Ponticelli, area est di Napoli. Del vecchio borgo contadino rimangono tracce nel centro antico, nella struttura delle case a due piani con le corti interne, che ospitavano le cantine e le stalle, mentre man mano che ci si allontana dal centro inizia a prendere forma la città operaia e gli alloggi popolari costruiti dopo il terremoto del 1980 con il Programma straordinario di edilizia residenziale, in cui si inseriva il progetto urbano di dotare il quartiere di parchi, strade, scuole e attrezzature sportive. È in quegli anni che viene aperta la biblioteca Grazia Deledda. La sede è a due passi dal centro, accanto al parco De Simone.
Qui incontro Pietro, co-animatore del progetto “Socializziamo in biblioteca” che nel 2020 ha vinto il bando “Biblioteca casa di quartiere” e che vede la collaborazione di tre associazioni (Terra di confine, Noi@Europe, la cooperativa Se.Po.Fa) con l’ente locale (assessorato ai giovani e assessorato alla cultura) per migliorare gli ambienti e la fruizione della biblioteca Deledda. Nello specifico il progetto prevede la ristrutturazione di alcuni locali, l’auto-progettazione di un’area studio esterna, la creazione di uno sportello di orientamento alla mobilità europea, l’organizzazione di corsi di lingua – tra cui anche l’arabo –, corsi di scrittura, presentazioni di libri, incontri con autori e autrici…
A differenza delle altre visite, qui i dipendenti comunali che svolgono la funzione di bibliotecari non si rendono disponibili per un’intervista. È Pietro a mostrarmi lo spazio: visitiamo le aule studio ristrutturate al piano terra, che dovrebbero essere funzionali a partire da settembre, una volta messo il vetro alle finestre. «Per la ristrutturazione, il Comune ha gestito una quota del budget di progetto e ha assunto una ditta. Noi, come partner, monitoriamo i tempi». Purtroppo, aggiunge Pietro, i fondi a disposizione non erano abbastanza per una ristrutturazione totale; in effetti, in una stanza a fianco, sono rimasti i segni di umidità sulle pareti.
Proseguiamo la visita al piano di sopra, dove si accede a un’ampia sala lettura piena di luce che entra da grandi finestre laterali e da fessure sul soffitto. Scaffali alti e grigi ospitano la maggior parte della dotazione libraria e creano corridoi tra le postazioni di lettura. I libri, divisi per temi, provengono in gran parte dalle prime acquisizioni. «Quando siamo arrivati – dice Pietro –, abbiamo scoperto che solo il quindici per cento dei titoli era stato inserito sull’Opac. Così durante il confinamento, in attesa di iniziare il progetto, abbiamo registrato sul catalogo digitale la maggior parte dei libri».
C’è anche una sezione napoletana dove, accanto a una prima edizione dei racconti di Peppe Lanzetta, trovo una copia del Monitore napoletano del 1799 a cura di Mario Battaglini che raccoglie gli articoli del giornale fondato da Eleonora Pimentel de Fonseca durante la breve vita della Repubblica napoletana. Un titolo sulla Resistenza mi ricorda che Ponticelli fu il primo quartiere europeo a insorgere contro il nazifascismo, dando inizio a quelle Quattro giornate che avrebbero riscritto la storia.
Su un espositore all’ingresso della sala lettura c’è anche una sezione di testi in lingua braille.
Scendiamo nell’atrio, di fronte all’entrata, dove panche e tavoli di legno chiaro sono disposti intorno a pilastri di cemento. «Questo è l’intervento di auto-progettazione dello spazio esterno che abbiamo realizzato l’anno scorso, appena la biblioteca ha riaperto», mi spiega Pietro. Intanto ci hanno raggiunto Nicola e Valerio, giovani architetti che hanno progettato e realizzato l’arredo. «Parlando con i ragazzi che vengono qui a studiare, molti sentivano la necessità di uno spazio per studiare fuori, soprattutto d’estate quando al piano di sopra fa troppo caldo» dice Nicola. Spesso chi veniva a studiare, aggiunge Valerio, spostava tavoli e sedie lì fuori, sotto lo sguardo contrariato dei dipendenti comunali. L’idea è molto semplice: intervenire il meno possibile sull’ambiente e creare uno spazio che rispondesse alla necessità di studiare all’aperto, ma anche di fare socialità. Accanto al nostro tavolo una ragazza studia sul suo portatile, un gruppo chiacchiera davanti a un caffè e più in là una coppia parla sottovoce e ride. Anche qui, come nel resto delle biblioteche comunali, non è stato ancora installato il wi-fi, nonostante le sollecitazioni delle associazioni che fanno parte del progetto, a causa di una impasse burocratica con la municipalità.
Arriva Anna, che studia Relazioni internazionali e si occupa dello sportello di orientamento alla mobilità europea. Quando non lavora viene comunque qui a studiare: «Sono tornata da poco dall’Erasmus e questo posto mi ha ridato un senso di comunità: qui ci conosciamo un po’ tutti e poi, avendo interessi simili, abbiamo finito per frequentarci anche fuori». Di recente ha iniziato ad aiutare coi compiti dei bambini del quartiere che si trovavano in biblioteca e che ora tornano spesso a cercarla. «Questo – dice Pietro – dimostra che se ci fosse una figura professionale ad accoglierli, a farli giocare, a leggere ad alta voce, i bambini verrebbero con piacere. Purtroppo qui si basa tutto sulla buona volontà delle persone».
A Ponticelli, come nell’area est di Napoli, è stato sempre presente un forte tessuto associativo, dal radicamento storico dei partiti e delle associazioni della sinistra operaia, all’associazionismo cattolico, alla rete sociale e culturale che si è creata negli ultimi anni e che vede coinvolte realtà come Maestri di strada, Arci Movie e molte associazioni di volontariato e progetti di recupero di quelle aree abbandonate da una rigenerazione mai compiuta. Nell’assenza di politiche pubbliche, questa rete sociale tiene insieme il quartiere e prova a offrire un’alternativa al partire e alla noia della periferia; anche se, nota Nicola, Ponticelli rischia di diventare sempre più un quartiere-dormitorio. «Noi siamo motivati ad andare avanti e a fare della Deledda un modello per le altre biblioteche cittadine – continua Pietro –. Di fatto, stiamo facendo quel che dovrebbe fare il direttore di una biblioteca e quindi il responsabile della municipalità».
Nel frattempo le panche e i tavoli si sono riempiti; c’è chi studia, chi viene a fumare una sigaretta con gli amici, chi passa a salutare e se ne va. Mi chiedo cosa ne sarebbe di questo come di altri spazi senza l’impegno di chi persevera nel vuoto di una progettualità politica, senza la buona volontà di chi prova a riempire quei buchi lasciati aperti e mai colmati, in quartieri dove le promesse di riscatto sono coperte dalla polvere come le vecchie riviste sugli espositori delle biblioteche o arrugginite come le reti dei campetti da calcio abbandonati.
Saluto Anna, Pietro, Nicola e Valerio e mi rimane il desiderio di spingermi più spesso oltre i confini della città e i sentieri battuti del suo centro. (cecilia arcidiacono)
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