da: Radio prima rete
È notte fonda, un uomo armato e vestito da gerarca fascista e un ferroviere con una valigia in mano camminano furtivamente in un vicolo di una città medievale. All’interno di una stanza, illuminata solo da un paio di candele sono stipati in tanti, per lo più giovani. Molti fumano nervosamente. Il gerarca bussa a una porta. Un solo tocco al centro della porta con le nocche del pugno sinistro e poi un fischio. Un giovane, che è nella stanza, con il camice da salumiere addosso sobbalza e dice “sono loro”, si alza da una sedia e apre la porta. Sono felici di vederli. Tutti si abbracciano, cercando di non far troppo rumore e soffocando la loro gioia.
Il ferroviere si chiama Aniello Tucci. L’uomo vestito da gerarca non è un fascista, si chiama Giuseppe Iazzetti e fa il tipografo a Napoli. Sono partiti insieme da Calata di Massa a Napoli per arrivare fino lì, al retrobottega di una salumeria nel centro storico di Capua. «Mettiamoci al lavoro, dobbiamo far presto», dice il ragazzo salumiere che è il fratello di Aniello e si chiama Tommaso. Aniello apre la valigetta e tira fuori grandi fogli di carta, inchiostro, caratteri, clichées. Sono lì, in quel buco nascosti, per stampare un giornale. È la primavera del 1942.
Il Proletario, un giornale clandestino
Fu allora che uscì il primo numero de Il Proletario, l’unico giornale clandestino e resistente stampato nel Sud Italia. A fondarlo furono “Leniscki”, nome di battaglia di Aniello Tucci e “Rosso”, nome in codice di Michele Semeraro. Le manchettes ai lati contenevano spesso due frasi: “La distruzione della città non costa niente ai tedeschi” e “I tedeschi vogliono che l’Italia sia il loro campo di battaglia, ma gli italiani hanno il dovere di evitarlo”. Sotto la testata, il celebre motto: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Era un giornale comunista Il Proletario, ma ospitò articoli di tutte le anime della Resistenza (socialisti, democratici di sinistra, repubblicani e democratici di ispirazione cattolica). Spesso mancavano alcuni caratteri: al posto di una “A”, si utilizzava una “V” capovolta o viceversa; se mancava la “O” si ricorreva ad una “C”, con l’apertura rivolta verso il basso.
Ne uscirono ventuno numeri: dalla primavera del 1942 fino al 18 agosto del 1943. Circa un mese prima delle quattro giornate di Napoli, il 22 agosto 1943 Tucci e compagni furono arrestati durante una riunione segreta a Cappella Cangiani a Napoli, molto probabilmente a causa di una soffiata. Furono liberati il successivo 10 settembre, due giorni dopo la firma dell’Armistizio.
Centinaia di copie de Il Proletario partivano da Capua per arrivare al porto di Napoli, ai cantieri di Torre Annunziata, nel centro storico di Napoli, nella zona di Frattamaggiore e Afragola, a Caserta città, a Sparanise, a Calvi Risorta e finanche a Cassino. Il giornale divenne in quegli anni l’anima della Resistenza al Sud, che vide Capua come centro operativo. Erano ben tre i gruppi di resistenti attivi nella città bagnata dal fiume Volturno: il gruppo dei giovani (con in testa Tucci e Alberto Iannone), il gruppo del Pirotecnico e il gruppo del Museo (gli intellettuali che si riunivano segretamente al Museo Campano, diretto allora dall’avvocato Luigi Garofano Venosta).
La storia de Il Proletario è anche la storia, purtroppo dimenticata, di questi giovani valenti che rischiarono o persero la vita in nome della libertà e in difesa della Patria. Aniello Tucci, il ribelle, sempre con un paio di occhiali da sole al naso, che amava definirsi “un anarchico romantico”. Carlo Santagata, che morì da eroe, impiccato dai nazisti sulla strada verso Santa Maria Capua Vetere a soli sedici anni. Luigi Garofano Venosta, che salvò dai bombardamenti la collezione unica al mondo delle Matres Matutae, con un sistema da far invidia a Indiana Jones. Michele Semeraro, ventenne pugliese, studente a Capua presso la Caserma “Ettore Fieramosca”, che ebbe il fondamentale ruolo di collegamento tra il mondo militare e quello universitario e intellettuale di Napoli.
I partigiani del casertano
A portare di nuovo alla luce le loro storie è stato lo studioso capuano Massiliano Palmesano, autore del libro Un giornale fuori legge (edito da Tracce ribelli), in uscita a maggio. «Sono partito dal lavoro del compianto Franco Pezone, storico di Orta di Atella, che pubblicò, con l’Istituto di Studi Atellani, un libro sulla Resistenza a Capua e su Il Proletario – confida Palmesano – ma il mio obiettivo è stato quello di realizzare un lavoro organico su tutta la Resistenza nella nostra terra. Gli altri storici locali, fino ad ora, si erano concentrati sulla storia delle stragi (come quella del 7 ottobre 1943 di Bellona) o su singoli episodi – prosegue Palmesano. Io ho cercato di dare uno sguardo d’insieme, perché il passaggio dei tedeschi in provincia di Caserta durò un mese, ma fu cruentissimo: circa cinquecento furono i morti».
Lo storico capuano racconta nel libro anche della battaglia di San Prisco del 27 settembre 1943. Mentre a Napoli scoppiavano le rivolte popolari (raccontate nel celebre film di Nanni Loy del 1962), a San Prisco, sul Monte Tifata un gruppo di partigiani resistette all’attacco dell’Alpen jager, un gruppo alpino d’élite dell’esercito tedesco, grazie alla migliore conoscenza del territorio e alla posizione di favore sull’altura. Nell’azione di resistenza e difesa, che costrinse la divisione tedesca alla ritirata, persero la vita due soldati dell’esercito sovietico che aiutarono i partigiani. Purtroppo le gesta di questi eroi e dei giovani che scrissero su Il Proletario sono cadute nell’oblio, «molto probabilmente anche perché è stata una storia di forti amicizie, caratterizzate poi, nel dopo guerra, da spaccature e delusioni», sostiene Massimiliano Palmesano.
Aniello Tucci nel 1947 fu cacciato dal PCI perché in rotta con la linea ufficiale dettata da Palmiro Togliatti. Continuò la sua attività politica da indipendente: «Sappiamo che negli anni settanta ospitò clandestinamente nella sua casa a Capua, in viale Ferrovia, dissidenti del regime dei colonelli in Grecia», racconta Palmesano. Corrado Graziadei, una delle “penne” de Il Proletario, che poi provvedeva a distribuire a Sparanise, Calvi Risorta e nella rischiosa Cassino, fece invece carriera nelle fila del PCI, venendo eletto deputato nella seconda legislatura (dal 1953 al 1958). Di Michele Semeraro non si hanno più notizie. È come scomparso, forse, deluso da come andarono le cose, abbandonò finanche l’Italia nell’immediato dopoguerra.
I ragazzi del Tempo Rosso, il centro sociale di Calvi Risorta, ricorderanno i loro nomi con un corteo che partirà il 25 aprile alle 9.30 da piazza de I Giudici a Capua e arriverà all’albero di gelso dove fu impiccato Carlo Santagata sulla nazionale Appia. Lì leggeranno un prezioso documento che la professoressa Anna Solari, nuora di Luigi Garofano Venosta, ha dato a Palmesano per la sua ricerca: la lista dei cinquanta combattenti capuani redatta dallo stesso Garofano Venosta. (francesco capo)
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