Il numero uno de Lo stato delle città è da questa settimana anche a Palermo, presso la libreria Easy Reader (qui indice ed elenco completo dei punti di distribuzione).
Dalla rivista pubblichiamo un estratto dell’articolo La fine dell’ex Indesit. Come scompare la grande industria in Campania, di Giuseppe D’Onofrio.
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È il 1987 quando la Merloni Elettrodomestici di Fabriano, proprietaria del marchio Ariston, si appresta, con un’operazione dispendiosa e complessa, a rilevare e rilanciare sul mercato il suo storico concorrente: il marchio Indesit. L’operazione riesce così bene da spingere Vittorio Merloni, una ventina d’anni dopo, a rinominare l’azienda di famiglia Indesit Company. Negli anni Ottanta, in Campania, la Indesit possiede quindici stabilimenti produttivi e occupa più di cinquemila operai. Si producono radio, televisori, lavatrici, frigoriferi, ecc. «Io vengo dallo stabilimento numero 14, dove si facevano i compressori – racconta un operaio di linea –. In fabbrica tutto era diverso da ora. I ritmi di lavoro erano differenti. Si lavorava senza subire le pressioni della produttività, delle consegne, della competitività. Diciamo che era tutto un altro modo di intendere il lavoro».
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, i Merloni s’inseriscono a pieno titolo nella corsa al ribasso sui costi di produzione, in particolare materie prime, lavoro ed energia, ridimensionando gradualmente il numero di addetti negli stabilimenti italiani. Nel 1999 viene aperto il primo stabilimento in Polonia, a Lodz, deputato alla produzione di cucine. Solo il venti per cento della produzione di questo stabilimento è però destinato al mercato polacco.
Negli anni Duemila la Merloni Elettrodomestici possiede undici stabilimenti in tutta Europa, ventuno sedi commerciali ed è il terzo produttore europeo nel settore del “bianco”. In Campania l’azienda occupa più di milleduecento operai e possiede due stabilimenti produttivi: il numero 11 in località Teverola deputato alla produzione di lavatrici a carica frontale e il numero 12 in località Carinaro deputato alla produzione di frigoriferi da incasso. Le fabbriche sono sostanzialmente catene di montaggio. La produzione di tutta la componentistica da assemblare sulle linee – plastica, vetro, cestelli, serpentine – proviene dalle aziende dell’indotto, localizzate quasi tutte in prossimità degli stabilimenti nell’area industriale di Aversa Nord.
In questi anni le trasformazioni prodotte dalla ristrutturazione dell’economia capitalista avviata all’inizio degli anni Ottanta – frammentazione dei processi produttivi, specializzazione flessibile, esternalizzazioni in paesi caratterizzati da bassi salari e assenza totale o parziale di diritti dei lavoratori, organizzazione reticolare della produzione – hanno già determinato il declino industriale di numerose città e aree territoriali, ridisegnando la geografia del lavoro e della produzione. La Campania, come molte altre aree del paese, continua a perdere pezzi consistenti della propria industria: Olivetti, Siemens, Italtel, ecc. Lo smantellamento della grande industria avviene in modo sempre più “scientifico”, attraverso il ricorso al “trasferimento del ramo d’azienda”: «L’impresa – racconta Raffaele, sindacalista Fiom della provincia casertana – cede l’azienda a un altro imprenditore a cui poi esternalizza per tre anni parte della produzione. Alla scadenza delle commesse, l’imprenditore concede gli ammortizzatori sociali e procede alla chiusura poiché non in grado di intercettare commesse sul mercato. Questa è stata la strategia principale utilizzata per smantellare fabbriche e classe operaia nei nostri territori».
La crisi economica del 2008, la crescente competizione internazionale e la corsa al ribasso sui costi di produzione nel settore degli elettrodomestici spingono l’azienda a intervenire pesantemente sulla produttività aziendale. Il management impone la riorganizzazione di alcuni stabilimenti incidendo direttamente sulla velocità delle linee. A partire dal 2010 la taratura delle catene di montaggio di Teverola e Carinaro inizia ad assecondare le pressioni del management. «Il primo intervento – ricorda Pasquale, operaio di linea a Teverola – fu inserire dei pulsanti verdi sulla linea in modo che quando l’operaio aveva completato la sua fase, poteva schiacciare il pulsante e far scorrere il pezzo senza aspettare che la linea scorresse automaticamente in base al tempo stabilito dai tecnici per ogni singola fase di lavoro. Questo ti consentiva di finire prima. A livello psicologico, tu operaio che sei sempre incollato alla catena, tendi a schiacciare perché pensi di finire prima e non ti accorgi che sei tu stesso ad aumentare il ritmo di produzione».
La ristrutturazione del 2013
L’alienazione è sempre stata direttamente proporzionale alla produttività e all’efficienza. Il progetto Porsche ne è la prova evidente. Porsche è il nomignolo affibbiato dagli operai di Teverola al progetto Indesit Manufacturing Excellence (IME) promosso dall’azienda con l’obiettivo di creare valore attraverso l’eliminazione degli sprechi e una riduzione di tempi e costi. Si tratta in realtà di un progetto ad altissima intensità di lavoro che dal 2011 al 2013 consente allo stabilimento Indesit Company di Teverola di produrre più di seicento lavatrici al giorno su ogni linea fatturando milioni di euro. «Il progetto – racconta Gerardo, operaio di linea a Teverola – fu avviato per la produzione di una nuova lavatrice, quella da nove chili, e fu realizzato grazie al sacrificio di tutti gli operai. In quel periodo sulle catene di montaggio non si riusciva nemmeno a bere un bicchiere d’acqua. Tra colleghi ci prendevamo in giro dicendo che ci voleva il beverino che hanno i conigli nelle gabbie. Il pezzo passava così velocemente che era impossibile anche soffiarsi il naso. Le catene erano tarate su una velocità assurda. Perciò lo chiamavamo progetto Porsche. Di sera andavamo a casa stremati. I turni erano di sette ore e trenta, con quindici minuti di pausa. E riguardava tutte le postazioni, nessuna esclusa. È durato solo due anni ma sono stati anni duri».
L’obiettivo della multinazionale è di aumentare la produttività lasciando invariato il costo del lavoro. Ciò diviene possibile solo ridisegnando l’organizzazione del lavoro, sincronizzando tutte le fasi del processo ed eliminando i tempi morti. In pratica si tratta di incidere sui metodi di lavoro, sui turni, sulle pause e sugli orari al fine di recuperare velocità e quindi efficienza.
Il “premio” conferito agli operai di Teverola per la partecipazione al “progetto Porsche” arriva nel giugno 2013. L’azienda annuncia un grande piano di ristrutturazione, denominato Piano Indesit Italia, per gli insediamenti produttivi di Fabriano, Comunanza e Caserta. Il piano prevede per l’area di Caserta: investimenti per rendere il sito l’unico polo delle produzioni di piani gas e di frigoriferi a incasso; la sospensione della produzione di lavatrici a carica frontale nello stabilimento di Teverola e il trasferimento della stessa presso lo stabilimento di Manisa in Turchia; la sospensione della produzione di lavatrici a carica dall’alto e il trasferimento della produzione in Polonia.
Nel 2013 la multinazionale fabrianese è leader assoluta in Italia, Russia e Regno Unito, e tra le prime in Europa nella produzione e commercializzazione di grandi elettrodomestici. Il suo fatturato ammonta a due miliardi e settecento milioni di euro. I nuovi produttori provenienti da Cina, Corea del Sud e Turchia, però, godendo di un mercato domestico in rapida crescita e di un posizionamento industriale molto competitivo, riescono a finanziare i propri business in Europa e a conquistare rapidamente quote e volumi crescenti con politiche molto aggressive. L’aumento della competizione internazionale, unito a una congiuntura del mercato europeo particolarmente sfavorevole, determina una forte contrazione dei volumi di vendita e una continua erosione dei prezzi minacciando i profitti della proprietà. Questi elementi spingono la multinazionale a ridimensionare le attività nei paesi dell’Europa occidentale e a spingersi verso i mercati dell’Est Europa, del Medio Oriente e del Nord Africa che, invece, mantengono un forte potenziale di crescita.
Con il piano di ristrutturazione inizia una fase di conflitto tra i sindacati e la proprietà. I sindacati gestiscono la vertenza in modo unitario, compatti e determinati. Iniziano scioperi e presidi agli ingressi degli stabilimenti. Di fronte a una trattativa bloccata dalla massiccia resistenza sindacale, l’azienda fa una forzatura e apre una procedura di mobilità per tutto lo stabilimento di Teverola. «Fu una vera e propria minaccia – racconta Massimiliano Guglielmi della Fiom –: o accettate il piano o vi licenzio in massa. Questo perché quando si apre una procedura di mobilità si ha un certo numero di giorni per trovare un accordo altrimenti partono i licenziamenti».
La mossa dell’azienda spacca il fronte unitario. La Fiom, da sola, continua a opporsi al piano di ristrutturazione. Si ritiene allora opportuno indire un referendum tra i lavoratori. Sei operai su dieci votano a favore del piano credendo alla favola della riconversione produttiva. «Lo smantellamento di Teverola – continua Guglielmi – lo ricordo come uno dei momenti più tristi della mia attività da sindacalista. L’azienda cominciò a smontare tutte le linee di lavaggio fino a trasformare lo stabilimento in un capannone deserto. Gli operai erano quasi in lacrime».
Come stabilito nell’accordo sulla ristrutturazione, lo stabilimento di Teverola viene dismesso e la produzione convogliata in un’area dello stabilimento di Carinaro, dove si organizzano le linee per l’avvio della produzione di piani gas con un investimento a bassissimo capitale. In un’altra parte dello stesso stabilimento, invece, si continua a mantenere la produzione storica di Carinaro: il frigorifero da incasso. (continua…)
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