e sono stati poi abbelliti secondo i “suggerimenti” disegnati dai bambini del quartiere, nei laboratori tenuti in corso d’opera. A luglio i due giochi – una parete da scalare e un ponticello – sono stati installati nel parco durante una festa all’aperto. Il materiale per la costruzione è stato acquistato con duemila euro, stanziati dalla Municipalità, con la quale era avviata da qualche tempo una collaborazione.
Nelle pagine che seguono raccontiamo altre storie: quella, ancora in corso, del recupero di uno spazio verde ai Sette palazzi di Scampia; i tentativi di rendere più accogliente il cortile di Architettura a via Forno Vecchio, per il momento vanificati dall’intervento dei burocrati della facoltà; la richiesta di apertura di un parco abbandonato alla Sanità attraverso l’occupazione e la cura da parte degli stessi abitanti; la creazione di un campetto di calcio in uno dei campi rom di Scampia, all’interno del lavoro di coinvolgimento e di scambio che alcuni gruppi attuano in quel posto da anni; per non parlare, ma lo faremo in futuro, dell’uso di decine di piazze, slarghi, cortili, sagrati e altri anfratti residuali, lasciati liberi dalle automobili o dai lavori in corso, che quasi dodici mesi all’anno sono occupati nelle ore pomeridiane o notturne da frotte di bambini e adolescenti, di solito ma non sempre muniti di pallone da calcio e scarpette da ginnastica.
Sono altrettanti esempi di come la città viene utilizzata dai suoi abitanti, di come questi si organizzino per piegare alle proprie esigenze, più o meno urgenti, gli spazi disponibili, cioè gli spazi pubblici; di come si reagisca alla penuria e all’indifferenza: tu non mi dai una palestra, noi ci mettiamo in strada; tu non mandi i giardinieri, i netturbini, noi diventiamo giardinieri, netturbini; tu non apri il parco, allora lo apriamo noi.
Al di là dei divieti, dei comitati di commercianti, di chi storce il naso sui giornali, dei raid dei vigili, delle squadre di operai mandate a elevare muri, transenne o altro tipo di ostacoli… Sono modi d’uso, pratiche a nostro avviso virtuose, che non cancellano quelle viziose, che come sappiamo sono altrettanto diffuse e aggressive, nella nostra città, e per gli stessi motivi:l’abbandono, l’incuria sistematica, l’assenza di un governo del territorio. Ma qui elenchiamo alcune di quelle positive e proviamo a capire che cosa ci dicono. Ogni storia è differente, ma in molti casi salta agli occhi una caratteristica: il cambiamento di ruolo di chi si organizza, la mancanza di specializzazione, l’attivazione di risorse latenti, assopite, non richieste. In un caso almeno c’è la collaborazione dell’istituzione, ma si tratta di un’eccezione, il più delle volte arrivano i vigili o la polizia. Come sappiamo la manutenzione ordinaria è uno dei problemi cronici delle amministrazioni napoletane. Ma nessuno sembra in grado di porsi in ascolto, di dialogare con chi fa per conto suo, con chi manifesta con i fatti il proprio modo di intendere lo spazio pubblico.
Negli ultimi tempi le amministrazioni locali, facendo leva sulla sponda del governo centrale, di qualsiasi colore esso sia, cercano di uscire dall’angolo in cui si sono messe dopo tanti disastri, ponendo l’accento su due modi di governare: quello dell’emergenza, quando sono sulla difensiva, e quello dei grandi eventi, quando cercano di passare al contrattacco. Entrambi sono modi che mettono tra parentesi la gestione ordinata della vita quotidiana, eludono la partecipazione dei cittadini, glissano sulle esigenze di buona amministrazione. Nei grandi eventi si mette in piedi una burocrazia sovradimensionata, si arruolano pattuglie di sedicenti esperti, si assegna loro un campo d’intervento, si concentra un investimento cospicuo in un tempo limitato e per interventi effimeri. Durante queste manifestazioni i cittadini diventano pubblico, a volte pagante a volte no; la sostanza è che non devono far altro che assistere, fidarsi, lasciarsi guidare. I grandi eventi sono il contrario dei piccoli e sudati episodi che ci mostrano il modo in cui le persone acquistano autonomia, resuscitano la socialità, rivendicano l’uso creativo dei luoghi in cui vivono. Per chi ha il potere si tratta di esperienze rischiose, perché imprevedibili, disordinate, incontrollabili, che mettono in subbuglio luoghi e persone, rischiano di alterare ruoli e competenze fossilizzate.
Il modo di governare attraverso l’emergenza è da anni in Campania sotto gli occhi di tutti, anche qui in sostanza si affida tutto a una ristretta cerchia di autoproclamati specialisti, i quali sotto il riparo di un garante posto al vertice della struttura, si dedicano a fare e disfare ignorando vincoli e regole, o come ha spiegato con convinzione il commissario ai rifiuti Bertolaso per legittimare il suo operato, pretendono di non fermarsi ai semafori rossi. Anche in questo modo di governare non è previsto il contributo dei governati, se non sottoforma di obbedienza e cieca approvazione. E invece nei mesi scorsi la popolazione ha reagito, e lo ha fatto occupando fisicamente e ri/creando spazi pubblici, che hanno attirato, spingendo a manifestarsi, anche componenti della società di solito sorde al richiamo alla partecipazione. Nelle strade di Pianura, nella Manifattura Tabacchi di Gianturco o alla rotonda Titanic al confine tra Chiaiano, Marano e Mugnano – spazi pubblici di emergenza, nati contro le politiche dell’emergenza – si sono affacciate le donne e i ragazzi delle periferie, alcuni con prepotenza, mostrando le insegne in cui si riconoscono, altri timidamente, alla spicciolata, ma tutti si sono esposti, hanno preso la parola sul destino del proprio territorio, hanno mostrato coraggio e organizzazione. L’hanno fatto contro la polizia e i carabinieri e per questo sono stati accusati di fare il gioco dei camorristi. E di certo non sono mancate ambiguità. I ragazzi di Pianura, tirando pietre e alzando le barricate, hanno impedito che si riaprisse una discarica che nei mesi successivi è stata dichiarata dalle stesse istituzioni una bomba a orologeria piena di rifiuti tossici; le donne di Gianturco hanno impedito che un’enorme struttura dismessa come la Manifattura Tabacchi diventasse un deposito di immondizia senza alcuna utilità per la crisi in atto, ma solo per mostrare alla provincia che il capoluogo stava facendo la sua parte. E a Chiaiano, intanto, i giochi sono ancora aperti… (luca rossomando)
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