Aprirà domani le proprie porte alla città, con una conferenza stampa (ore 11:00) e l’inaugurazione ufficiale, l’Ambulatorio popolare di Villa Medusa, a Bagnoli. Lo spazio potrà contare sull’impegno di circa trenta operatori volontari, tra medici, infermieri e studenti di medicina, che garantiranno per una volta a settimana orientamento e visite specialistiche, a titolo gratuito, agli utenti.
«Tutti i servizi dell’ambulatorio – spiega Sara D’Ascoli, studentessa di medicina e chirurgia – sono gratuiti e non necessitano prenotazione. Abbiamo un ecografo, ma stiamo lavorando per acquisire nuove dotazioni e ampliare i servizi. Possiamo garantire visite ginecologiche e allergologiche, ma siamo in contatto con altri specialisti che potrebbero presto unirsi al gruppo e migliorare la proposta. Bisogna far capire alle istituzioni di cosa i cittadini hanno bisogno, ma soprattutto di cosa hanno diritto».
Pubblichiamo a seguire alcuni estratti (da noi tradotti) di Everybody In, Nobody Out: Memoirs of a Rebel Without a Pause, libro scritto nel 2013 da Quentin Young, medico e militante politico statunitense. Con il suo comitato di medici per i diritti umani Young fu molto attivo a Chicago sul finire degli anni Sessanta, e al fianco del Black Panther Party nell’apertura di una serie di presidi clinici autogestiti (le cosiddette Free Clinics) in tutto il paese.
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I percorsi del Comitato medico per i diritti umani (MCHR) e del Black Panther si sono uniti nel tentativo di raggiungere un obiettivo comune: fornire assistenza sanitaria ai più svantaggiati tra la popolazione. Alla fine degli anni Sessanta, così, ci siamo impegnati ad aprire cliniche gratuite nei quartieri bisognosi di tutto il paese. In effetti, quando le Pantere ci contattarono, avevamo iniziato a farlo già da un anno o due. Lo stesso avevano fatto altri medici del MCHR e gruppi locali in tutto il paese. […]
Grazie ad altre iniziative, come il programma di free breakfast, le Pantere erano abili nel coinvolgere i propri simpatizzanti. Allo stesso tempo avevano un’idea piuttosto chiara di ciò che volevano: una clinica gratuita […] dove le persone potessero venire a farsi curare in un modo che non avrebbero potuto ottenere altrove. Il mio primo contatto fu con un panther molto poco panterista, di nome Ronald “Doc” Satchel.
Doc, che alla fine divenne il “ministro della salute” della sezione di Chicago, era ancora un adolescente, modesto, senza pretese, dalla parlata dolce e leggera. Era alto un metro e ottanta e pesava centoventi chili, ricordo che era bagnato fradicio. Doc non aveva ancora molte conoscenze formali in materia, ma si era impegnato a lanciare cliniche nella comunità sul modello dei programmi di free breakfast, e riprendendo quello delle cliniche gratuite che il partito aveva recentemente aperto in California. Voleva sapere come fare a Chicago. […] Così abbiamo parlato e poi gli ho dato alcuni libri.
Le Pantere avevano un ufficio presso la sede del MCHR, dove Fred [Hampton] iniziò a lavorare con Doc per creare una clinica. Abbiamo parlato a lungo e nei particolari, di tutto, a cominciare dal come avrebbe dovuto essere lo spazio. Dopo l’assassinio di Fred [in un raid della polizia], ricevemmo un grande sostegno dalla comunità, che facilitò la costruzione della clinica nel West Side. Il mio ruolo era quello di trovare reclute e supporto in natura, che si trattasse di volontariato professionale o meno, e ancora di più dovevo “liberare”, nel senso migliore del termine, attrezzature, mobili, farmaci e medicinali. Mi piaceva l’idea della clinica, ero impressionato dal fatto che le persone stessero creando le proprie soluzioni ai loro problemi. Inoltre le Pantere non stavano prendendo la strada più facile: la comunità che avevano scelto, Lawndale, era quanto di più depresso si possa trovare in America. Era il centro del ghetto di Chicago. Un’altissima disoccupazione, con conseguente altissima dipendenza dal welfare e tutti i problemi che ne derivano. Molti abitanti di Chicago, bianchi e neri, ritenevano le Pantere troppo militanti, ma non avemmo mai problemi a coinvolgere persone per la clinica. I Panthers esercitavano una straordinaria attrattiva su molti giovani medici che si stavano formando negli ospedali o che già esercitavano, oltre che su infermieri, tecnici e su tutti gli elementi che fanno parte di un centro medico ben gestito. I pazienti erano certamente disposti a venire.
Facemmo un opuscolo, intitolato People’s Medical Care Center, scritto da Lincoln Webster Sheffield e apparso su The Black Panther. Quest’opuscolo presenta un’eccellente fotografia della clinica. Per esempio: “Uno dei programmi del Black Panther Party a Chicago è il People’s Medical Care Center, situato nel ghetto di Lawndale, nel West Side. Il centro prende il nome da Spurgeon “Jake” Winters, una Pantera martire uccisa dalla polizia l’anno scorso. L’unica pubblicità che il centro ha ricevuto è stata quando le autorità cittadine hanno tentato di chiuderlo, pochi giorni dopo la sua apertura a dicembre [1969], accusandolo di numerose violazioni edilizie e del Board of Health. Ma il centro rimane aperto, nonostante le molestie, e cura regolarmente più di cento pazienti ogni settimana”.
Parte del lavoro del centro era costituito dalla formazione di persone della comunità a svolgere servizi ogni volta che era possibile. Per esempio, […] addestrare alcuni giovani volontari a fare analisi di laboratorio delle urine e del sangue, o organizzare squadre di persone della comunità per girare il quartiere e portare il centro alla gente. La maggior parte della gente di Lawndale era così povera che non andava mai da un medico finché non era praticamente in fin di vita. Le nostre squadre misuravano la pressione sanguigna, la storia clinica e, in generale, determinavano se ci fossero persone affette malattie. Se si scopriva una malattia, che fosse cronica o un semplice disturbo, si invitava la persona a recarsi al centro, dove visita, trattamento e prescrizione erano gratuiti.
Ancora dall’opuscolo: “In una tipica serata di servizio, la signora Woods può aiutare a curare venti o trenta persone.Un paziente, racconta, ha portato un bambino di quattro mesi con un forte raffreddore. Il bambino è stato visitato dal pediatra e gli è stata fatta una coltura della gola. Aveva frequentato l’ambulatorio per i neonati gestito dal ministero della salute, ma non aveva ancora ricevuto le normali vaccinazioni. Dopo l’esame e la discussione con la madre, è stato fissato un appuntamento per il ritorno del bambino per continuare il trattamento e le iniezioni. La signora Woods ha spiegato che tutti i pazienti vengono curati gratuitamente, senza che nessuno ponga domande sulla capacità di pagare o altro. A occuparsi di tutte queste persone c’erano di turno un pediatra, un medico generico, due tirocinanti e due infermiere”.
Il centro non si limitava a trattare i problemi medici. Un membro del Black Panther Party era sempre a disposizione per fungere da “avvocato del popolo”. Interrogava ogni paziente. Ogni volta che era possibile, le Pantere aiutavano a risolvere il problema, qualunque esso fosse. “Abbiamo scoperto – prosegue l’opuscolo, attraverso le spiegazioni della signora Woods – che molti bambini delle scuole, oltre a problemi come l’assenza di colazione, dovevano affrontare gravi difficoltà per trovare un posto dove studiare o giocare, al sicuro dai pericoli della strada. Così abbiamo aperto loro il centro durante il pomeriggio, prima dell’orario normale, dove possono giocare tranquillamente, studiare, dipingere o fare quello che desiderano”.
Personalmente, andavo alla clinica ogni settimana. Secondo gli standard ero un cittadino anziano, sulla quarantina. Che ci crediate o no, avendo esercitato la professione per una ventina d’anni, ero, per come mi presentavo e per come mi comportavo professionalmente, molto conservatore: indossavo un abito a tre pezzi senza, spero, essere particolarmente altezzoso. Sentivo che era il modo in cui mi sarebbe piaciuto farlo. La maggior parte degli altri medici e del personale volontario la pensava e vestiva diversamente. I blue jeans erano la norma. Le camicie potevano essere pulite, ma mai stirate. Le cravatte erano un segno di svendita. Indossare sandali o addirittura andare a piedi nudi andava bene.
Non c’è dubbio che questi giovani leoni e leonesse fossero impegnati e competenti, gli piaceva semplicemente l’idea di un’unità organica con i pazienti. Ma è bene ricordare che questi pazienti, pur nella loro povertà, erano più ordinati, meglio vestiti e più attenti alla loro presentazione rispetto ai medici. Racconto questo aneddoto. Il dottor Satchel gestiva la clinica. Circa due settimane dopo l’apertura, chiamò tutti i medici nell’area relax e disse che voleva dirci qualcosa. Ci aspettavamo un pronunciamento importante, forse qualche cambiamento importante nella politica. Il dottore indicò uno scaffale con almeno cinquanta giacche di tutte le taglie e colori e disse: «Scegliete quella che vi piace, ma ci aspettiamo che indossiate la giacca qui, in modo che i pazienti capiscano dai simboli esteriori che siete davvero un medico, oltre al vostro grande desiderio di servire il popolo». Servire il popolo era, ovviamente, uno slogan dei Panthers e il giovane Doc non era stato sarcastico nell’usarlo, ma ironico. I volontari si lamentarono di essere troppo borghesi e di sentirsi venduti, ma capirono il senso e iniziarono a indossare le giacche. Se volete servire la gente, ci ricordava Doc, non dovete date loro il peso aggiuntivo di preoccuparsi se siete un vero medico perché non vestite come nessun altro medico che abbiano mai visto. «È un’indulgenza, da parte vostra, pretendere che vi accettino perché cercate di imitare quello che voi pensate sia il loro modo di essere».