Mentre la formazione di Carlo Ancellotti asfaltava la compagine salinsburghese targata Red Bull, presso il teatro Sannazzaro coreografie di un pubblico da sold out regalavano a Mitsuko Uchida le gioie e i dissapori di una data partenopea tanto micro-rumorosa quanto raccolta nella sua partecipazione al rituale concertistico.
L’avvicinarsi della primavera rende ancora più effervescenti gli appuntamenti musicali di questa città. Il tutto esaurito di ieri è una riprova che lungimiranza e qualità premiano gli agitatori musicali, specie se guidati da una sempre emergente fidelizzazione del pubblico delle sale da concerto. L’interprete nipponica guadagnava una scenografia quanto mai adeguata e intima: uno sfondo luminescente senza artifici tecnologici in grado di proiettare la sua agile figura in assoluto primo piano, padrona del pianoforte a coda protagonista del recital. Un concerto dedicato alla musica esclusivamente romantica, totalmente consacrato a Franz Schubert: un concerto densissimo, animato a più riprese da interferenze acustiche – vuoi il tossire, vuoi il cellulare, vuoi il cigolio dei palchetti – eppure da una incredibile presenza musicale di una delle interpreti più importanti sul palcoscenico internazionale. Mi ha fatto sorridere la presenza in sala di molte sue connazionali portando alla memoria scene affini allo sbarco al Renato Curi di Hidetehoshi Nakata, dimostrando un senso di appartenenza che forse non ci appartiene più e che pure resta identitario di certe culture.
Bando alle osservazioni personali trasversalmente spettacoliste, godere del tocco della Uchida interroga qualsiasi musicista e non sulla costruzione di uno spazio performativo guadagnato tenacemente nella singolar tenzone, oltre che col silenzio, anche con il suono stesso. La musica delle sale da concerto consiste essenzialmente in un tipo di narrazione ricorsiva la cui educazione all’ascolto non pregiudica il dato di attesa e svolgimento della composizione musicale: in altre parole, se ascolti musica classica e fai attenzione alla sua logica costruttiva, dopo un po’ ti saranno intuitivamente chiari i nessi compositivi, la direzione di un racconto musicale teso essenzialmente alla ripetizione nella variazione e al tornare ai diversi punti di partenza piazzati qua e là nella composizione.
La Uchida ha il merito di articolare finemente questo discorso dando corpo ai suoni, ai silenzi, alla singolare sintassi che anima il discorso-decorso musicale: è la perspicuità a essere il vanto di ogni buona interpretazione laddove l’auscultazione dei meccanismi compositivi si lascia apprezzare nella sua delicatezza. Ma anche fisicità, come quegli interventi dalla brillantissima e potentissima articolazione: quanta vis deve stare nel polso del pianista nel controllare la tastiera. E quanta raffinatezza ha mostrato la Uchida nell’attesa completa che il ciclo di vibrazioni dello strumento venisse meno, così da regalarci il pianoforte al netto della sua corposa risonanza. Un concerto in due parti, con l’interprete che è sempre più a suo agio regalandoci momenti di altissima intensità. Più di novanta minuti di esecuzioni in grado di zittire sempre meglio l’esigente e quasi mai silenzioso pubblico della Scarlatti, che non poteva esimersi da un commiato molto lungo celebrato nella standing ovation che ha accompagnato Mitsuko Uchida fino al suo rientro in scena per un bis, quasi una dedica all’associazione nell’anno del suo centenario, regalandole uno Scarlatti davvero memorabile.
L’onda lunga della Scarlatti anticipa il fermento musicale che si registra in alcuni luoghi deputati della città quali un conservatorio sempre più aperto al pubblico, un San Carlo sempre più schiavo del pubblico e i millemila diversi posti che ospitano musica e musiche. I luoghi della musica a Napoli sono spesso sfuggenti, difficilmente mappabili; eppure non si può evitare di prendere in considerazione i diversi e storici attori che animano la cultura borghese che fonda il privilegio della musica accademica. (antonio mastrogiacomo)