Il copione è già scritto, le elezioni amministrative a Bologna non riserveranno sorprese. I giochi si sono conclusi nel giugno scorso con le primarie, quando Matteo Lepore, il candidato del Pd era stato costretto a misurarsi con Isabella Conti, sindaca di un comune limitrofo, dirigente di Italia Viva e candidata da Matteo Renzi. Non è riuscita a insidiare il primato del suo avversario, ma il suo quaranta per cento rappresenta un risultato ragguardevole ed è anche il frutto delle lotte intestine al Pd.
A differenza del 1999, quando le faide interne al partito di maggioranza spalancarono le porte a Giorgio Guazzaloca, candidato del centrodestra e primo non comunista a essere eletto alla guida della città dal 1945, stavolta l’establishment locale può dormire sonni tranquilli. La destra ha di fatto abbandonato il campo, presentando in extremis, dopo mille tentennamenti, un candidato debole, e ha lanciato segnali di disponibilità alla collaborazione con l’amministrazione comunale, svelando che il suo interesse principale è quello di negoziare il dopo-elezioni e la gestione dei fondi del PNRR.
Il candidato del Pd si appresta quindi a vincere con una larga maggioranza, supportato da un’alleanza molto ampia che comprende anche il Movimento 5 Stelle, i Verdi (o ciò che ne resta dopo la spaccatura interna seguita alla scelta elettorale) e Coalizione civica, nata sei anni fa in aperta contrapposizione al Pd, per cinque anni all’opposizione (aveva ottenuto il 7% alle precedenti elezioni) e ora convertita ad appoggiare il candidato del Pd fin dalle primarie nella convinzione di poterlo “condizionare da sinistra”.
Il resto della sinistra si è divisa su due candidature (una di Rifondazione comunista, l’altra di Potere al Popolo), mettendo a rischio la possibilità di varcare la soglia del consiglio comunale.
LA FARSA ECOLOGICA
Calma piatta, dunque. Una calma apparente, però, che poggia sulla finzione. È questo il registro che domina il discorso politico. La finzione più grande è quella costruita intorno alla retorica della partecipazione, da alcuni anni al centro delle azioni del Comune. Bilancio partecipativo, patti di collaborazione, laboratori di urbanistica fanno parte di una articolata strumentazione di tecniche che promettono di fare intervenire le cittadine e i cittadini nei processi decisionali, mentre in realtà ne disperdono la capacità critica e propositiva. La cittadinanza, infatti, viene interrogata intorno a decisioni già prese, oppure su questioni marginali, prive di reale incidenza sulla gestione e sulla trasformazione della città. Una grande operazione di marketing politico, di cui il candidato sindaco – a lungo assessore con numerose e importanti deleghe – è stato accorto regista negli ultimi due mandati, una strategia che ha indubbiamente funzionato per la formazione del consenso, ma che presenta molte smagliature. La più evidente è quella del “Passante di mezzo”. Questo il nome del progetto che prevede l’ampliamento della tangenziale e dell’autostrada che corre al suo interno, un progetto di enorme impatto ambientale, da sempre avversato dai movimenti ecologisti e dai comitati dei cittadini. Per ammorbidire la loro opposizione, nell’autunno 2016 venne messo in scena un “confronto pubblico” sull’argomento che prevedeva una regola ferrea: la realizzazione dell’opera non poteva essere messa in discussione. Un confronto-farsa che mostra in maniera lampante come la partecipazione continuamente evocata dagli amministratori sia in realtà priva di qualsiasi potere.
È proprio intorno al Passante che la campagna elettorale ha regalato alla città un’altra finzione, necessaria a saldare nella stessa alleanza visioni che proprio intorno a quell’argomento, fino a un momento prima, erano nettamente contrapposte e inconciliabili. Dal cilindro è uscita una nuova versione del progetto, che – senza intaccarne la sostanza – introduce alcune opere di mitigazione dell’impatto ambientale. La terminologia è diventata più morbida e suadente, l’opera viene ora definita “Passante di nuova generazione” o anche “Passante green”. Qualcuno si è spinto ad affermare che questa infrastruttura – che prevede l’ampliamento a sedici corsie (che diventeranno diciotto in alcuni tratti) e sulla quale transiteranno non meno di 180 mila veicoli al giorno – sarà il “simbolo della transizione ecologica”.
La “mitigazione” non è solo un escamotage per giustificare un’opera ingiustificabile, è anche una metafora che descrive la rinuncia a costruire un punto di vista differente sulla città. È questo il punto cruciale, quello più gravido di conseguenze. Dietro la cortina della finzione, la vita reale della città si muove lungo direzioni che nessuna finzione potrà a lungo occultare o imbrigliare. Una piccola mappa dei mutamenti in corso rende l’idea dei conflitti latenti che il pensiero della “mitigazione” non è in grado di affrontare.
UNA MAPPA REALE
Il turismo di massa, esploso in anni recenti grazie all’apertura di numerose rotte di Ryanair, ha provocato – come in molte altre città investite da dinamiche simili – una radicale riconfigurazione del centro storico intorno all’economia del cibo e una forte alterazione del mercato degli affitti a causa della pervasività delle piattaforme di locazione breve prive di regolazione.
Questa trasformazione dello spazio urbano e dei modi in cui le cittadine e i cittadini possono viverlo e attraversarlo si accompagna ad altri mutamenti profondi nell’assetto urbanistico. L’enorme patrimonio di spazi pubblici dismessi – sottratto alla disponibilità della comunità locale e abbandonato al degrado – inizia a essere messo sul mercato privato aprendo la strada a grandi piani speculativi, mentre nei quartieri periferici nuovi insediamenti abitativi sorgono rapidamente nelle aree industriali o terziarie in disuso, e i nuovi edifici presentano aspetti del tutto incongrui rispetto al contesto, specie per quanto riguarda le altezze. Inoltre, in tutta la città sono disseminati centinaia di miniappartamenti ricavati al piano terra da locali commerciali dismessi che stanno modificando il volto di intere zone.
Il mercato delle residenze universitarie private è in piena espansione e attrae investitori internazionali. La catena olandese “The student hotel” ha aperto la sua prima struttura nel quartiere della Bolognina, e nella stessa zona sta per essere ultimato l’enorme studentato realizzato da Stonehill, fondo internazionale basato in Inghilterra. Si allarga anche la rete Camplus, vicina a Comunione e Liberazione, che oggi ha cinque strutture in città, in gran parte realizzate grazie al cofinanziamento del ministero dell’istruzione e dell’università. I prezzi sono molto elevati e agiscono quindi in modo fortemente selettivo.
Molti servizi pubblici sono stati esternalizzati nel corso degli ultimi anni. Talvolta (per esempio nei servizi culturali) convivono nello stesso luogo lavoratori pubblici e privati con retribuzioni, contratti e orari di lavoro differenti. In alcuni casi la situazione è assimilabile a una forma legalizzata di intermediazione di manodopera, in altri si è arrivati al punto di affidare interamente i servizi a soggetti privati: nel 2018, per esempio, una biblioteca di quartiere è stata esternalizzata, suscitando grandi proteste da parte dei cittadini, rimaste inascoltate. Gli attori più importanti di questi processi sono le cooperative, che hanno assunto un peso notevole non solo dal punto di vista occupazionale ma anche da quello decisionale, e sono ormai in grado di condizionare e orientare le scelte dell’amministrazione nel campo della gestione dei servizi.
Per quanto riguarda la mobilità, la scelta di ampliamento del Passante va nella direzione opposta rispetto alla necessità da tutti sbandierata di ridurre l’uso dell’auto e il trasporto delle merci su gomma, e questa palese incoerenza peserà inevitabilmente sullo sviluppo del traffico, anche perché, nel frattempo, le politiche di mobilità alternativa sono in grave ritardo e segnate da scelte contraddittorie: il collegamento con l’aeroporto è stato affidato al People Mover, sistema di trasporto su monorotaia che sta generando ingenti debiti a carico del Comune; il Sistema ferroviario metropolitano è incompleto, mentre si inizia solo ora a realizzare il ritorno del tram – dopo la scelta poco lungimirante di smantellarlo agli inizi degli anni Sessanta – subordinando il disegno del tracciato a interessi particolari che nulla hanno a che vedere con le esigenze quotidiane di chi vive, lavora e studia in città: la prima linea – di prossima realizzazione – è pensata per raggiungere nel suo tratto finale Fico, il fallimentare parco tematico (noto anche come “Disneyland del cibo”) progettato da Eataly di Oscar Farinetti e da Coop Alleanza 3.0, al quale il comune di Bologna partecipa attraverso la cessione di patrimonio immobiliare per un valore di cinquantacinque milioni di euro, già oggi raggiunto quotidianamente da numerose corse di autobus del servizio pubblico che trasportano un numero irrisorio di passeggeri.
È una mappa incompleta, molti altri aspetti dovrebbero essere presi in considerazione. Ma la combinazione tra gli elementi di questa rapida ricognizione produce effetti negativi sul corpo sociale: esclusione, perché l’accesso alla città non è uguale per tutti e i luoghi sono sempre più divisi per compartimenti privi di scambio; disuguaglianza, perché i mutamenti nell’organizzazione della città e nella prassi amministrativa generano differenze nei diritti, nei redditi, nell’accesso ai servizi; frustrazione, a causa dell’impossibilità dei cittadini di dare piena soddisfazione ai propri bisogni e della loro impotenza di fronte alle scelte del governo locale.
Tutto questo non trova una rappresentazione nel conflitto sociale, perché i soggetti collettivi che del conflitto erano il collante non esistono più. È facile prevedere che sul piano elettorale questo vuoto continuerà ad alimentare il già vasto serbatoio dell’astensione. Ma come si tradurrà sul piano sociale? Questo è un interrogativo rimosso. La logica della “mitigazione” non porta a nulla, perché esclusione, disuguaglianza e frustrazione sociale non si combattono cercando di correggere il peggio per renderlo un po’ più accettabile. A Bologna si è scelto di non rompere questo schema perdente imperniato intorno alla centralità del Pd, il cui atto di nascita aveva sancito la rinuncia a una cultura politica propria (e infatti si è volentieri fatto ammaliare dalle sirene del neoliberismo). La logica della finzione che sta colonizzando il discorso politico serve anche a occultare questa subordinazione spacciandola come opportunità. Il copione è già scritto, le elezioni amministrative non riserveranno sorprese. Il problema è proprio questo. (mauro boarelli)