da la Repubblica-Napoli del 4 aprile 2013
Venerdì 5 aprile si proietta al Gridas di Scampia il documentario di Michelangelo Severgnini, “L’uomo con il megafono”. Presentato al festival del cinema di Roma e prodotto dalla napoletana “Figli del Bronx”, il film è un ritratto per immagini di Vittorio Passeggio, leader del comitato delle Vele di Scampia e personaggio molto noto negli ambienti della politica napoletana. Personalità incontenibile, voce martellante, paladino sempre più solitario delle periferie abbandonate, chiunque abbia partecipato ad almeno un dibattito pubblico su questioni di rilevanza cittadina, avrà impresso nella memoria l’inevitabile momento in cui Passeggio si impadronisce del microfono e comincia ad arringare la folla, in un crescendo polemico che finisce sempre al di là dei limiti imposti dal moderatore di turno.
Anche nel film di Severgnini, il protagonista si esibisce in alcuni dei suoi pezzi forti: il faccia a faccia con i celerini durante una manifestazione; la tirata nel consiglio di quartiere che ospita i candidati in campagna elettorale; l’illustrazione ai militanti riuniti in assemblea della linea da seguire, e così via. Passeggio, insomma, è il classico capopopolo, come ce ne sono stati in passato nella storia della città e come ce ne saranno in futuro. Il cuore del film, e il suo motivo d’interesse, è che si tratta di un capopopolo della generazione scorsa. I tipi come Passeggio, infatti, sono in via di estinzione. Esistono nuovi modi dell’agire politico, un nuovo lessico, forse nuove aspirazioni dei cittadini o almeno nuove forme in cui queste vengono espresse. Lui è l’illustrazione vivente di un mondo al tramonto, un mondo in cui esisteva ancora un nesso reale tra partito e militanti di base, tra ideali generali e modo di operare dei singoli, un mondo in cui la speranza di una vita migliore aveva ancora dei portavoce plausibili, degli esempi in carne e ossa ai quali ispirarsi.
Uno come Passeggio, nel 2013, rischia in ogni momento di diventare una macchietta. È questa la trappola principale che il film – concentrato dall’inizio alla fine sulla sua figura – deve cercare di evitare, e per fortuna ci riesce quasi sempre. Non è un caso che il documentario di Severgnini, il regista, si apra con il protagonista che si lamenta sommessamente: “Dopo il terremoto se ne sono andati tutti. Vengono qui solo per le elezioni”. Passeggio è rimasto solo, ormai da tanti anni. Nella sequenza chiave del film, lo vediamo convocare un’assemblea del comitato con l’immancabile megafono alla bocca, sotto la pioggia battente, rivolto ai ballatoi deserti delle Vele.
Il corpo tozzo di Passeggio, il suo incedere senza apparente esitazione, sicuro delle ragioni che lo muovono, il suo desueto vocabolario, pieno di parole di un’altra epoca – lotta di classe, proletariato, blocco sociale, organismi di massa e, naturalmente, rivoluzione – alludono a un pezzo di storia della sinistra cittadina che si riverbera sul presente, dalle scelte sbagliate del dopo-terremoto fino alle ultime primarie per il sindaco del partito democratico. Il tradimento delle classi dirigenti, il distacco anche fisico tra politici e cittadini – ben illustrato nel film da due fuggevoli puntate a Scampia di Andrea Cozzolino e Luigi de Magistris –, rimandano a un tracollo reale delle condizioni di vita in periferia. Secondigliano, Scampia, San Giovanni, Ponticelli, Barra, Bagnoli, Gianturco. L’abbandono, la solitudine, l’isolamento non sono più semplici frasi fatte ma si incarnano in eventi concreti – o in atti mancati –, dalle voragini che inghiottono le vite delle persone alle tante faide di una camorra che spadroneggia, dagli imbrogli alle primarie fino al fallimento di tutti i progetti urbanistici post-industriali. Con l’interrogativo, che resta sullo sfondo, se non esista davvero più, per le aspirazioni di questi territori, una prospettiva di rappresentanza civile e democratica, un’alternativa alla rabbia inascoltata dei comitati di autodifesa e al rapporto clientelistico e assistenziale con i mercanti di voti.
Come accade spesso ultimamente, è un documentario realizzato con pochi mezzi a raccontare in modo efficace un frammento importante della città, suggerendo domande e riflessioni che altri, dai ricercatori sociali agli stessi politici, dovrebbero approfondire. Come tutto questo sia accaduto, attraverso quali tappe e cedimenti e responsabilità e sconfitte si sia arrivati allo scollamento attuale tra abitanti delle periferie – o piuttosto della città intera – e chi dovrebbe governarli, rappresentarli, dare loro una voce, non lo troveremo qui. E forse è giusto non chiedere di più a questo film, che cercando altre strade avrebbe rischiato di appesantirsi in macchinose divagazioni. Accontentiamoci per il momento della versione dello stesso Passeggio, che mentre dipinge un tazebao sul retro di un manifesto, racconta a un bambino che lo osserva la storia delle lotte passate come se fosse un’antichissima fiaba. (luca rossomando)