Il 7, l’8 e il 9 giugno la Banda Basaglia, insieme allo Scugnizzo Liberato, ha organizzato la prima sbandata napoletana, “Sbandanapoli”: otto bande provenienti da tutta Italia ed Europa si riuniranno per suonare insieme. Ma che cos’è una sbandata, esattamente? Che senso ha farla? Chi sono questi “banditi” che si radunano, e perché?
In realtà, non credo che queste domande possano avere risposte che non siano plurali, declinate in maniera differente da ciascun musicista che partecipa. Perciò posso portare il mio punto di vista, così come è emerso dai tanti anni di militanza nelle bande metropolitane: per me, la banda è un’esperienza anche politica, di condivisione di esperienze di vita, attraverso la musica, attraverso il respiro del proprio strumento. La banda, questo tipo di banda, è una realtà orizzontale, in cui non c’è un capo, e ciascuno è chiamato a mettere a disposizione degli altri i propri saperi, le proprie competenze e le proprie emozioni, in cui si può esprimere la propria rabbia, la propria gioia, le proprie idee e condividerle in un’esperienza catartica.
La banda nasce con una apparente limitazione: per la sua natura semovente è costretta ad adottare solo strumenti che si prestano agli spostamenti, ed è costretta a suonare ad alto volume per farsi sentire in ambienti all’aperto, ma sono barriere solo apparenti: questa pratica è la celebrazione dell’individuale nel collettivo, è una scuola in cui ogni esperienza si rapporta alle altre, senza le barriere di uniformità stilistica e di bravura tecnica che le orchestre classiche e le bande “serie” mettono in atto. Il repertorio della banda sinfonica è tradizionalmente preso in prestito dalla musica classica. È una volgarizzazione, un riadattamento, spesso sotto forma di marcia, delle opere di autori classici e romantici. La banda metropolitana invece fagocita tutto, e assoggetta al suo stile unico e irripetibile qualsiasi musica nota al pubblico, rendendola estemporanea, riportandola a nuova vita, lasciandola libera di correre nelle strade, nelle feste di paese, nell’immaginario dei musicisti che si fondono con il pubblico in esibizioni che non hanno barriere di nessun tipo. È popolare, perché emanata direttamente dal popolo, nell’accezione più generalista del termine, una musica che viene dal centro della folla, dal caos. È sbagliata, stonata e spesso caotica: ma ciò che conta è che una melodia sia facilmente riconoscibile, e per questo basta il minimo indispensabile, in termini di arrangiamento, perché la musica popolare non richiede un’alta fedeltà di riproduzione.
La Banda Basaglia, che ha ideato l’evento, non ha certo scelto di intitolarsi al noto psichiatra per caso: l’esperienza di liberazione e di abbattimento dei muri, scaturita dal pensiero e dalla pratica di Basaglia, ha ispirato da sempre la nostra azione. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare “Sbandanapoli” al centenario della sua nascita, e abbiamo deciso di portare in giro per la città, da Montesanto a piazza Dante alle 16 di sabato 8, il nostro Marco Cavallo: una struttura in legno e cartapesta, metafora di utopia e di liberazione, nata dai “matti” del manicomio di Trieste nel 1973 e che sancì l’inizio di un percorso di apertura che portò nel 1978 alla legge 180, passata alla storia come legge Basaglia, che chiuse le istituzioni manicomiali, sancendo il diritto delle persone con malattie mentali di essere parte della società.
Il nostro Marco Cavallo richiama il suo cugino triestino: è una struttura in cartapesta a cura di Francesco Felaco e Antonino Filosa, decorata e completata con sogni e desideri insieme a bambine e bambini, adulti, ragazze e ragazzi autistici e con disabilità intellettiva, grazie alla collaborazione dell’educativa territoriale “Stelle sulla terra”, del laboratorio tenuto da Marta Porzio al Centro “La Scintilla”, del laboratorio “C’è qualcuno lì dentro” tenuto da Caroline Peyron alle Scalze e quello di “Lettura ad alta voce” tenuto da Sergio Bizzarro e Paola Lamberti nel carcere di Poggioreale. Ci ricorda anche oggi di un “dentro” di desideri e bisogni non ascoltati, non visti: quelli dei carcerati, dei ragazzi, dei “diversi”, dei fragili, offuscati dall’ombra delle guerre che accadono intorno a noi, isolati e abbandonati dall’indifferenza, emarginati da violenza e discriminazione.
A chiusura della giornata di sabato, tutte le bande si riuniranno allo Scugnizzo Liberato, per suonare prima alternandosi con le altre in una sorta di “Brass Battle”; poi tutte insieme, con un unico repertorio condiviso, daranno vita a un concerto eseguito da 35 Trombe, 53 Sax, 7 Susafoni/basso Tuba, 12 eufoni, 43 percussioni, 1 chitarra, 2 violini, 16 clarinetti, 1 Corno, 1 fagotto, 1 flicorno, 1 mellofono, 17 tromboni, 2 fisarmoniche, 7 flauti: forse una cosa mai vista in città, e che ci si augura sia solo l’inizio di un percorso di condivisione e liberazione attraverso la musica e l’arte. (ciro riccardi)
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