Lo stereotipo del napoletano di talento ma individualista e poco incline a lavorare con gli altri è al centro di un intervento di Luciano Stella, che sintetizza un lungo dibattito sul fare cultura in corso negli ultimi mesi su Repubblica Napoli, con una esortazione agli operatori culturali a “contaminarsi e fare rete” per il bene dell’economia regionale. Stella mette tutto nel frullatore, il teatro e il cabaret, i fumetti e la filosofia; nella sua visione tutto dovrebbe confluire in una vivace medietà che l’invisibile mano della politica avrà il compito di coordinare, mescolando il genio degli artisti con le risorse naturali del territorio. Ritorna poi l’evocazione del Maggio dei monumenti, fiore all’occhiello di una presunta età dell’oro delle politiche culturali che si allontana nel tempo e nella memoria e che difficilmente tornerà. Ma chi ha vissuto con gli occhi aperti quel periodo ha imparato proprio allora che i politici intervengono nel campo della cultura solo quando hanno soldi da spendere, mentre in periodi di crisi non hanno né l’interesse a rischiare, né la capacità di aguzzare l’ingegno. Sono i soldi che aguzzano l’ingegno. Le politiche culturali che hanno segnato gli anni di Bassolino, criticabili sotto molti punti di vista, erano il frutto di selezioni, di scelte nette tra chi coinvolgere e chi tenere fuori, a partire da idee precise e soprattutto grande disponibilità di risorse. L’esatto contrario dello scenario attuale. Il “contenitore autorevole” dove Stella vorrebbe far confluire tutte le “carismatiche diversità” che secondo lui animano la vita culturale napoletana, è stato realizzato appena l’anno scorso: era quella rassegna confusa e poco eccitante passata sotto il nome di Forum delle culture.
Sono decenni che ascoltiamo il ritornello del connubio tra arte, natura e turismo a beneficio di un non meglio precisato interesse comune. Ai napoletani che conservano la serenità di spirito per apprezzare le creazioni artistiche, forse importa di più che le istituzioni culturali funzionino a un livello accettabile, che i musei siano accoglienti e propongano mostre originali, che i pochi cinema rimasti non programmino tutti gli stessi cinque o sei film commerciali, che un festival costituisca l’occasione per far entrare in città l’aria nuova che circola per il mondo, e non per smaltire i fondi di magazzino della creatività locale.
C’è una parte, magari minoritaria ma qualificata, di chi fa cultura oggi in città, a cui non importa se il governatore De Luca nominerà o meno un assessore al ramo, perché da quella parte non si sono mai aspettati nulla. Ci sono artisti che si sentono napoletani fino al midollo, ma ai quali non importa di valorizzare il paesaggio o i monumenti con la propria arte. Sono persone dotate di un’alta coscienza del proprio talento e proprio per questo attente a non finire in calderoni dai contorni poco definiti. Antonio Neiwiller parlava di una morale da trovare giorno per giorno, in luoghi “aperti ma appartati”. Il suo modo di lavorare tenacemente insieme agli altri, in piccoli gruppi poco appariscenti, ha esercitato un’influenza carsica nel teatro italiano degli ultimi vent’anni le cui tracce sono visibili in tanti luoghi della nostra città, attraverso singole precise esperienze.
Felice Pignataro è stato animatore culturale inesauribile e inascoltato. Solo da morto le istituzioni gli hanno reso omaggio dedicandogli una stazione di periferia della metropolitana. Eppure è stato Pignataro, in compagnia di pochi sodali, a fondare trentacinque anni fa il carnevale di Scampia, in cui oggi si contaminano e fanno rete decine di gruppi e associazioni provenienti da tutta Italia, al di fuori di ogni cornice istituzionale. E nel deserto di Scampia continuano a sbocciare fiori seminati dalla sua attività, che appariva a molti isolata e senza speranza.
Come loro, esistono oggi a Napoli persone aperte e appartate, giovani e vecchie, apprezzate in Italia e all’estero, che esercitano un’influenza evidente o sotterranea su colleghi e allievi, e che vogliono decidere da sé con chi stabilire collaborazioni e alleanze; e che valorizzano la città in maniera profonda, con le opere e con l’esempio. Se gli assessori riusciranno a far funzionare come si deve le biblioteche e i centri civici, godranno della generale riconoscenza. Nel tempo che gli resta potranno dedicarsi ai cartelloni culturali. La vita dell’arte e della cultura però scorre altrove. (luca rossomando)