Lo scorso 12 ottobre viene decretato il fallimento della “Park and Leisure”, l’azienda, di proprietà di Cesare Falchero, che dal 2003 gestisce Edenlandia e lo zoo di Napoli. Attraverso una nota del giudice fallimentare, il 21 novembre 2011 il tribunale decreta la prosecuzione delle attività sino al 31 maggio 2012. Contestualmente si apre la fase di transizione, che entro il 31 gennaio 2012 porterà alla promulgazione del bando di gara internazionale, che assegnerà l’area a un privato entro la fine del mese di maggio. Il curatore fallimentare, nella sentenza, specifica: “Siano coinvolti nella fase programmatica tutti i soggetti interessati e portatori di interessi rilevanti”.
A farsi portatrice di tali interessi, per esempio, c’è un’assemblea popolare che raggruppa comitati civici, ex lavoratori dell’area, cittadini della zona flegrea e animalisti. Gli obiettivi dell’assemblea, recita il volantino, sono due: essere interlocutore dell’ente pubblico per la riqualificazione dell’area flegrea (e nello specifico dei parchi Edenlandia e zoo) ed elaborare progetti alternativi al bando di gara internazionale. “La sfida è lanciata – si sottolinea – anche all’amministrazione e al consiglio comunale di Napoli, che sulla trasparenza e la partecipazione popolare affermano di voler fondare le loro attività”.
Tutto avviene nell’aula multimediale del comune, in via Verdi. Al quarto piano, alle quattro e mezza, la sala è già piena. Ci sono lavoratori della “Park and Leisure” in cassa integrazione, membri delle associazioni, a cominciare da quelli dell’Assise di Bagnoli e cittadini dell’intera area flegrea. L’assessore alle attività produttive Marco Esposito, I-phone nella mano destra, Tablet in quella sinistra, entra ed esce dalla sala. Ascolta opinioni, poi si siede, si interessa a qualche intervento.
Nell’aula la discussione viene portata avanti con spirito propositivo. Nessuna voce fuori dal coro, toni sempre pacati. Lucia legge un documento nel quale si rivendica “la reale vocazione di quei suoli. Aree destinate al tempo libero dei cittadini, dunque è incomprensibile che l’intero viale Kennedy sia una perenne cancellata, tra zoo, Edenlandia e Mostra d’oltremare: un’area che tende a escludere più che ad aggregare”. Lo spazio, lo ripete anche Clelia Modesti, ex direttrice di alcune scuole di Fuorigrotta, «dovrebbe essere restituito alla gente del quartiere, tornare ad essere uno spazio aperto, magari destinato al commercio equo-solidale, in modo permanente. Lo zoo, invece, fermo restando la necessità di superare la fase attuale, potrebbe essere utilizzato come fattoria didattica». Le proposte sembrano non mancare, il tutto «nella piena salvaguardia dell’ambiente e del territorio», come sottolinea il presidente della commissione ambiente del comune, Carmine Attanasio.
Durante l’intervento di Attanasio, entra in aula anche l’assessore al bilancio Realfonzo, che si confronta velocemente con Marco Esposito e chiede la parola. Lascia intendere che nella decisione del giudice fallimentare di prorogare l’esercizio dell’Edenlandia ci sarebbe la mano del sindaco, anche se forse sarebbe più corretto dire che il sindaco condivide l’impostazione data dal curatore. Realfonzo parla anche del bando, e lo fa non lesinando l’uso dell’espressione “paletti”, che sarebbero poi le condizioni poste dall’amministrazione comunale ai futuri proprietari dell’area. Paletti che saranno sistemati nel corso di un’attenta analisi durante la costruzione del bando di gara, tanto è vero che – liquida tutti seccamente – «è anche troppo presto per parlarne in questa sede». Come dire, abbiamo scherzato. Qualcuno, però, tra i paletti annunciati, può essere anticipato: la riqualificazione dell’area e la conservazione dei posti di lavoro. In sala si chiede all’assessore cosa intenda per “riqualificazione dell’area”, e Realfonzo va leggermente in difficoltà: «Dobbiamo soddisfare tutti: garantire la salvaguardia degli interessi ed evitare il rischio di chiusura».
Pare chiaro, a questo punto, che l’interesse primario dell’amministrazione, quello sì da salvaguardare a ogni costo, sia il contratto di locazione dell’area. E qui non ci sono paletti che tengano. Pagare moneta, vedere cammello. A rendere a tutti le idee più chiare ci pensa l’altro assessore in sala, Marco Esposito, che a prima vista avevo scambiato per il soldato Joker di Full Metal Jacket. Esposito parla di «aziende affidabili, una società per azioni seria che abbia progetti ben chiari, a cominciare dal rilancio dell’intera area». Qualcuno gli fa delle domande, Esposito fa finta di non sentire. Le proposte dell’assemblea sembrano totalmente inascoltate: palazzo San Giacomo deve e vuole vendere. Joker e Realfonzo non ritengono doveroso trattenersi oltre. Imbarazzanti forse più che imbarazzati alzano una mano e scappano via, mentre altri cittadini espongono le proprie proposte.
I toni si scaldano. La delusione c’è, la signora Elisa aveva fatto «due ore di traffico per capire come la pensavano qua sopra, e ora me ne torno senza aver potuto neanche fare una domanda». Lavoratori con sei mesi di cassa integrazione, cittadini che chiedono spazi comuni, animali che trascineranno avanti i loro anni ancora per un po’, aspettando Godot. Nel disinteresse istituzionale, le proposte arrivano dai comitati civici. Un segno di democrazia partecipata, quella che, gridata dai palchi, ha tirato la volata al futuro sindaco De Magistris verso palazzo San Giacomo.
Chi ha assistito all’assemblea ha avuto l’impressione di essere quasi alla resa dei conti. Se chi protesta lo fa alzando la voce e creando disordine (vedi contestazione dei precari Bros), ci si indigna e si esprime solidarietà, sempre trasversale, nei confronti del contestato. Se chi protesta, invece, lo fa avanzando proposte in un’aula del comune, il minimo da fare sarebbe ascoltarne le ragioni, discutendone da pari a pari. Mentre a conti fatti resta solo la maleducazione di chi ha l’alibi morale di lavorare per il bene supremo. Quello dell’amministrazione comunale. (davide schiavon)