
I numeri dell’“emergenza” in Emilia-Romagna, già oggi, sono drammatici: più di dieci vittime, decine di comuni allagati, centinaia di strade chiuse, mobilità ancora sospesa in virtù di numerose frane, migliaia di persone rimaste senza energia elettrica, migliaia di sfollati – e molti altri numeri che conosceremo nei giorni a venire.
A fronte di questi dati, anche allo sguardo più impietoso circa le responsabilità umane relative a questa crisi, credo possa risultare comprensibile la reazione stizzita che hanno avuto diversi amministratori del territorio emiliano-romagnolo accusando di “sciacallaggio” coloro i quali hanno avanzato polemiche, se non veri j’accuse, al loro operato degli ultimi anni: quelli, per esempio, che hanno sottolineato che le responsabilità non sono solo del “meteo”, oppure del “clima” – termine spesso usato dagli stessi amministratori, in questi giorni, come un sinonimo di sfiga. “Sciacalli” perché chi ha avanzato queste critiche lo avrebbe fatto in modo strumentale per accusare una parte politica e senza avere spesso alcuna competenza tecnica (“Ora sono diventati tutti geologi o climatologi!”).
Alcuni esponenti del consiglio comunale di Bologna, per esempio, hanno dichiarato che servirà del tempo per capire quali sono state nel dettaglio le cause che hanno provocato questa “emergenza”. Come a dire, inutile puntare il dito adesso, meglio sarebbe restare in silenzio e prendersi il tempo che ci vuole per produrre una solida analisi, e di conseguenza una valida proposta. D’altronde, se si parte dall’idea che la politica sia determinata sempre da rapporti di forza e da interessi in campo, come affermano alcuni consiglieri comunali invitando alla calma, occorre evitare qualunque “scorciatoia” analitica e impedire l’uso di teorie astratte che portino all’unico risultato possibile: “Ve l’avevamo detto che sarebbe finita così!”.
Se tale reazione stizzita è comprensibile, anche agli occhi dei cittadini come me che non detengono alcuna competenza geologica o climatologica, risultano però chiari almeno due aspetti. Il primo: pur correndo il rischio di apparire “meschini” (altra accusa fatta a chi avanza critiche alla classe politica che governa in Regione), è evidente come dare la colpa al solo “cambiamento climatico” sia un modo per sfuggire (noi tutti, cittadini e amministratori) a ogni responsabilità. Il secondo: appare altresì evidente quanto fenomeni di straordinaria intensità, come quelli che hanno colpito alcuni territori della regione, derivino da una combinazione di eventi (tutti da studiare in profondità, certamente) in cui tale “cambiamento climatico” (che evidentemente esiste) non ha fatto altro che amplificare le conseguenze dei dissesti di aree molto fragili; aree fragili anche per errori legati a una gestione non attenta del territorio, a partire dalla insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua e da un eccessivo consumo di suolo.
Ha senso, in questi giorni, “politicizzare” il dibattito? Innanzitutto, potrebbero rispondere i governanti emiliano-romagnoli, l’accusa dovrebbe essere rivolta ad altri attori politici. Dal 2018, per esempio, nei cassetti del ministero dell’ambiente giace una bozza di piano di adattamento ai cambiamenti climatici mai seriamente preso in considerazione dagli ultimi governi. La stessa Corte dei Conti, d’altronde, in una relazione pubblicata l’anno scorso, denunciava come tali governi abbiano speso poco in prevenzione (non è un caso che la neosegretaria del Pd, Elly Schlein, la quale ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della Regione, sia stata tra le prime a chiedere che i fondi del Pnrr siano usati per la messa in sicurezza del territorio). Il Parlamento, inoltre, da tempo tiene ferma l’approvazione di una legge contro il consumo di suolo e quella di un Piano nazionale di adattamento climatico ricco di specifici decreti attuativi che avrebbero potuto favorire necessarie misure di prevenzione sul territorio.
“Sciacalli”, “meschini” e anche “miopi” (poiché indirizzano le loro accuse al bersaglio sbagliato) sarebbero anche tutti coloro che (oltre agli occhi) non hanno nemmeno il cuore per osservare quanto il “popolo” emiliano-romagnolo si sia subito rialzato, in questi giorni, per curare le ferite subite dal proprio territorio. Lo stesso presidente regionale ha tuonato subito dopo i giorni più drammatici: “Ricostruiremo tutto, su questo non ho dubbi!”. In questi giorni, per esempio, viaggia nei social un post che illumina tale senso di orgoglio che solo tali “ingrati” si rifiutano di vedere: “L’Emilia-Romagna – dice il post – è quel pezzo di terra voluto da dio per permettere agli uomini di costruire la Ferrari. Gli emiliano-romagnoli sono così. Devono fare una moto? Loro costruiscono una Ducati. Devono fare un formaggio? Loro si inventano il Parmigiano Reggiano. Devono fare due spaghetti? Loro mettono in piedi la Barilla. […] Sono come i giapponesi, non si fermano, non si stancano […]. Ci saranno pietre da raccogliere? Loro alla fine faranno cattedrali”.
Pur correndo il rischio di essere anch’io un ingrato, l’idea di “nuove cattedrali” ammetto che mi spaventa, perché credo sia all’origine dei problemi appena evocati, e non delle soluzioni. “Politicizzare” il dibattito potrebbe essere utile proprio a quelli (a tutti noi) che, in questi giorni, mettendo a rischio la propria vita potranno (e dovranno) ricostruire la loro terra consapevoli di ciò che non dovrà più ripetersi se non vogliamo che tale “emergenza” si ripeta a breve. L’Emilia-Romagna, secondo il rapporto che ogni anno Ispra dedica al tema della impermeabilizzazione del suolo, è infatti tra le regioni che hanno consumato più suolo nelle aree protette, nelle aree a pericolosità di frana e in quelle a pericolosità idraulica. Il presidente regionale vanta, in questo senso, un vero e proprio record: la sua regione è la prima in Italia per cementificazione nelle aree alluvionali. Sarà miope sottolineare che a elogiare l’impegno e la volontà di riscatto del “popolo” emiliano-romagnolo, c’è anche chi ha autorizzato la realizzazione di interventi che hanno contribuito al disastro?
Un mese fa lo stesso Bonaccini si presentava ai giornalisti in ottima forma. In linea con l’estetica e con i toni della sua trionfante campagna elettorale per le primarie, ricordava come l’Emilia-Romagna in termini di afflusso turistico sia tornata ai livelli prepandemici (“stiamo sostenendo tantissimo il cosiddetto turismo esperienziale!”), come il brand Motor Valley e Food Valley stiano “funzionando alla grande”, quanto eventi come il Gran Premio abbiamo portato soldi (“duecentocinquanta milioni di euro di indotto economico” – il GP di Imola è stato poi annullato per colpa del “clima”); e ancora le tappe del Tour de France del 2024, le nuove infrastrutture che verranno costruite nei prossimi anni, e così via.
Pur accettando di mettere al bando ogni “teoria astratta” valida per ogni contesto, pur riconoscendo che la politica è determinata “da rapporti di forza e da specifici interessi in campo”, pur concedendo che è “meschino” puntare il dito quando c’è da spalare e mettersi pancia a terra, mi domando: gli attori politici e istituzionali di questa Regione – assessori, consiglieri della maggioranza, lo stesso presidente – sanno che la regione che oggi conta migliaia di evacuati è stata, tra il 2020 e il 2021, una tra quelle che ha consumato più suolo?
Se è giusto rivendicare quanto servirà studiare nel dettaglio le cause dell’attuali crisi, è altresì evidente, anche a ignoranti come me, quanto una pioggia che caschi su un suolo asfaltato, cementificato, impermeabilizzato non potrà facilmente essere assorbita. Pur condividendo il fatto che non è tempo di “fare sciacallaggio”, ci sarà pur qualcuno che ha la responsabilità di aver realizzato una legge regionale (quella dell’Emilia-Romagna) che permette incrementi d’uso edilizio del suolo tra i più alti d’Italia, a cui si aggiungono gli interessi dei comuni (per gli oneri di urbanizzazione che ne ricavano), dei privati e delle imprese a cementificare?
Ho riproposto fin qui alcune domande che emergevano da un articolo uscito qualche giorno fa, dal titolo “Non è ‘maltempo’, è malterritorio”, a firma Wu Ming; un articolo che alcuni rappresentanti della classe politica emiliano-romagnola hanno criticato in quanto “cinico” poiché fortemente critico in un momento che invece richiederebbe una sguardo empatico e pietistico. Io ritengo, all’opposto, che non siano affatto “sciacalli”, né “meschini”, né persone dalle “facili teorie” coloro che, come Wu Ming, da anni ci avvertono che i danni non sono, e non saranno, solo causati dal maltempo, semmai da un malterritorio, per l’appunto, che è frutto dell’operato di una classe politica “distratta” e di ceti imprenditoriali che costruiscono carriere sull’asfalto e sul cemento; imprenditori (loro sì sciacalli) forse già pronti agli affari che proverranno dai disastri delle alluvioni.
Quando, circa un anno fa, abbiamo dato vita a un Osservatorio Urbano a Bologna per studiare questi temi, abbiamo notato come, per esempio, se i dati sul consumo di suolo oggi sono rasenti lo zero non è perché si è finito di “consumare”, ma piuttosto perché la stessa Regione ha manomesso determinate definizioni urbanistiche a tal punto che è quasi impossibile conteggiare le cementificazioni in atto. Il mito della “felice” pianificazione parte proprio da qui, d’altronde, dall’Emilia e nello specifico da Bologna. Grazie a persone competenti, in anni precedenti, il capoluogo, per esempio, è riuscito a impedire lo scempio dei colli a sud, ed è indubbio come alcune scelte si siano rilevate lungimiranti. Il problema (che oggi denunciano tanti collettivi come Diritti alla città) è che la classe dirigente cittadina (e non solo) tale “felice” pianificazione l’abbia cominciata ad abbandonare da diversi anni, favorendo, invece, come scrivono i Wu Ming, scelte brevimiranti e disgraziate.
Quello che mi fa paura leggendo delle “nuove cattedrali” in arrivo, è proprio questa narrazione da grandeur emiliano-romagnola tanto sbandierata dal governo regionale negli ultimi anni. Chi in questi giorni sta emergendo dal fango lo sta facendo non certo per difendere l’eccellenza di sviluppo emiliano-romagnola ma all’opposto, con grande sacrificio, perché vorrebbe che nessun altro (a cominciare dai nostri figli) si trovasse a vivere una crisi simile nei prossimi anni, o mesi. Non abitiamo un territorio meraviglioso che è stato colpito da qualche istrice o nutria (come ha dichiarato uno dei tanti sindaci “progressisti” che governano i nostri comuni), ma una regione di grandi bonifiche, di fiumi, torrenti, con chilometri e chilometri di canali di scolo che la rendono tra le aree più ingegnerizzate al mondo: un territorio, dunque, fragile, e la cui fragilità non può essere nascosta da operazioni di greenwashing.
“Il tempo è scaduto”, titolava un quotidiano nazionale in questi giorni. Oggi sappiamo che senza il cambiamento climatico piogge di questa portata si sarebbero ripetute ogni cinquanta, cento anni; e siamo consapevoli che queste piogge così concentrate non compenseranno la siccità che tornerà a colpirci. Mi verrebbe allora da dire che di Cassandre ne abbiamo bisogno. Si destinino, dunque, come queste ci avvisano da tempo, le risorse per finanziare una vera politica di prevenzione a partire da una reale conoscenza del territorio, dalla sua manutenzione e rinaturalizzazione e dalla diffusione su di esso di presidi tecnico-scientifici.
Anche Bologna è stato colpita, come sappiamo. Non è un caso che buona parte delle ultime occupazioni che si sono registrate a Bologna a nome di realtà, quasi tutte giovanili, “critiche” con l’amministrazione regionale e con quella del capoluogo, abbiano trovato una “convergenza” sul Passante di Mezzo (fa discutere, in questo senso, l’ennesimo sgombero avvenuto qualche settimana fa, dove, in un capannone a ridosso della tangenziale, a metà aprile tanti giovani si erano accampati per contestare la realizzazione del Passante organizzando incontri sul disastro ecologico e socio-sanitario che l’apertura dei cantieri avrebbe comportato). Se è vero che dobbiamo studiare e prenderci tempo per affrontare tale crisi, è un dato di fatto scientifico come il raddoppio di tangenziale e A14 fino a diciotto corsie avrà un impatto significativo, in termini di consumo di suolo, emissioni e inquinamento. Vi sono studi di economia e scienza dei trasporti che dimostrano da tempo come la costruzione di nuove strade in un’area urbana come quella bolognese, già congestionata, non farà altro che aggravare la congestione e allungare i tempi di percorrenza sia dei mezzi privati sia di quelli pubblici; ma, ancora una volta, guarda caso, tali studi diventano anch’essi “sciacallaggio”.
Il 2 gennaio scorso gli attivisti di Ultima Generazione hanno spruzzato vernice arancione su Palazzo Madama. Oggi, a fronte di quel che sta succedendo, il presidente La Russa ha dichiarato che è pronto a ritirare la costituzione di parte civile da parte del Senato se questi “ecovandali” daranno prova di voler fare qualcosa di concreto per l’ambiente, andando a spalare con il “popolo” emiliano-romagnolo (la risposta è arrivata poche ore dopo da uno di questi attivisti: “Siamo già in Emilia-Romagna a spalare il fango!”). Forse politicizzare il conflitto potrebbe servire a capire come le nuove generazioni di attivisti/e sono solo da ringraziare perché (meno irresponsabili di noi adulti) da tempo segnalano con i loro gesti come a questa crisi saremmo arrivati.
Bologna, il centro di questa regione, la città più “progressista” d’Italia, come ha più volte dichiarato il sindaco, ha deciso da tempo di silenziare ogni contestazione legata al suo modello di sviluppo (turistificazione, cementificazione, privatizzazione del patrimonio pubblico, passante, sviluppo verticale della città, studentati privati, ecc.). Mi chiedo: è sciacallaggio prevedere che tale deficit di conflitto, non aiuterà certo Bologna e la Regione a crescere, a sopravvivere alla prossima crisi? (giuseppe scandurra)