L’11 luglio scorso le strade intorno al porto di Napoli si sono affollate di manifestanti che hanno accolto la coalizione della Freedom Flotilla, la nave della libertà che sfida il blocco navale di Israele per portare soccorsi umanitari nella Striscia di Gaza. Il coordinamento napoletano per la Palestina ha organizzato una settimana di eventi in sostegno alla causa, sottolineando quanto sia importante lanciare messaggi di solidarietà in un periodo che vede la chiusura dei porti per chi attraversa il Mediterraneo.
Non è la prima volta che attivisti da tutto il mondo si uniscono. Questa volta salpano su di un vecchio peschereccio e tre barche a vela per promuovere un’azione altamente simbolica per la Palestina. “Ship to Gaza” lavora per rompere il blocco illegale di Israele in maniera pacifica, e negli anni è riuscita a farsi appoggiare dalla politica internazionale. Nel 2010 la flotta tentò di forzare il blocco navale e fu attaccata dalla Marina israeliana. Nove persone turche a bordo della nave più grande della flotta, la Mavi Marmara, furono uccise durante una violenta sparatoria.
Il capitano della Flotilla, Herman Reksten, ci ha detto: «Questo lavoro ha uno scopo diverso quando non si è costretti a trasportare merci a persone sconosciute. La situazione è diventata più urgente in Palestina. È un’azione diretta e necessaria per creare attenzione a livello mondiale. Il nostro scopo è far capire che la solidarietà è fondamentale». Divina Levrini, di Activists for peace, pensa che appena si avvicineranno al blocco israeliano probabilmente saranno fermati, ma sottolinea il suo dovere di «mostrare al mondo cosa sta accadendo in Palestina». Perché «i bambini di Gaza devono avere gli stessi diritti che hanno i miei bambini in Svezia».
Sull’imbarcazione anche Oldoz Javidi, attrice e membro del Feminist Initiative Party: «Dopo le visite in un nuovo paese, le persone si tengono in contatto e seguono il nostro viaggio. Più ci avvicineremo a Gaza peggio sarà. Israele taglierà tutte le comunicazioni a bordo, come sempre. Dovete essere gli occhi e le voci di tutte e quattro le barche della Freedom Flotilla, per la sicurezza dell’equipaggio, oltre che per i palestinesi a Gaza che hanno l’opportunità di essere raggiunti dall’attrezzatura medica».
Da Australia, Canada, Sud Africa, Svezia, Norvegia, Malaysia, Spagna e altri paesi, come racconta Kristian Svenberg, medico, la cosa più importante non è rappresentata dalle navi, ma dalle discussioni che portano in giro per il mondo. «Le navi si muovono lentamente, si fermano in ogni porto. L’azione, quindi, dà tempo alle persone di pensare che l’assedio in Palestina riguarda tutti».
Nel 2007, Israele ed Egitto hanno introdotto un blocco economico di Gaza che ha creato una crisi umanitaria nell’area. Secondo l’Unicef, metà dei bambini a Gaza dipendono dagli aiuti e uno su quattro ha bisogno di assistenza psicologica. All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno annunciato la riduzione drastica del proprio contributo alla Società di Soccorso delle Nazioni Unite per i Rifugiati palestinesi, l’UNRWA, e quasi sessantacinque milioni di dollari sono stati ritirati dall’agenzia delle Nazioni Unite che aiuta oltre cinque milioni di rifugiati nella regione, compresi servizi sanitari e sociali.
In questi giorni, invece, dieci medici napoletani hanno aiutato ad acquistare cinquemila euro di garze sterili e suture per il viaggio a Gaza. Le barche, a Palermo, verranno riempite il più possibile di attrezzature mediche prima della partenza. «Se le forze di occupazione fermeranno le barche, chiederemo loro di inviare immediatamente a Gaza le forniture mediche urgentemente necessarie», continua Kristian. «La nostra umanità non è completa se non lottiamo per la giustizia e per i diritti umani di tutti», riflette ad alta voce Awni Farhat, ricercatore palestinese, emigrato nel 2015 per studiare nei Paesi Bassi.
Sulla flotta ci sono anche due attivisti israeliani. Zohar Chamberlain vive da quattordici anni in Spagna e ha coordinato Women’s ship to Gaza nel 2016. Quest’anno salpa per la prima volta sulla Flotilla e crede nel lavoro in campo politico e sociale che fanno le donne in Palestina. «Quando una delle due navi si è fermata in Spagna, nel 2016, ci siamo sentite tutte sul mare anche senza partire». Insieme a lei anche Yonatan Shapira, in passato capitano e pilota di elicottero di soccorso nell’Aviazione israeliana. Nel 2003 ha organizzato un gruppo di ventisette piloti e dichiarato il rifiuto a prendere parte all’uccisione di palestinesi: «Sento che è mio dovere aiutare. Quando le persone vivono in una prigione all’aperto devi abbattere i muri. C’è un grande movimento popolare a Gaza che in maniera coraggiosa cerca la sua libertà. La resistenza funziona solo se le loro voci si sentono. E io, dal lato dell’occupazione, le sento ogni giorno».
Per questo le quattro navi, Freedom, Al Awda, Mairead e Falestine, attraccate il 16 luglio al molo del porto di Palermo nonostante l’incertezza causata dalla attuale militarizzazione nel Mediterraneo, continueranno il viaggio verso Gaza. Perché si continui a informare sulle condizioni che non permettono ai palestinesi di essere liberi, e nel tentativo di risvegliare tutta la solidarietà possibile per non lasciare questa lotta nell’isolamento. (alessandra mincone / julia lindblom)