Il 7 novembre 2022 si è tenuta la prima udienza innanzi alla Corte di Assise. Il clima teso ha ricordato il primo giorno del processo, quando le parti si sono riunite davanti al giudice dell’udienza preliminare, il dottor D’Angelo. Nella stradina di campagna che porta all’ingresso del bunker si erano ritrovati i giornalisti per raccogliere qualche dichiarazione.
Per questa ripresa di novembre, gli avvocati avevano indossato gli abiti migliori nell’eventualità di essere ripresi per qualche secondo durante l’appello del presidente della Corte, il dottor Donatiello: tailleur, completi vecchio stile, impermeabili, borse di pelle… hanno marciato disordinatamente verso l’aula al ritmo dei tacchi delle scarpe lucide, in mezzo ai campi di finocchi e friarielli evitando le pozzanghere piene della pioggia del giorno precedente. La folla dei poliziotti imputati, distinguibile anche dai vestiti meno chiassosi, poco distante dalla porta d’ingresso blindata, circondava due sindacalisti, uno dell’unione sindacati polizia penitenziaria, l’altro del sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Gli agenti, attentissimi alle parole consegnate ai cronisti, speravano che qualcuno potesse smorzare il tenore delle narrazioni mostrificanti.
In ogni udienza la Corte entra in aula scortata dal corridoio di carabinieri che blinda il passaggio per isolarla dal resto dell’ambiente, un cerimoniale che lascia figurare in chi lo osserva la gravità dei reati sotto la cognizione di questi giudici, due togati e altri otto “laici”.
Prima di entrare nel vivo del dibattimento – esame delle testimonianze e delle altre prove riguardo alle accuse di torture, depistaggi, all’omicidio di Hakimi Lamine e ai falsi commessi in occasione della spedizione punitiva del 6 aprile 2020 e nei mesi successivi all’intervento di polizia – sono state setacciate e risolte ancora una volta le questioni preliminari; la più complessa, una questione di costituzionalità presentata dagli avvocati dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria e dei vertici del comando della polizia penitenziaria. Secondo questi legali, concluse le indagini la Procura non ha depositato nel proprio fascicolo tutti gli atti investigativi e di conseguenza non ha consentito alle difese l’accesso a questo materiale. Tale condotta produce una nullità del decreto che dispone il giudizio e, in particolare, questa eventualità non essendo espressamente prevista dal codice, configura una lesione del diritto a difendersi garantito dalla Costituzione. La lesione, per i difensori, sarebbe stata prodotta dall’omesso deposito di tutte le videoregistrazioni della protesta dei detenuti del 5 aprile 2020 e di parte delle videoregistrazioni del giorno della mattanza. Inoltre, anche le copie forensi dei cellulari sequestrati risulterebbero non accessibili con gli “ordinari strumenti informatici” e, pertanto, materialmente a disposizione solo degli organi inquirenti.
Sul procedimento incombeva così l’ombra di una crepa strutturale. Gli avvocati lamentavano di non essere stati messi in condizione di elaborare una strategia difensiva complessiva sulla base dell’intero materiale investigativo.
La verifica di questa eventualità ha rimandato ancora di un paio di mesi l’inizio del dibattimento. Il punto di svolta si è avuto quando, sulla base della documentazione offerta dalla Procura, la Corte di Assise ha risolto la questione ritenendola infondata, riconoscendo piena corrispondenza tra il materiale acquisito nelle indagini e quello depositato. Pertanto, la questione non poteva essere rimessa alla Corte Costituzionale.
Sembrava che tutto stesse ripartendo, anche se è stato necessario selezionare un nuovo giudice togato per sostituire l’altro che ha abbandonato a gennaio la magistratura ordinaria. Interpello, graduatoria, altro tempo… L’inziale ottimismo che aveva animato alcuni familiari delle vittime è scomparso del tutto. Qualcuno durante le prime udienze aveva dichiarato ai giornali di volere “verità e giustizia”. Tuttavia, siamo dell’idea, lo abbiamo scritto fin dall’inizio di questa storia, che il processo è un sistema di soluzione dei conflitti generato e innestato in un ordine di cose preciso, per questo deve tener conto della conservazione del sistema sociale riproducendo i valori, gli interessi, le forze e i rapporti tra le classi di questa fase storica. La “giustizia” è una questione politica, non giuridica.
La serie di intralci preliminari ora è alle spalle e mercoledì 8 marzo 2023 è cominciato l’esame del primo testimone della Procura. Il capitano Macrì, giovane militare in carriera, che avviò le indagini prima della delega dei sostituti procuratori, quando raccolse le denunce dei familiari pochi giorni dopo i pestaggi e quelle di qualche detenuto uscito di galera nel mese di aprile 2020; intervenne personalmente nel corso della protesta dei familiari fuori al carcere nei giorni seguenti alla mattanza, quando si mobilitarono per portare sostegno ai parenti massacrati; si interfacciò più volte con l’amministrazione del carcere di Santa Maria Capua Vetere durante i primi mesi dell’emergenza pandemica per gestire le tensioni che si sviluppavano dentro il penitenziario e gradualmente si accorse che i colleghi in divisa, in quel periodo, stavano compiendo condotte molto gravi.
Il capitano ha terminato la deposizione nel corso di due lunghissime udienze. Superata la lieve emozione che trapelava dalle prime risposte, Macrì si è lasciato andare raccontando in modo preciso tutti gli snodi principali delle indagini. Il capitano ha raccontato le difficoltà incontrate per prelevare il materiale video, indicando gli elementi che hanno confermato l’ipotesi investigativa della manomissione del sistema di videosorveglianza.
TESTE: Nell’occasione l’unica cosa che era emersa è che sul posto da un controllo delle postazioni di videosorveglianza e dalla verifica era emerso che l’impianto che assicurava la videosorveglianza del primo piano risultava funzionante; l’impianto che assicurava la videosorveglianza del secondo piano aveva un cavo di alimentazione staccato, che poi quando è stato inserito risultava funzionante; il terzo e quarto piano risultavano funzionanti.
PRESIDENTE: Quindi sul momento non riscontraste anomalie del sistema?
TESTE: Chi è andato sul posto, perché sono andati i miei collaboratori, hanno preso atto di questo distacco.
PRESIDENTE: Sentiremo chi è andato sul posto.
P.M.: L’impianto che assicurava la videosorveglianza del secondo piano era spento con cavo di alimentazione staccato, avete attaccato il cavo e avete visto che registrava fino a che giorno, fino al giorno dell’accesso?
TESTE: Fino alla data del 10.
La testimonianza di Macrì ha descritto alcuni scenari sconcertanti.
P.M.: Quando fu stabilito lo svolgimento della perquisizione, per quale giornata?
TESTE: La perquisizione è stata operata il giorno 11 giugno 2020, le operazioni furono eseguite nella prima mattinata, è stata naturalmente fatta una valutazione preliminare di concerto con l’autorità giudiziaria per garantire la privacy e la riservatezza dell’attività da svolgere e poi per evitare che potessero essere disperse delle prove che erano ritenute utilissime, ecco perché si era deciso di intervenire contestualmente sia nelle attività di acquisizione, […] sia la necessità di svolgere contemporaneamente le attività di perquisizione presso i locali degli uffici oggetto dell’approfondimento; al riguardo faccio una piccola digressione: è stato fondamentale soprattutto con riferimento alla macchina fotografica; la copia forense della smart card che conteneva determinate fotografie che poi sono state oggetto di ulteriori approfondimenti si è rilevata determinante finanche alla ricostruzione di un’altra parte della vicenda.
P.M.: La macchina fotografica era la macchina che era in uso alla squadra di Polizia Giudiziaria?
TESTE: Era stata rinvenuta come da verbale di sequestro. Posso entrare nel dettaglio?
P.M.: Certo.
TESTE: Nell’ufficio di Polizia Giudiziaria; nel verbale di perquisizione che è stato redatto nell’occasione delle perquisizioni è stato fatto un riferimento ai locali dove sono stati sottoposti a sequestro gli oggetti e i materiali ritenuti utili ai fini investigativi; in particolar modo la smart card, che è stata oggetto di copia forense, la micro SD, è stata rinvenuta all’interno di una macchina fotografica nell’ufficio di Polizia Giudiziaria della casa circondariale.
P.M.: Poi è stata acquisita moltissima documentazione in vari uffici, poi dopo magari riesce a indicare nel dettaglio dove. I bastoni dove sono stati rinvenuti?
TESTE: Nel reparto Danubio, in particolar modo lo spunto investigativo per l’approfondimento della ricerca di quei bastoni derivava dalle dichiarazioni rese da uno dei detenuti nel corso di un’audizione, Fakhri Marouane.
P.M.: Ma durante la perquisizione stessa o precedentemente?
TESTE: Nel corso della perquisizione si avvicinò un soggetto, che indicò tra l’altro uno dei bastoni rinvenuti se non erro, perché è stata un’operazione fatta da due dei miei collaboratori, che nel dettaglio comunque è descritto in un verbale di sequestro.
P.M.: Dove furono trovati? Se riesce a ricordare il punto esatto, il luogo e in quale reparto.
TESTE: Ricordo il Danubio. Il tempo che verifico un attimo.
P.M.: Se non l’ha a disposizione non fa niente. È il Danubio comunque.
TESTE: Confermo che è il Danubio. Adesso ho l’atto davanti e le so dire: […] precisamente al primo piano del citato reparto, all’interno di un’anticamera sono stati rinvenuti due piedi di tavolo; al piano terra del medesimo reparto, all’interno dell’ufficio del capo posto, occultate dietro il frigorifero posizionato sulla sinistra della stanza subito dopo l’ingresso, ulteriori dieci bastoni in legno e un ulteriore bastone poggiato su delle cassette; nel corso delle operazioni un detenuto di origine straniera portava spontaneamente un bastone con del nastro isolante che avvolgeva la parte finale in un involucro non meglio identificabile; nel complesso i bastoni rinvenuti erano nella misura di quattordici.
P.M.: Ha detto che è stato trovato anche un guanto, dove e perché è stato cercato un guanto o comunque è caduta l’attenzione sul guanto?
TESTE: Ritengo che l’attenzione ricadeva sul guanto perché in una delle immagini del sistema di videosorveglianza si vedeva uno degli agenti che indossava un guanto rosso, però mi riservo di chiedere alla persona che l’ha visto precisamente, però il guanto è stato sequestrato per questo motivo.
P.M.: Quindi c’erano pluralità di azioni violente con persone che indossavano dei guanti.
TESTE: Sì, questo è quello che ricordo a memoria.
P.M.: Senta, erano guanti particolari, non erano i classici guanti che si usavano all’epoca come DPI?
TESTE: Il colore più che altro.
P.M.: Guanti un po’ più spessi diciamo così.
Nei video pubblicati si vede in particolare un agente con i guanti rossi intento a picchiare un detenuto che ha terminato di percorrere il cosiddetto corridoio umano. Il ragazzo cade, lui si avvicina e inizia a manganellare talmente forte il detenuto che un suo collega lo tocca più volte con la mano dietro la schiena per fargli capire che deve fermarsi.
A domanda del pubblico ministero il capitano ha ricordato anche il dettaglio di una fotografia ritrovata nelle chat degli agenti. L’immagine ritrae uno dei gruppi che ha operato nel corso della mattanza disposto su due file, una in piedi l’altra accovacciata. Sembra la foto di una scampagnata di amici, è una foto commemorativa dell’operazione, per ricordare il coraggio di centinaia di poliziotti che hanno picchiato a freddo “con effetto sorpresa” i terribili detenuti del Nilo.
Nella prossima udienza il capitano Macrì dovrà affrontare il controesame dei difensori degli imputati. (napolimonitor)
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