In una calda giornata estiva il procuratore Cecca nel pieno delle sue facoltà uscì di casa con passo svelto e risoluto e si diede fuoco. Al lettore non è dato sapere come si diede fuoco – è un segreto che rimarrà per sempre tra queste righe -, rispetto al luogo, diremo, invece, che il procuratore Cecca si diede fuoco in un piazzale assolato circondato da campagne desertiche. Rimase, solo per poco tempo, una chiazza nera al suolo – misto di asfalto consunto dal tempo e terra battuta, priva della minima vegetazione – un brandello di scarpa, un lembo di giacca. Un’altra cosa che, a sfregio, il lettore non saprà mai, è come si chiamasse, per intero, il procuratore e se Cecca fosse il nome o il cognome. Diremo, piuttosto, che aveva un temperamento alquanto gioioso e sereno, ed era dotato di un forte senso di onnipotenza e di un’arcaica, misteriosa, profonda religiosità.
Affinché l’immotivato ma sentito odio per il lettore sia definitivamente chiaro, non si accennerà, neppure lontanamente, a una descrizione fisica, puranco minima, del soggetto, dell’ambiente che lo circondava e del periodo storico. Volendo esagerare, si puntualizzerà quanto il protagonista mancato della nostra storia abbia compiuto questo gesto senza il benché minimo motivo. Impossibile ricercare motivazioni di qualsiasi tipo. Gli speculatori psicanalitici, tra queste righe, non troveranno pane per i loro denti, chi desidera essere avvinto dall’incalzare del racconto rimarrà parecchio deluso, dal momento che il protagonista finisce così, sul nascere, non consentendo la minima possibilità di sviluppo narrativo.
Si tragga la conclusione di quanto l’autore di questo racconto abortito odi genuinamente chi legge, sia esso bianco, giallo o nero, e di come, curiosamente, detesti se stesso, escludendo anche l’ipotesi gratificante e, forse in parte risolutiva, di un’affermazione in campo letterario. Soltanto una percezione sensoriale, inesorabile, preme descrivere: un odore intenso, atipico, di terra bruciata misto a quello del fumo ormai svanito, entrambi amalgamati da un’afa che lascia il tempo che trova, qualsiasi esso sia. E forse, a un minimo di venticinque metri sopra la macchia, passerà un solo uccello. Se già non è passato. E, nel caso migliore, defecherà in volo. (nicola vicidomini)