GIORNO 7
Una piscina nel parco. È il primo giorno di introduzione del green pass. Bisognerebbe prenotare, ma è nuvolo. Ci sono centocinquantasette posti occupabili e occupati una manciata. C’è un posto disponibile anche se non ho prenotato. L’ingresso sta a otto euro e ottanta, sabato e festivi. L’elettricista, al lavoro, mi ha dato questo suggerimento: «Se ti chiedono il green pass, tu chiedigli se lo hanno loro, se lo hanno gli altri dipendenti, se hanno i certificati delle sanificazioni eseguite». Forse è un aspetto tecnico, ma il cuore della sua arringa è che è impossibile avere tutte queste cose insieme, e per più di qualche giorno, a meno di spendere cifre che nessuna attività commerciale si può permettere.
Poi hanno guardato me e m’hanno chiesto: «E secondo te, com’è nato il virus?». Da un animale selvatico, un pipistrello o un pangolino, fuggito dal suo ambiente naturale distrutto, che è entrato in contatto con altri animali finché uno dei contatti non è arrivato a un mercato ittico nello Wuhan e da lì il virus, che era innocuo all’origine, è arrivato all’uomo. Abbattere foreste, scavare montagne, far esplodere la terra per estrarre materie prime, agire il capitalismo, distrugge gli ambienti naturali da cui devono fuggire animali che non erano entrati in contatto con noi prima, condividendo con noi le loro malattie. Il medico della ricca grande squadra di calcio, dopo la mia rabberciata spiegazione di metà estate, a bordo vasca della piscina comunale nel parco, davanti a tutti, dice: «Vabbè, se tu hai queste idee complottiste…».
Quest’anno sono vent’anni da quella volta che fecero il G8 a Genova. Sono almeno vent’anni da quando, per risolvere le proprie crisi cicliche di sovrapproduzione, il capitalismo espande l’universo delle riforme neoliberiste replicandosi in tutto il mondo conosciuto. Non mi faccio problemi a utilizzare una personificazione del capitalismo come burattinaio che muove i fili di classi dirigenti, politici e imprenditori di tutto il pianeta. Non so se è del tutto corretto, ma capitalismo è in fondo una metafora, un concetto, un’immagine e una personificazione mentale per dare una forma e poi una narrazione a un insieme di pratiche e persone che altrimenti risulterebbe piuttosto lungo elencare ogni volta per intero. Non mi preoccupo di cadere nella confusione cospirazionista del grande disegno, perché è la stessa stupida idea del disegno di dio.
GIORNO 9
Mi farò bucare con la prima dose il 19 agosto. L’ho fatto perché me lo hanno chiesto in ufficio. Per essere più precisi: non me lo hanno chiesto, in ufficio lo danno del tutto per scontato. «Valé, e tu quando ce l’hai il richiamo?». Non mi hanno fatto forti pressioni dirette, nessuno ha minacciato di licenziarmi, di spostarmi di incarico o di ufficio perché non avevo il vaccino. Ho agito secondo quell’esperienza umana fin qui accumulata sul posto di lavoro.
Io sono invalido psichico, lavoro con una diagnosi funzionale e prescrizioni particolari. Siccome non si vede da fuori che sono invalido, praticamente nessuno in ufficio si fa lo scrupolo di nascondermi i propri sentimenti verso la fragilità, soprattutto mentale. Uno che adesso è in pensione diceva spesso che non è che perché sei invalido allora puoi avere i privilegi. È convintamente no-vax. Di per sé, l’opinione vaccinale è trasversale rispetto alla considerazione della difficoltà. Una volta, dall’ufficio accanto, ho sentito due segretarie scambiarsi queste frasi: «Che schifo i no-vax, che idioti». «Io li metterei tutti in uno di quei begli ospedali psichiatrici dove gli danno un sacco di mazzate». La malattia mentale, in fin dei conti, è la parte migliore della malattia mentale.
Alla quarta o quinta volta che hanno dato per scontato che mi mancasse il richiamo, ho deciso di farmi curare come le mucche. In ufficio ho espresso la mia opinione politica soltanto una volta, qualche giorno dopo essere arrivato, tre anni fa, durante il pranzo. Dissi qualcosa su Carlo Giuliani. Fu la prima e anche l’ultima. Per quanto a fissare lo sguardo ci sia da disperarsi, non puoi insegnare nulla a un cane vecchio. Quando sono arrivato a lavorare lì, il mio capo era mia madre. All’inizio del Covid è andata in pensione e si è scavata dal cazzo.
GIORNO 13
Vado alla piscina nel parco, un signore un po’ sovrappeso mi svela che di venerdì è chiusa. Intanto scarica la spesa per il bar: il fine settimana sarà la festa della raccolta delle messi. È un pezzo grosso delle piscine. Dice che posso andare alla piscina vicino alla strada, a circa un terzo e tre quarti di città di distanza: lì non solo è aperta, ma posso persino prenotare un posto il giorno stesso che vado. Alla piscina nel parco puoi prenotare soltanto fino alle 23:59 del giorno prima. Ed è vietato l’uso di pinne e maschera. Non prenoto mai, perché chi sa chi c’è il giorno in cui si va. Adesso questo non lo puoi capire, ma fattene una ragione e vai avanti.
GIORNO 18
Accesa e accalorata discussione per quattro elementi, durata un pomeriggio e una sera sulla presunta necessità di vaccinarsi a trentatrè anni contro il virus. Il carrarmato contro il vax non la spunta, mia madre vax mi ha prenotato il vax. Ecco il piano. Viene a prendermi domattina alle 8:30, andiamo in macchina al paese franco, mi buco, mi riporta a casa prima delle 11:00, alle 11:30 ha l’appuntamento per l’apparecchio acustico nuovo di nonna in fondo alla parallela di via Lisa.
GIORNO 19
Il salone choc del pluriuso per anziani del paese. Una sala da ballo con quattro gazebo aperti dentro. Tre hanno un banco di scuola per uno, un medico-volontario che fa domande e verifica documenti, una segretaria-volontaria e una stampante. Il quarto gazebo è per la somministrazione, con volontaria che accompagna e infermiere che somministra. Prima dei gazebo una volontaria smista chi entra, dopo i gazebo un volontario controlla che dopo il buco tu rimanga il tempo prescritto su una sedia di plastica, senza morire per reazioni avverse nei primi quindici minuti. Se uno dovesse applicare la pantomima del decoro in un posto così, butterebbe sottoterra i vecchi con tutti i mobili e il controsoffitto di fibra minerale. Fortunatamente per i vecchi e le sedie di plastica, non è così.
All’ingresso mi sono mostrato ipercritico e inveivo a bassa voce contro la stupidità delle domande del modulo di adesione rassegnata alla vaccinazione. Lo avevo già letto a casa, quindi anche la mia era pantomima. Ai due signori della Croce Rossa ho detto che, «siccome c’è scritto», avrei chiesto diverse cose al medico. Devo averli messi in difficoltà, perché mi hanno fatto entrare senza misurarmi la temperatura. Una signora abbastanza in là con gli anni mi ha dato un tagliandino plastificato con il numeretto, ero il 36. Siccome sono invalido, devo fare pipì più spesso delle persone normali, così ho chiesto alla signora in là con gli anni se potevo andare in bagno. Il bagno è all’esterno, e quando sono rientrato, con il tagliandino in mano, la signora in là con gli anni ha esclamato: «Ecco dov’era il 36!».
Arrivo al banchetto della verifica dei documenti e dico: «Ho delle domande da fare al medico». La stampante sta sparando fogli solo fronte, ma la segretaria-volontaria vuole la stampa fronte-retro, è impanicata, non sa cosa fare. Le dico, senza azzardarmi ad allungare le mani, che quasi di sicuro c’è un tasto per fermare la stampa. Potendo condividere il panico, mi autorizza ad aiutarla. La stampante ha otto tasti, quattro frecce direzionali e quattro tasti funzione: premo pausa. La segretaria-volontaria mi è grata, si fa aiutare anche ad annullare la stampa; lo fa lei, seguendo le mie indicazioni di manovra. Dopodiché dice che in cambio dell’aiuto ricevuto adesso posso fare tutte le domande che voglio. Io le domande le avevo con me, scritte su un foglietto.
Avevo preparato alcuni punti precisi e specifici che volevo chiedere al medico prima di farmi bucare. All’inizio avevo pensato di registrare tutto col telefono, poi ho avuto pietà del provincialismo da cui provengo che, in fondo, è solo un grande fuori posto nel capitalismo globale. Non ho avuto il coraggio di chiedere se fosse davvero un medico. Ecco quel che dice: «Fare il vaccino per anni non riduce la capacità futura del corpo di interagire con i ceppi di malattia. Sospendere le somministrazioni in futuro la riporterà al punto zero, come prima di vaccinarsi. Non posso assicurarle che in futuro non dovrà rifare il vaccino altre una, due, tre volte l’anno per tutti gli anni a venire. Non abbiamo la sfera di cristallo».
Mentre facevo le domande, con una variante rispetto al canovaccio, la segretaria-volontaria ha chiesto di poter interrompere il medico per dirmi: «Questo è un vaccino a m-Rna. Una tecnologia nuova! Sconosciuta prima. Una grande possibilità! Potremmo scoprire che funziona per curare il cancro». Non sapeva premere pausa sulla stampante, ma sa che il vaccino a m-Rna potrebbe curare il cancro. Mistero della fede. «Siccome ha le allergie e prende tutti quei farmaci, deve aspettare trenta minuti». Soltanto rientrato a casa, mi accorgo che ho fatto così tante domande che non si sono resi conto che non avevo firmato il modulo di adesione coraggiosa. Non so se significa qualcosa, comunque la mia firma sul consenso non ce l’hanno. Come diceva Enrico Montesano, li ho storditi con le mie chiacchiere.
Il vaccino non è scienza, ma tecnologia. La tecnologia è una delle meraviglie stupide a cui l’essere umano bianco ha dedicato più tempo nel corso dei secoli dei secoli. La tecnologia ha permesso all’essere umano bianco di colonizzare il pianeta, uno strumento per riprodursi e replicarsi dappertutto. Pensare di abitare un pianeta distrutto in cui tutto è sostituito dalla tecnologia a me sembra un po’ stupido, però non sono un ingegnere e non so calcolare le travi, quindi la mia opinione conta poco. L’appuntamento di nonna slitta di ora in ora, prima a mezzogiorno, poi nel pomeriggio. Alla fine, nonna dirà: «Non lo voglio l’apparecchio, è inutile, mi ingombra, si imbriglia con la mascherina e magari alla fine mi cade e abbiamo buttato i soldi». E in culo anche agli apparecchi acustici.
Alla manifestazione “No green pass” di sabato non so se ci vado. Sono contrario al nuovo documento, è un abominio. Potrei guardare direttamente com’è andata alla televisione, se avessi la televisione. Oppure potrei fare un po’ il lavoro della talpa e sentire cosa dicono i compagni. Quest’estate ne ho visti pochini, ma in fondo è estate, vale lo stesso per le piscine comunali. Anche i vincenti del mondo stanno in vacanza, a rosolare al sole corpi statuari scolpiti nella reiterazione dei movimenti che un tempo furono in fabbrica e oggi sono in palestra. A bordo vasca invece soltanto corpi minori, paonazzi o incicciti. Io, per esempio, indurito da anni di incapacità di andare al mare, sono così bianco che potrei essere usato per campionare la vernice. Anche quest’estate in città siamo rimasti noi poveri sfigati. Mi immagino la televisione prendere in giro mio padre: sessantotto anni, vaccinato, si professa no-vax.
Mi sembra che il rigurgito di insopportazione contro questa o quella generica, assurda categoria è un modo d’accusare a testa bassa quel che non si sa degli altri, tenendo in piedi la propria fede ottusa, il proprio modo di vivere che non si sa più condividere, né difendere, né espandere, né garantire. Non è poi davvero importante se si è vax, no-vax, pro-vax, start-up, o cosa, il punto è scagliarsi contro ciò che non è se stessi, perché così fanno i cani quando hanno paura per davvero e tutto quello che possono fare è latrare e digrignare. In fondo, la distinzione no-vax/sì-vax è una distinzione binaria. Una reiterazione della demenza che da Aristotele in poi distingue due categorie per volta soltanto; più di così diventa troppo complicato e il filo del pensiero va perdendosi. Questo è un albero, quello un muro; questo è un non-muro, quello un non-albero. Sembra stupefacente, ma ragioniamo così la maggior parte del tempo.
GIORNO 20
Al pomeriggio torno alla piscina vicino alla strada. Lì è vietato: indossare la biancheria intima sotto il costume; usare la palla. Incrociando i dati del mese di metà estate, risulta il seguente schema. Piscina nel parco: no-pinne-e-no-mask, ma nessun divieto sulla biancheria e giocare la palla non è bandito. Piscina vicino alla strada: no-palla e mariavittoriettismi sulla biancheria.
GIORNO 21
Una strega anarchica mi ha regalato un barattolino di kefir. È tipo uno yogurt: cose vive microscopiche mangiano latte e cagano kefir che mangiamo noi. E basta dargli ancora latte per farle vivere all’infinito. Allora penso che non mi pare d’aver visto mai sugli scaffali del supermercato barattoli di marmellata genericamente di frutta. Barattoli non di marmellata al sapore di questo o quello, ma, per così dire, marmellata di frutta generica. Provo a immaginarmi mia nonna, nata contadina, insieme a sua madre. Forse avevano l’abitudine, alla fine dell’estate, di mescolare allo zucchero di barbabietola l’insieme spurio della frutta avanzata poco prima che marcisse. Oppure la loro avidità non arrivava a tanto, e quelle figlie della terra e del sole rimanevano lì, attaccate ai rami delle proprie radici, in attesa di cadere e scomparire e ritornare nella torba, consapevoli dell’autunno e dell’inappellabile lasciare il posto ai nuovi giunti della prossima estate. (valerio vallegiulia)