«Il giornalismo d’inchiesta sta morendo!». È un grido di dolore quello che lancia Cristiana Barone, il volto più conosciuto di Telecapri, famosa per le sue inchieste “fra la gente”. Una donna carismatica, di quelle che mettono soggezione. Così la definiva un anonimo agiografo che, anni fa, comprò addirittura una pagina intera di un quotidiano napoletano per il suo lunghissimo panegirico: “Agguerrita, a tratti spietata, infaticabile, apparentemente ribelle”, eppure “donna dai desideri umani”. Cristiana Barone è una giornalista dalla quale chiunque può (e anzi dovrebbe) imparare qualcosa. Forse è proprio con questo intento che ha messo su, da qualche anno, insieme a Maurizio Belpietro, un corso di giornalismo per “cronisti di strada”, che si tiene presso la facoltà di giurisprudenza dell’università Parthenope.
Il giorno della presentazione sono presenti grandi nomi, ma la platea è semivuota, ci sono in tutto una quarantina di persone. Al tavolo con l’avvenente Barone siedono il presidente della facoltà di giurisprudenza (nonché capogruppo Udc) Federico Alvino, il questore Santi Giuffrè, il comandante della Guardia di Finanza, quello dei Carabinieri. Diversi direttori editoriali seduti in prima fila. Eppure, solo un paio di televisioni locali seguono l’evento. Barone tenta di scaldare il dibattito con il questore: «Cosa ne pensa della libertà di stampa? E dell’informazione politicizzata?». Fra i due sembra esserci molta simpatia. Comincia la sagra delle parole di circostanza.
Inizia Giuffrè: «Non credo che un editore possa limitare la libertà di un giornalista». Poi tocca al comandante della Gdf, che pensa che i giornalisti napoletani siano «troppo calati nella realtà partenopea: strumentalizzano alcune notizie e sono chiusi ad altre». Dopo un’abbondante mezz’ora introduttiva, Belpietro chiama su Skype. La voce che esce dagli amplificatori rompe i timpani. Un collega che stava per entrare in fase rem si desta, mentre i tecnici cercano di rendere accettabile il tono acidulo del direttore di Libero. Alla prima domanda della Barone, Belpietro comincia a lagnarsi della questione Avetrana: «Ormai il giornalismo di approfondimento non esiste più, i colleghi si limitano a ritirare verbali e a pubblicarli. La situazione è sfuggita di mano». Barone annuisce. «Per fare questo mestiere servono passione e grande curiosità», sentenzia Provvisionato, di Mediaset. Belpietro, invece, è nostalgico: «Si sente la mancanza di un vero giornalismo indipendente. Troppo spesso c’è l’influenza di qualche gruppo politico in redazione».
Sul palco ci sono anche due giovani. Sono stagisti di Libero, ex alunni del corso. Barone li elogia a lungo e Belpietro la segue a ruota. La cosa ammirevole è che, inaspettatamente per due giovani stagisti, i ragazzi riescono a scrivere articoli sul giornale senza subire troppo i patimenti della gavetta. «Dopo le scuole, giungono qui da noi molti giornalisti. La prima raccomandazione che riceviamo è di non usarli in redazione», racconta Belpietro. «Io non la penso così: i ragazzi vanno messi alla prova, se sono giornalisti devono saper pubblicare un pezzo fin da subito. Dico no all’abusivismo in redazione». La Barone, intanto, fra un sorriso e l’altro, comincia a passeggiare per la sala creando non pochi problemi ai tecnici. Prende pause studiate, da attrice di teatro. Una specie di Angela Luce bionda. Cominciano le domande di alcuni ragazzi seduti in prima fila: sono gli ex alunni del corso che, con grande difficoltà, portano a casa altre parole di circostanza da parte di Giuffrè e delle forze dell’ordine.
Colmo di curiosità (seguendo i consigli di Provvisionato), scambio due parole con gli ex studenti. Sul tesserino appeso al collo c’è scritto Bigol.it. È l’agenzia di stampa fondata quasi cinque anni fa da Cristiana Barone. Il primo, Paolo, mi parla della sua esperienza. È entrato al corso per “cronisti di strada” sborsando cinquecento euro. Finora nessuno aveva parlato di costi. «Il corso, quando ho partecipato, era previsto per cinquanta ragazzi: venticinque vi accedevano gratuitamente, in quanto studenti della Parthenope con una borsa di studio, gli altri venticinque, fra i quali c’ero io, erano provenienti da altre università e per questo dovevano pagare». Paolo, dopo il corso, è entrato a far parte di Bigol.it.
Gli chiedo di cosa si è occupato negli ultimi due anni, e se è stato mai pagato: «Inchieste zero. Ci arrivano i comunicati, cambiamo qualche parola e li pubblichiamo. Si fanno i turni per coprire il sito, quando tocca a me cerco di andare oltre il “copia-incolla” e per questo mi interesso di altre cose, per esempio di Terzigno ed emergenza rifiuti. Sia ben chiaro, nessuno mi dice di farlo, è una mia volontà. Che ovviamente non viene retribuita. In due anni non ho visto un euro. Se trovi qualcuno disposto a farsi pubblicità sul sito, però, ti danno il venti per cento». Da cronisti di strada a cronisti in mezzo alla strada, insomma, il passo è breve. Rosa, invece, ha cominciato prima con Bigol, dopo qualche anno ha fatto il corso e ora è arrivata a Libero come stagista. Si trova bene alla corte di Belpietro, ha rinnovato lo stage per altri due mesi. Ci è rimasta un po’ male quando la Barone, sul palco, ha detto che lei “è proprio nata per il desk”. «A me piace scrivere, andare in giro e aprire il taccuino – mi dice – non resisto molte ore davanti allo schermo di un computer». Piove a dirotto quando usciamo dall’aula magna. Ovviamente Rosa ha l’ombrello, io no. (davide schiavon)