L’ultima volta che c’ero stato – nella stanza umida soppalcata all’angolo tra piazza Mercato e il palazzo della Congregazione delle suore angeliche di San Paolo – c’era la sede del comitato elettorale di Enzo Rivellini, il parlamentare europeo reso celebre dal suo discorso al parlamento di Strasburgo recitato in un napoletano sgrammaticato e da macchietta. Uno degli esponenti storici del MSI poi AN e infine protagonista della transumanza nel PDL della zona del Mercato-Pendino. In seguito ho notato che lo stesso spazio era diventato la sede del comitato elettorale per l’elezione del presidente della provincia Cesaro, quello noto per le sue difficoltà con la lingua italiana, eletto pochi mesi fa tra starlette di mezza tacca e apprendisti camorristi votati alla politica.
Lì intorno le persone erano bene o male, sempre le stesse, Salvatore slot machine, addetto ai computer per la sua dimestichezza con i siti on-line di poker e scommesse, Stefano meza recchia, capopolo di liste di disoccupati di destra, Genesio spalle larghe, noto caporale di manovali ucraini e tutta un’altra serie di personaggi dediti a ingrassare quel reticolo di attività informali e paralegali che anima la zona.
Ogni volta che la piazza viene utilizzata per eventi pubblici (retrovia della festa del Carmine del 19 giugno, il mercatonotturno della notte della befana, il torneo di calcio di primavera, i concerti di musica popolare e tradizionale…) sono loro a organizzare l’andirivieni dei fornitori, la sicurezza delle attrezzature e la gerarchia dei posti dei venditori. Ogni volta che li ho visti all’opera ho dovuto riconoscere la loro autorevolezza e capacità di lavorare senza muovere, apparentemente, un dito. Dei manager della strada dalle facce segnate dal sole e le braccia ricoperte di tatuaggi disegnati con un ago costretto nel cotone e immerso nell’inchiostro delle penne Bic.
Come noto Cesaro è diventato presidente della provincia di Napoli. E, sempre come noto, una delle sue parole d’ordine era di farla finita con le clientele che hanno caratterizzato – ahinoi – la gestione della pubblica amministrazione degli ultimi anni. Favori e amicizie hanno condizionato assunzioni, appalti, corsi di formazione e iniziative culturali, spesso e volentieri attraverso l’ausilio di associazioni e gruppi nati esclusivamente per partecipare a bandi pubblici di affidamento di servizi o appalti (dalle cooperative sociali fino alle ditte di smaltimento e prelievo dei rifiuti in strada). È un sistema di drenaggio del consenso elettorale che alle nostre latitudini non ha un colore politico definito, è prassi affermata, libera da ogni vergogna, una sorta di oltrepassamento del familismo amorale strutturale del meridione italiano.
Quindi, quando in un pomeriggio di fine estate mi sono trovato da quelle parti durante i preparativi di un concerto di musica post-neomelodica e ho notato Genesio con una pettorina fosforescente che si aggirava tra tecnici e fonici di palco non ci ho trovato nulla di sorprendente, se non il fatto che un’altra decine di persone indossavano la stessa pettorina con – in bella vista – scritto sulla schiena “Cooperativa Guardia Nazionale di piazza Mercato”. Nei pressi del convento la sede era illuminata e c’era un tavolo all’esterno ricoperto di un panno azzurro pieno di volantini e moduli di iscrizione e una discreta fila di persone in attesa di non so cosa. Ho comprato un paio di birre e mi sono avvicinato a un conoscente che ciondolava lì di fianco. «E allora? Cos’è, il comitato organizzatore del concerto?». «No! È la sede della cooperativa. Finalmente qualcuno ci ha sistemato…», mi ha risposto zio Mellone accigliando lo sguardo. «Una cooperativa? Ma non è roba per comunisti?», gli ho detto un po’ per sfotterlo, cosciente del passato missino della gran parte di loro, mazzieri sottoproletari.
La cooperativa non è roba per comunisti, è una forma comoda per dar vita a un soggetto di diritto privato capace di stipulare contratti e convenzioni, ogni socio mette una quota e gli utili si dividono in parti eguali, almeno sulla carta. Le cooperative si possono considerare lo specchio del criterio delle liste dei disoccupati organizzati, la loro forma istituzionale, un modello organizzativo sperimentato. La particolarità della Guardia Nazionale di piazza Mercato è stata quella di aver sfruttato le possibilità che il decreto legge sulle ronde ha dato ad associazioni e affini in termini di sicurezza. Al nord i gretti leghisti vanno a caccia d’immigrati; al sud – per lo meno in questo sud – le ronde si trasformano in cooperative che non hanno un fine preciso. «Siamo una specie di protezione civile. Quando serviamo ci chiamano e prendiamo comunque lo stipendio». Quando gli chiedo la finalità della cooperativa (la funzione sociale per intenderci) Genesio mi guarda come se stessi parlando arabo: «La cooperativa è la cooperativa, e basta. A che serve se no? Facciamo quello che abbiamo sempre fatto e che sappiamo fare bene».
La “Guardia Nazionale” è nata prima dell’estate 2010, un riconoscimento all’impegno profuso nelle varie campagne elettorali e una garanzia di stabilità per le prossime. I criteri di selezione dei soci sono dettati dal familismo territoriale, i contratti stipulati con una stretta di mano ufficializzata da un voto dell’assemblea consiliare provinciale. (-ma)