“Non sono tuo padre, fattene una ragione”.
È arrivato Greg Araki…! E io sarei, nel suo piano, un suo personaggio, uno di quegli sbandati che deve lottare per trovare la sua collocazione nel mondo. Ma che andasse a cacare. Uno all’improvviso deve farsi una ragione che ha vissuto, ed è stato cresciuto per ventidue anni da uno sconosciuto? Perché dirmelo, poi, arrivati a questo punto? Onestà? Vendetta? Le domande sono tante e risposte non so darmene, dovrò cercarle, ma ora sono in confusione. Ha senso, a vent’anni, mettersi a scavare, alla ricerca di chi veramente ti ha messo al mondo?
Qualsiasi sia la risposta, comunque, deve attendere. Prima devo preoccuparmi di racimolare un po’ di soldi: la disoccupazione arriverà a gennaio, e nel frattempo Lello non potrà assicurarmi che piccoli eventi, pagati male e a nero come sempre nei mesi invernali, perché altrimenti “non gli conviene”. Improvvisamente ho bisogno di due liniette, preparo in fretta l’occorrente, me le sparo e scendo di casa senza sapere verso dove. Sono le otto del mattino.
Il fresco di ottobre sul viso mi serve per schiarirmi le idee. Prendo il Free, giro senza meta, l’odore di fogna ed esalazioni dei gas della Q8 mi assale. La pioggia, caduta abbondantemente in questi giorni, aumenta il tanfo. Da piccolo, quando tornavamo dalle vacanze a Minturno, capivo di essere arrivato a casa grazie a quella puzza. A occhi chiusi respiravo a pieni polmoni ed era il benvenuto nel quartiere che aveva dato i natali a me e ad Antonio Juliano, “ORGOGLIO SANGIOVANNARO”, come ricordava una scritta sul muro di fronte casa.
Via Alveolo Artificiale e poi via Figurelle. Giro nel Rione Villa, mi dirigo sul Corso e dopo pochi metri mi fermo davanti alla vetrina con le scarpe di Di Natale. Il mezzo lo parcheggio vicino la fermata del tram, accanto alla panchina che dà conforto a chi per lunghe mezz’ore aspetta il 4, vuota, dato che l’orario di chi prende i mezzi pubblici per recarsi a lavoro è già passato da un po’. Si vede invece qualche ragazzino con lo zaino Invicta e il cappellino della Nike che ha fatto filone a scuola, e aspetta il tram per Napoli. Non ci sono vere e proprie piazze qui, dove andare, non ci sono vie che si incrociano e persone che si mischiano, e quelle poche che ci sono vanno a finire tutte sul Corso, unico, inevitabile e insopportabile centro di tutto.
Mentre guardo i prezzi delle Stan Smith di Di Natale mi accorgo, specchiandomi nella vetrina, di non avere un bell’aspetto. I capelli li taglio da una vita con la Moser, solo che quando iniziano a farsi troppo poco affilate le lame lasciano segni visibili anche a occhi non esperti. La giacca Levi’s consumata e il parafango del motorino spaccato fanno il resto. Visto da fuori sembro una comparsa di Mary per sempre.
Mi accendo una sigaretta, l’effetto calmante delle due liniette è già finito. Torno a pensare ai soldi, e l’unico modo possibile per farli è fargliela pagare al Rabbino, quell’infame che mi ha tagliato fuori dal giro senza farsi scrupoli.
Con Checco ‘o Rabbino avevo tirato su un business redditizio. Checco fa due raccolti all’anno, uno a ottobre di un chilo, l’altro a marzo di mezzo chilo, e una volta fatto mi vende tutto. L’erba gliela pago ottomila lire al grammo, e la rivendo a pochi amici fidati a tagli di cento grammi e a diecimila ognuno. L’entrata è grossa: considerando quella che mi fumo e quella che, raramente, nelle occasioni speciali, regalo, posso arrivare anche a cinque o sei milioni in pochi giorni e con la benedizione di tutti, anche perché il nome di Checco non va a finire in bocca a nessuno, a cominciare dai Trematerra. Poi la settimana scorsa quell’idiota decide che non ci guadagna abbastanza, così telefona a Rafaniello e si mette a vendergli il raccolto a diecimila al grammo. Ancora qualche giorno e i Trematerra capiranno che Rafaniello non si rifornisce più da loro, e arriveranno al Rabbino in meno tempo di quello necessario per dire “crostata di mirtilli”.
Checco ‘O Rabbino ha quarantadue anni. Nella sua vita non ha mai fatto un giorno di fatica, se non quella volta in cui si è accappotato col muletto mentre scaricava un bilico di acqua Vera nell’ingrosso di bibite dove il papà, ispettore sanitario, lo aveva piazzato in cambio di qualche favore al proprietario. Da quel giorno, grazie a quell’infortunio e alle solite amicizie di papà, Checco si mette in tasca una pensione d’invalidità di settecentomila lire, che arrotonda con qualche affaruccio tipo quello dell’erba. Saccente e arrogante, ‘o Rabbino dispensa consigli non richiesti a tutti, su qualsiasi argomento. Non ha figli, ma nonostante sia il primo a vivere nell’illegalità dice sempre che ammazzerebbe a bastonate i ragazzini del quartiere, che arrivati a dodici o tredici anni cominciano a fare le autoradio dalle macchine in sosta e a quattordici se ne vanno a Napoli con le pistole finte in cerca di orologi d’oro. Per questo, per tante altre ragioni, ma soprattutto per avermi abbandonato nel momento del bisogno, merita una lezione.
Il piano l’ho studiato nei dettagli. Checco ha un box vicino a quello di Brunella, la mia ex, e nello scantinato di Brunella c’è una borsa di dischi da recuperare, prima che facciano la fine di tutti i regali che le ho fatto, abbandonati vicino al cassonetto del palazzo. Un paio di giorni fa, dopo aver chiamato Brunella, col pretesto dei dischi sono andato a studiarmi per bene il box di Checco e in particolar modo il catenaccio che, attaccato a una grossa catena, ne chiude l’ingresso. La cosa più semplice è chiedere in prestito una cesoia a Paolo, vecchio compagno di scuola e figlio del ferramenta in mezzo al Municipio, inventandogli una cazzata qualsiasi. Poi aspettare la sera e passare all’azione. Intanto ripasso mentalmente tutte le tappe necessarie e me ne torno a casa a collassare sul letto.
La giornata fila via in fretta, intorno alle sette mi sparo due liniette e raggiungo Paolo, sapendo che a quell’ora non troverò il padre in negozio. Quando è veramente buio salgo a casa a cambiarmi: felpa Carhartt, jeans skinny Levi’s 511, Converse a stivaletto e borsone della palestra, tutto rigorosamente total black. Nel borsone infilo la tenaglia, e poi guantoni e fasce per le mani, per rendere tutto più credibile nel caso di un fermo delle guardie.
Una volta lì, la catena si spezza più facilmente di quanto previsto, e in pochi secondi mi ritrovo davanti agli scaffali su cui sono accatastati dei grossi scatoloni. Con calma li apro uno a uno, nei primi trovo addobbi natalizi e pastori del presepe, nel terzo e nel quarto il prezioso prodotto, sigillato in buste di plastica trasparenti. Piglia in culo,‘o Rabbi’!, è il mio primo pensiero. Poi con calma sistemo cesoia ed erba nel borsone della Lonsdale e mi incammino verso il motorino parcheggiato qualche metro più avanti per non svegliare nessuno. Un colpo secco sul pedale e via verso casa. Domani a sfregio vendo tutto a cinquemila lire al grammo, e vaffanculo tutti.
Arrivato a casa metto su un 45 giri di Tenor Saw e mentre parte la voce dolcissima in If You Only Know del cantante scomparso quando aveva la mia età, mi addormento senza liniette. Con la testa più leggera, da domani potrò iniziare la mia ricerca. Col cazzo che me ne faccio una ragione. (gerardo picarelli)
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ZONA EST NOVANTA
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