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26 Aprile 2018

I LUOGHI DELLA MUSICA – Geografie del suono, numero cinquanta

asilo filangieri, elio martusciello, fabrizio elvetico, geografie del suono, massimo pupillo Leave a Comment
(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

Inizia a fare caldo in città, e il pubblico del meteo si divide tra chi ne soffre, chi ne gode e chi ne è indifferente. L’investitura a strati mi permette di guadagnare le giuste condizioni adattive in riferimento al differente contesto. Sono diretto all’Asilo Filangieri. Ho un appuntamento con Geografie del suono.

Il Tavolo Infrasuoni è uno dei gruppi che anima l’Asilo, lavora intorno alla musica e crea situazioni di scambio tanto tra musicisti quanto tra musicisti e pubblico. Geografie del Suono traduce questa natura in un evento che venerdì 20 aprile ha segnato il cinquantesimo appuntamento del percorso. Un percorso che nasce nel maggio 2015, con l’incontro tra il collettivo Mediterraneo Radicale di Torino e l’altrettanto collettivo Crossroads Improring napoletano. In occasione del quarantatreesimo appuntamento di GDS, che aveva visto la presenza in campo di Alvin Curran, avevo avuto modo di parlare più lungamente con Fabrizio Elvetico, che mi spiegò come in quell’occasione si era pensato di non fermarsi al semplice evento, al concerto, alla performance con il nome di richiamo, ma di favorire l’incontro tra musicisti che vengono un po’ dappertutto. Ne nacque una formula: gli ospiti avrebbero fatto la loro parte di concerto per poi ricevere e interagire con musicisti residenti. Sarebbero state create in queste modo delle condizioni per sollecitare lo scambio tra diversi interpreti in un continuo ricambio, senza ripetizione del singolo.

Al terzo piano ritrovo un luogo amico per entrare in relazione con la pratica musicale, grazie alla non meglio definita separazione tra pubblico del concerto e pubblico dell’evento. A partire dalle 21, diversi momenti avevano anticipato la conclusione dei lavori musicali affidati al palco: strumenti acustici e diffusioni elettroniche si ponevano in risonanza con gli spazi dell’Asilo, invitati a farsi sala da concerto. Il richiamo dell’appuntamento anima nuvole di pubblico che in alcuni momenti si condensano per far piovere un continuo cicaleccio come sfondo sonoro. L’aria di festa si respira dai diversi banchetti che propongono i cimeli dell’evento: un’intelligente cartolina con Qrcode che permette di riascoltare tutte le Geografie del suono del passato, magliette, dischi, spille e sorrisi. La fila per la birra è più in forma che quella al bagno.

Il giusto livello di chiacchierata anticipa l’ingresso al teatro, dove Massimo Pupillo era chiamato a interpretare il buio con il suono in favore del pubblico intervenuto. Spente le luci in sala, Pupillo imbraccia il suo basso e inizia a tramare tessiture, servendosi poi di un altro controllo per manipolarle. Il suono procede, cammina, ne incontra altri sul suo percorso e iniziano a fare strada insieme, in maniera del tutto spontanea opportunamente controllata. Stiamo ascoltando qualcosa di efficace mentre si agita il visual alle sue spalle. La trama inizia a infittirsi, non è mai sgradevole ma se ne apprezza lo scorrere variato. Un fraseggio dilettantesco prelude l’ingresso di basse frequenze: a fendere lo spazio è il tempo, mentre si agita in maniera randomicamente ripetitiva tutto quel motivo di prima. La sala è gremita, l’attenzione è costante, attivati i lavori di documentazione della cosa, tra regia e videocamere in azione. Inizia un morphing per la struttura musicale: tutto continua costretto a non potersi arrestare. Appena il rischio ridondanza sembra affacciarsi, ci fa apprezzare la stereofonia che diventa in breve sempre più evidente. Poi i suoni iniziano a diventare aggressivi, finché tutto si avvolge in un turbine che scorre vorticosamente come suggerito dall’incipiente visual. La stereofonia ormai si è fatta carta letta; allora insiste su frequenze alte prima di introdurre una sintesi digitale di pulsioni in ordine prima medio, poi alte, infine basse. Sta iniziando a cambiare atteggiamento pure sullo strumento, come dimostra la pressione sonora. Piano piano si consuma lo spazio di un addomesticamento del suono. Lo confesso, da quando ha introdotto quelle basse frequenze che si ripetono cicliche perde la mia attenzione. Qualcuno è preso, qualcuno è annoiato, tutti partecipano.

Il concerto prosegue più a lungo di quanto mi aspettassi, o almeno di quanto volessi. Sono passati tredici minuti dalla mezzanotte che Elio Martusciello e Fabrizio Elvetico raggiungono Pupillo sul palco per darsi alla musica insieme. Ne nasce un flusso dove gli interventi sull’andante percussivo di Martusciello e l’andamento di una scrittura ritmica da parte di Elvetico motivano di un nuovo fare il bassista degli Zu. Questo segmento musicale mi riprende dal torpore del precedente. Addirittura, in conclusione, la composizione musicale estemporanea si motiva della presenza di un silenzio giocato sulle fragilità della durata che entusiasma non poco. Ma cessa poco dopo, per lasciare spazio agli applausi. Lasciamo l’Asilo dopo la procedura del congedo, in attesa di una continuità da raggiungere nella terza cifra. (antonio mastrogiacomo)

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