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16 Dicembre 2017

LE PAROLE DELLA MUSICA / Dimenticare Beethoven. Alvin Curran all’Asilo

Antonio Mastrogiacomo
(disegno di escif)
(disegno di escif)

Alvin Curran è venuto a Napoli a fine novembre. Aveva sentito parlare dell’Orchestra Elettroacustica Officina Arti Soniche (OEOAS), formazione messa in piedi per iniziativa di Elio Martusciello, e ha voluto provare lo strumento. La cosa si è tenuta all’Asilo di Filangieri, per il quarantatreesimo appuntamento di Geografie del suono, sabato 25 novembre. Il musicista statunitense con base a Roma ha chiamato l’incontro Neapolis Sounding, rivelando nelle note di sala l’aderenza dell’appuntamento sonoro al principio del tempo reale – il tempo necessario per fare assolutamente nulla nel nome dell’arte eterna. In breve, il sempre-presente nel quale succedono le cose come, appunto, la musica. Due giorni divisi tra prove, il venerdì, e concerto il sabato. Riusciamo a scambiare due parole col maestro poco prima della performance. Raggiungiamo una sala lontana dal teatro, di quelle di solito destinate alle assemblee. Intimiamo un po’ di silenzio.

Interprete della nuova condizione tecnologica che anima il suono, Alvin Curran sa muoversi con agilità nella storia della musica contemporanea. Le sue indicazioni sono preziose. Ha parole buone verso l’esperienza dell’orchestra. «Questo tipo di attività come l’orchestra vale come strumento-collettività che agisce come uno: non è sotto un direttore, non è sotto costrizione di partitura, ma usa la spontaneità e la volontà delle persone di stare insieme. Questa condizione è indice di un nuovo equilibrio tra suono e non suono, tra libertà senza confine e anche autorità senza confine».

Il suo passato musicale emerge quale altro polo delle affinità che legano OEOAS a Musica Elettronica Viva MEV: «Ai tempi di MEV abbiamo ricercato l’abbassamento del confine tra musicisti e pubblico». Gli anni Sessanta hanno fatto da sfondo all’azione di stranieri – tra cui Curran – che piantavano le tende nella Roma di Fellini, per giunta facendo musica. Le sessioni che il gruppo organizzava presso il proprio spazio erano diventate veri e propri cult. Ad animarli l’urgenza di fare tabula rasa, un azzeramento da concretizzare nella creazione di musiche libere. «Si iniziava ad agire come uno strumento musicale che, come tale, ha il potere di creare una via, una tendenza, un luogo, un sito dove un potenziale di nuova musica può succedere per via di una volontà collettiva».

Come contrappunto storico individua i programmi in cui sono rimasti impigliati i conservatori dove, per l’appunto, un conservatorismo indigeno segna la pratica accademica degli studenti. «Per prendere un diploma in pianoforte non devi suonar niente dopo Debussy. Ma questo è già più di cento anni fa, quasi centocinquanta anni fa! E segna in modo chiarissimo che non c’è la coscienza che viviamo nel ventunesimo secolo». Questa cesura s’impone abbastanza drasticamente e rischia di eliminare quella musica del ventesimo dove è pur sempre possibile riscontrare parecchie rivoluzioni. «La musica europea è una cosa, ma non è una cosa del ventunesimo secolo, a parte quella delle case discografiche che investono in questo campo. Risulta chiaro che i vincitori alla fine siano sempre Beethoven, Mozart, Bach. Eppure, ancora di più ora, bisognerebbe mettersi in ascolto di tendenze che con l’appoggio e l’uso delle tecnologie digitali faranno veramente dimenticare Beethoven. Chiaramente non subito. Chiaramente non bisogna dimenticare Beethoven».

In Curran risulta davvero evidente un’istintualità che attraverso la musica raggiunga il pre-linguistico, che si traduca nella ricerca di strumenti primitivi attraverso i quali cercare fin dentro di sé i suoni più profondi, in ascolto di musiche che emergano dal passato. «Una costante propensione all’abbinamento tra il preistorico e l’attuale è quello che m’interessa».

Curran ha chiesto ai suoi musicisti fattisi strumento di borbottare, di articolare suoni che suggerissero intenzioni senza impiegare parole. Ha usato dei fogli a3 plastificati, disegnati, colorati, che estraeva come fa un arbitro con i cartellini nel taschino; lui li aveva posizionati sul banco. Tra questi, la carta del Fallimento. Ha esclamato rivolto al pubblico, dopo un applauso durante il concerto: «Non andate via». Ha dato il via alle danze con un sonoro: «Go!».

Per la cronaca quella sera Alvin Curran non è stato l’unico a divertirsi. (antonio mastrogiacomo)

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