Con l’inizio del nuovo anno accademico si è tornati a parlare delle politiche abitative per gli studenti universitari, dell’assenza di studentati pubblici e delle difficoltà di trovare camere in affitto a prezzi contenuti. A porre il problema all’attenzione dei media sono stati ancora una volta i ragazzi delle Tende in piazza che avevano occupato da maggio a giugno piazza Leonardo da Vinci posizionando delle tende davanti all’ingresso del Politecnico di Milano.
Questa volta il movimento delle Tende in piazza ha organizzato per il 16 e 17 settembre un’assemblea nazionale per condividere esperienze, discutere ed elaborare proposte. In occasione di questo evento hanno deciso di occupare un ex cinema poco distante da piazza Leonardo da Vinci, che era in disuso da diversi anni, per denunciare l’abbandono di molti spazi vuoti in città e rivendicare la necessità di avere un luogo aperto al quartiere, dove incontrarsi e discutere.
L’occupazione è durata solo pochi giorni, prima di essere sgomberata dalle forze dell’ordine all’alba del 18 settembre. Il pomeriggio gli studenti hanno indetto un presidio davanti Palazzo Marino, sede del Comune, e chiesto alle varie realtà cittadine, che in questi mesi avevano sostenuto la protesta, di raggiungerli per denunciare una politica sorda e che sa fare solo sfoggio della propria forza.
Il presidio si è ripetuto pochi giorni dopo, il 22 settembre, in occasione di un tavolo promosso dal comune di Milano a cui erano stati invitati i rettori dei diversi atenei cittadini, i rappresentati delle associazioni studentesche, la Regione e la Città Metropolitana. Anche in questa occasione si sono ritrovati in piazza diversi movimenti che lottano per il diritto all’abitare con l’intenzione di sostenere gli studenti ma anche quella di denunciare quanto il problema abitativo in città sia diffuso e grave.
La manifestazione si è conclusa con la lettura di un documento redatto dagli studenti e portato al tavolo in Comune con cui si chiede di modificare il convenzionamento con gli studentati privati, aumentare gli oneri di urbanizzazione, acquisire al patrimonio pubblico gli immobili abbandonati, promuovere gli alloggi a canone calmierato.
Prima dell’estate, quando la protesta delle Tende in piazza si stava esaurendo con le ultime tende che venivano smontate da piazza Leonardo da Vinci, abbiamo incontrato due studenti che avevano partecipato e animato il movimento fin dalle prime settimane di maggio. A loro abbiamo chiesto di raccontarci come è nata e si è sviluppata la protesta, chi vi ha partecipato attivamente, quali erano le rivendicazioni iniziali e come queste sono cambiate nel tempo, che tipo di interlocuzione hanno avuto con la politica locale e come hanno vissuto l’enorme attenzione mediatica che è stata rivolta al movimento.
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Giorgio: La protesta è iniziata il 2 maggio 2023 con l’iniziativa di Ilaria, un’iniziativa individuale sostenuta dalla Terna Sinistrorsa, una lista di rappresentanza al Politecnico. Ilaria si è avvicinata a questa lista, di cui io facevo parte, nei mesi scorsi e siccome lei faceva la pendolare da Alzano Lombardo impiegando più di due ore ad arrivare a Milano, ci aveva raccontato che avrebbe voluto avere una tenda per rimanere la notte al Politecnico così da non dover fare il viaggio avanti e indietro da un giorno all’altro. Così, dopo avere comunque trovato una sistemazione a Milano, ha deciso di piazzare una tenda. Sono stati chiesti i permessi necessari avvisando la Digos e la Prefettura, ed è rimasta lì la notte insieme a due ragazzi della Terna, Angelo e Luca, perché passare la notte da sola in piazza era una situazione che rischiava di essere pericolosa.
È stato fatto uno striscione firmato “Ilaria La Terna Sinistrorsa” con scritto “Basta caro affitti, scoppiamo la bolla”. Si voleva appunto protestare contro il caro affitti e quella che sembra essere una bolla speculativa sul sistema immobiliare milanese di cui gli studenti sono un grande centro perché vengono e se ne vanno molto frequentemente.
Non ci si aspettava delle risposte particolari e non si sapeva bene cosa sarebbe successo. Fatto sta che la sera stessa Ilaria è stata intervistata da Milano Today e il giorno dopo è uscito l’articolo. Poco dopo è uscita un’agenzia e da lì una valanga di media. Ilaria è stata subissata di richieste di interviste e ha ripetuto sempre quale fosse il punto della sua protesta. Diciamo che nelle prime interviste non c’era grande elaborazione. Ilaria aveva fatto questo gesto di protesta, anche abbastanza impulsivo, cioè non così preparato dal punto di vista politico. La cosa di cui si parlava di più era forse un tetto agli affitti, più studentati pubblici, prezzi calmierati. Ovviamente Ilaria non era da sola, perché poi nel momento in cui si è accesa la luce, la Terna è dovuta intervenire in maniera più massiccia: Arianna c’è stata della prima ora a ricevere le chiamate dei giornalisti e a fare il lavoro di segretaria.
La protesta è stata subito appoggiata dalla politica, cioè si sono tutti espressi abbastanza a favore, dicendo fa bene a protestare, dalla rettrice del Politecnico, all’assessore Maran, che credo sia stato uno dei primi a chiamarla, al capogruppo Pd del consiglio regionale Majorino, alla segretaria del Pd Schlein che ha fatto una chiamata al telefono, senza andare nello specifico, dicendo che se ci fossero stati problemi legali o di polizia avrebbe avuto il sostegno.
In generale, anche prima di me, si sono aggiunti altri ragazzi che avevano visto i post su Instagram di Ilaria e sentendo il problema molto vicino sono venuti a mettere le tende. Uno dei primi è stato un lavoratore del mondo della fotografia, Duri, che si è presentato con degli stativi e una coperta dormendo per più di qualche notte anche senza avere una tenda effettiva.
Ilaria si era piazzata il martedì, il venerdì è stata la mia prima notte in tenda e già eravamo cinque o sei tende. Intorno si erano avvicinate un sacco di persone, e soprattutto le persone che passavano, guardavano questa cosa, facevano domande, ci sostenevano in maniera generica, qualcuno un po’ più critico: “Sì, ma che cosa volete fare? Che cosa volete dire?”. In quella fase lì non avevamo grandi risposte, un’elaborazione si è creata pian piano anche rispondendo alle persone, qualcuno ci dava la sua idea e quindi si ragionava, poi si è iniziato a studiare un po’ come gruppo, poi si è organizzata un’assemblea aperta, credo il primo sabato.
Pietro: Era sabato 6 maggio e fu il giorno di svolta. Si fece un’assemblea aperta alle forze politiche locali proprio in piazza Leo, dopo che per tutta la settimana si era sentito nei telegiornali della ragazza in protesta contro il caro affitti. Io mi aggiunsi con l’associazione di cui facevo parte al tempo, che era Unione giovani di sinistra. Decidemmo di fare a staffetta, piantando una tenda e alternandoci una persona per notte. Poi, dopo aver fatto la prima notte, non riuscii a lasciare la causa alle altre persone e decisi di continuare a stare qui e ci sono stato per un mese e mezzo.
Giorgio: Erano poche persone che stavano dicendo delle cose che tutto sommato si conoscevano, che invece venivano pubblicate da tutti i media come qualcosa di rivoluzionario e quindi vivendo dall’interno c’era da un lato l’energia, il divertimento, l’entusiasmo di rendere questa cosa più grande di quello che era, e da un lato un po’ di paura: si stanno aspettando troppo da noi, stanno raccontando qualcosa che è più grande di quello che è. L’idea iniziale era che la protesta doveva essere di una settimana, quindi ogni giorno ci chiedevamo: “Sì, ma quindi che cosa vogliamo fare? Che sta succedendo veramente?”. La mia impressione era che fossimo comunque pochi, forse perché mi aspettavo un’esplosione di rimbalzo da quello che veniva dai media, cioè il fatto che ne parlassero tutti, il fatto che uscivi dalla tenda la mattina e c’era il Tg1 con la telecamera che ti chiedeva: “Come è andata la notte?”. Però evidentemente serviva un po’ di tempo per crescere. Abbiamo fatto questa assemblea pubblica il sabato, che è stata partecipata, però i numeri erano comunque di venti-trenta persone. La domenica abbiamo scritto una dichiarazione: “La protesta nasce dalla volontà di contrastare il caro affitti, il fatto che in nessun modo si rende possibile agli studenti e ai lavoratori di diventare indipendenti e costruire un futuro proprio da soli o con qualcun altro. Tenere alta l’attenzione sul tema è necessario per questo vi chiediamo di unirvi alla protesta…”. Quella domenica si era programmato che Ilaria smontasse la tenda però ci eravamo accorti che era una cosa che non poteva finire lì, aveva generato troppo entusiasmo da parte delle persone che si erano avvicinate e anche troppo risalto mediatico per dire: “Ok, scompariamo e finiamo tutto così”, e siccome c’erano persone che volevano stare con noi, siamo rimasti.
Giorgio legge i messaggi dalla chat whatsapp di Tende in piazza: Mercoledì 10 maggio: “Siamo in crescita nove tende”. Giovedì 11 maggio: “Buon giorno dalle quattordici tende di piazza Leo”. E l’11 c’era questo incontro a Palazzo Marino. La politica, e in particolare Maran a livello comunale, ha cercato di rispondere a questa protesta invitando Ilaria a un tavolo. L’interazione però non è mai stata efficace, anche se all’inizio, soprattutto da parte di Ilaria ma anche di altre persone che stavano lì, si vedeva in maniera positiva l’attenzione delle istituzioni. Quindi l’incontro è stato fatto e abbiamo partecipato in maniera abbastanza critica, cioè nell’idea di non appoggiare quello che è stato fatto, ma di dire noi siamo in piazza proprio perché ci sono delle cose che non hanno funzionato, che non funzionano e c’è bisogno di provare a cambiare la direzione. Nello stesso giorno abbiamo fatto un’assemblea dove si voleva restituire quello che era stato detto, e così si è iniziato a instaurare il modo assembleare per parlare, per decidere qualcosa. “Si è conclusa poco fa l’assemblea aperta con il sindaco e l’assessore Maran […]. Questa volta le soluzioni che deciderete di adottare dovranno andare a beneficio di tutti. La generazione dei nuovi poveri che in questi giorni sta riempendo di tende le università italiane non può tollerare ancora una volta che le risorse pubbliche finiscano nelle mani di privati che speculano sul nostro futuro. Non accetteremo anche stavolta la retorica della domanda e dell’offerta. Questa battaglia ce la chiedono i nostri colleghi di università, i lavoratori, le nostre famiglie. Continueremo ad aspettarvi in piazza”.
Volevamo che la piazza fosse proprio un luogo catalizzatore di tutti quelli che si occupano di abitare e anche dove la politica potesse incontrarsi con quelli che vivono il problema in modo da recepirne le esigenze e provare a fare delle norme, degli interventi, delle delibere per dare delle soluzioni. E invece la politica, soprattutto Maran, ai tavoli ha sempre risposto: “No, facciamo un evento, facciamo una conferenza. Vieni tu a Palazzo Marino”. La cosa bella di dire venite in piazza o state in piazza è che chiunque, anche uno che passa e vuole esprimersi su questa cosa può farlo senza che ci sia un tramite di rappresentanza che finisce sempre per mediare le posizioni e perdere anche di verità.
Sabato 13 eravamo a diciassette tende. La gente, le diverse realtà cittadine passavano, trovavano qualcuno, si facevano due chiacchiere, si capiva se si poteva dare una mano stando lì, portando delle tende, portando gente per enfatizzare di più la protesta. Quelli del centro sociale Lambretta hanno portato diversi gazebi e quindi si è creata un’area dove stare, dove fare assemblea, si sono aggiunte diverse tende e tendoni. Diciamo che c’è stata un po’ più di organizzazione ed è iniziato a sembrare un posto in cui si poteva stare.
Pietro: Fu il Lambretta, il mercoledì sera prima dell’assemblea con Sala e Maran, a chiamare anche i ragazzi di Mutuo Soccorso, che danno cibo a persone senza tetto due volte a settimana. Ci portarono un sacco di mangiare, i gazebi, la musica, volevamo proiettare anche il derby che c’era quella sera. Penso che la formazione assembleare che prendemmo fu dovuta non tanto alla giunta del Lambretta quanto all’arrivo anche di Unione popolare con i ragazzi dei Giovani comunisti e quel mercoledì notte le prime persone di Possibile, il partito di Civati.
Giorgio: E anche quelli di Link, credo.
Pietro: Esatto, Studenti indipendenti.
Giorgio: Così come tutti quelli della Statale.
Pietro: Secondo me l’aggiunta ultima del centro sociale Cantiere ci diede la consapevolezza, ci fece capire che avevamo bisogno di una qualche linea politica da stabilire in collettività, perché ognuno aveva una formazione di stampo differente.
Giorgio: Quello che è accaduto nella prima e seconda settimana, è stato qualcosa di unico, nel senso che è stato una sorta di laboratorio politico in cui si sono incontrate persone che vivono in realtà che non è così facile che si incontrino, tipo la Terna Sinistrorsa, che è una lista di rappresentanza al Politecnico, così come Unione giovani di sinistra, che è una giovanile di un partito, con realtà dei centri sociali che con i partiti non hanno un bel rapporto. Ci sono stati anche diversi studenti del Politecnico non legati a nessuna realtà che hanno detto: “Bello, fate bene, è una figata, passo”, e poi hanno deciso di mettere la tenda per qualche giorno con gli amici. Sono passate persone di qualsiasi realtà, di qualsiasi estrazione sociale, di qualsiasi zona. È stato un momento in cui le persone si mettevano in discussione perché vi era una comunità poco compatta, in cui le idee erano eterogenee e quindi tutti sentivano la possibilità di avvicinarsi senza essere visti come esterni e tutti trovavano il coraggio di esprimersi e di confrontarsi con gli altri; e c’erano tantissime occasioni in cui si cambiava idea e io in primis ho cambiato idea spesso su quello che pensavo di un posto, di una persona, di una realtà, anche dei metodi, delle pratiche delle cose che si fanno.
Dal 15 maggio si è deciso di fare un’assemblea tutti i giorni alle 19. Prima era a passaggio libero, quindi chi ci stava partecipava alla protesta. Le sere erano i momenti più attivi in cui ci si vedeva e si stava insieme in maniera più leggera, si cercava di capire come mandare avanti questa cosa, cosa ne pensasse la gente. Una parte importante era rappresentata dall’organizzare le interviste, cosa dire davanti alle telecamere. Poi se partecipare o meno al tavolo, che cosa dire, elaborare proposte, come collaborare con altre realtà, come inserirsi nei vari discorsi che portavano avanti anche gli altri.
Pietro: I più lunghi dibattiti assembleari furono per la dicotomia che all’inizio avevamo tra il rapporto che volevamo avere con l’esterno, ovvero di persone quasi totalmente neutrali a livello di posizionamento politico, e persone invece molto posizionate a sinistra o comunque per la maggior parte a sinistra. Fino alle ultime settimane di maggio le assemblee furono dedicate soprattutto alla decisione sul posizionamento, perché ogni scelta, anche di rilasciare interviste, di fare collaborazioni con altre realtà poteva far trasparire un posizionamento. Mi viene in mente il 15 maggio quando ci fu la manifestazione davanti a piazza Leonardo da Vinci dei giovani palestinesi e che, come ogni altra manifestazione di quel periodo, venne deciso di fare iniziare e finire o passare per piazza Leonardo per via delle tende presenti. Dare un posizionamento significava avere una netta linea politica, dare alla stampa la foto insieme, non darla, dirgli di non passare. Non era una cosa scontata all’inizio e di quello parlavamo per la maggior parte delle assemblee.
Giorgio: Anche le bandiere, per esempio: tenere o meno delle bandiere esposte è stata una cosa che ha creato dibattito. Così come degli striscioni perché si doveva decidere se mantenere il focus solo sul problema abitativo, sul caro affitti in particolare, oppure integrare altre questioni. Diciamo che poi le sintesi non erano mai così forti o così efficaci. Si è sempre navigato un po’ a vista, se una cosa creava problemi facevamo un passo indietro. Però c’è stata discussione. Inoltre, dalla prima alla seconda settimana si è spostato molto il tema, cioè si è partiti con il primo striscione contro il caro affitti e poi si è sentita l’esigenza, che è stata portata dalle persone che si occupavano già di abitare, di portare anche altri temi. Quindi avendo contatto con realtà come Ci Siamo, come Off Topic, poi sono venuti anche quelli dell’Unione Inquilini, si è preso consapevolezza del tema su un livello più generale, che questo non fosse legato ai soli studenti ma ai lavoratori, agli immigrati, e anche a livello comunicativo si è iniziato a parlare di altro. Di fatto poi, la maggior parte delle domande dei giornalisti era legata al come praticamente stavamo vivendo questi giorni. È stato un periodo dove ha piovuto tutti i giorni, dopo mesi di siccità, e noi ci siamo beccati proprio quelle settimane là. Spesso poi si affrontava la questione o in programmi pomeridiani o comunque in tv con pochi secondi a disposizione e quello che interessava di più a loro era quello che faceva più presa sul pubblico.
Giorgio legge la chat whatsapp di Tende in piazza. Martedì 16 maggio: “Superate le trenta tende, raggiunte le trentanove”. Sabato 20: “Assemblea aperta”. Si sono fatte diverse assemblee, ripetendo sempre le stesse istanze e arricchendole con quelle che si recepivano dalle persone che passavano. Siamo arrivati a un massimo di cinquantacinque tende, però queste tende rappresentavano tutte le persone che erano passate e che orbitavano intorno alla protesta, non stavano lì fisse.
Pietro: Se c’era un giorno in cui venivano riempite era il sabato sera, ma era irrealistico anche per noi pensare di avere cinquantacinque persone nella settimana tutte presenti a dormire. Alla fine ci sono state utili perché siamo sempre riusciti a piazzare qualcuno dentro quando voleva contribuire alla protesta senza dover passare per l’impiccio di procurarsi una tenda. La media comunque è stata tra le dieci e le venti persone a notte. Durante il giorno ovviamente variava in base agli orari.
Giorgio: Spesso in assemblea c’erano anche interventi di persone che venivano solo per curiosità. Così una sera è stato a parlare fino a tardi un signore che poi ci è andato a comprare quattro sacchi di mele. Si sono creati dei personaggi ricorrenti come un signore che ci proponeva dei progetti di edifici rivoluzionari per fotovoltaico con una torre al centro, altri passavano per trovare un po’ di compagnia… È stato un posto che ha raccolto quell’esigenza di comunità che evidentemente c’è ed è inespressa e che si è manifestata invece in queste forme.
Pietro: Un ragazzo senegalese senza documenti che ha fatto qualche assemblea con noi ci ha raccontato la difficoltà di stare con la tenda in Stazione Centrale, a parte i continui sgomberi, per la mancanza di un bagno, di un tavolo, dei privilegi che invece noi con la nostra protesta avevamo, nonostante la pratica fosse comunque di stare in tenda e stare in giro di giorno come faceva lui.
Giorgio: Una cosa importante è successa il 12 giugno. Si stavano spegnendo un po’ le forze, dopo un mese di protesta. C’era gente in assemblea, però la notte non ci dormiva più nessuno. C’era più di un senzatetto che iniziava a dormire nelle tende che erano rimaste vuote. C’erano cose lasciate lì che non erano più responsabilità di nessuno, mentre prima il gruppo si assumeva la responsabilità di gestire tutto. C’è stato anche qualche episodio di violenza, qualche aggressione non legata direttamente alle tende o al motivo delle tende.
Pietro: Venne picchiato un ragazzo che stava facendo la prima sera lì, non faceva nemmeno parte dei nostri, e ci furono un paio di scontri che spaventarono e iniziarono a far parlare del fatto che piazza Leo non poteva essere abitata a oltranza, anche se era quello che dicevamo ai giornali, e che passato il brutto tempo tornava a essere piazza Leo, che a Milano è conosciuta come una piazza non navigabile da tutti, negli ultimi anni, soprattutto la sera.
Giorgio: Iniziava anche la sessione di esami, un fattore importante perché la maggior parte erano studenti. Si cominciò a riconoscere una mancanza di forze e si decise di iniziare a pensare a come chiudere questa cosa. Così il 12 giugno ci fu l’occupazione della Casa dello studente di viale Romagna, che è un posto molto vicino alla piazza e che rappresentava bene le istanze che portavamo avanti: un posto chiuso da un anno per lavori di ristrutturazione, che doveva aprire a ottobre, poi l’apertura è stata rimandata a dicembre, ma non sarà aperto neanche a dicembre: i lavori si sono bloccati perché non c’è la parte del finanziamento del governo. Il Politecnico ci ha messo la sua, aspettava l’altra, però non è arrivata e quindi è rimasto tutto così. È stata fatta questa occupazione di un paio di giorni, si è entrati una mattina, il posto era mezzo aperto e non ci sono stati problemi da quel punto di vista, non c’è stata neanche grande attenzione in un primo momento. Poi quando si sono accorti dell’occupazione, si sono presentati quelli del Politecnico e le forze dell’ordine. È stato gestito tutto tranquillamente dicendo che era un’occupazione di due giorni, che aveva delle rivendicazioni chiare, che era un modo per dire: abbiamo la forza di fare una cosa del genere, fateci attenzione e cercate di darvi una mossa per prendere in mano queste istanze che stiamo proponendo.
La decisione di fare un’occupazione è stata abbastanza travagliata per l’eterogeneità del gruppo e per il fatto che molti non erano pratici di certe soluzioni. C’era una parte più spaventata, una più slanciata e una più tranquilla. Però si è deciso di fare questa azione, che è stata un po’ oscurata dalla morte di Berlusconi, la mattina stessa, poi nei giorni successivi se n’è parlato. Si è fatta un’assemblea molto partecipata all’interno dello studentato e si è conclusa così questa esperienza, salvo i tempi diciamo tecnici perché le persone tornassero a prendere le tende. Poi non si voleva in nessun modo limitare qualcuno nel dire: “No, io voglio rimanere qui a mandare avanti questa protesta”. Però, di fatto, nel momento in cui se n’è andato il gruppo principale non c’era più quella forza, non c’erano più le possibilità di starci. (a cura di salvatore porcaro)