Blocco di sfratti e sgomberi senza un passaggio da casa a casa, blocco della svendita del patrimonio pubblico ai privati, assegnazione delle case pubbliche lasciate colpevolmente vuote, diritto alla residenza, sanatoria delle occupazioni: sono alcune delle rivendicazioni comuni a tutti i comitati di lotta per il diritto alla casa in Italia emerse nella tre giorni di meeting nazionale svoltosi a Milano il 6, 7, 8 maggio scorsi dal titolo “Le città in rivolta”.
Nell’area metropolitana milanese sono molteplici le realtà di autogestione abitativa (appartamenti veri e propri, così come strutture pubbliche e private di altro tipo adattate a scopo abitativo) nate da occupazioni politiche con forte connotazione popolare, legata alla costruzione di reti solidali per rispondere al bisogno di un tetto per persone che hanno subito sfratti per morosità incolpevole; lavoratrici e lavoratori con condizioni di lavoro super precarie e, nel caso di migranti, il ricatto del rinnovo dei documenti; studenti o pensionati che subiscono il taglio progressivo del welfare.
Si potrebbe circumnavigare tutta l’area metropolitana ed entrarci dentro. Partendo dall’hinterland nord: a Sesto San Giovanni un allargamento della rete solidale guidata dall’Unione Inquilini ha portato a vincere cause contro le politiche discriminatorie della giunta comunale appena rieletta, imporre provvedimenti per ristabilire le residenze tolte e nuove assegnazioni abitative; a Cinisello Balsamo un’esperienza di auto-recupero ha dato, negli ultimi anni, alloggio temporaneo a una cinquantina di famiglie e di recente la riapertura di un tavolo di trattativa con l’amministrazione comunale; a Cologno Monzese le relazioni sindacali hanno portato ad aprire una nuova sede con sportello di sostegno al diritto alla casa.
A Milano, nella città dove il “tasso di sforzo” dell’affitto sul reddito pesa maggiormente (43%), scendendo da nord a sud, lato est, da via Padova al quartiere Corvetto, risalendo per la periferia sud di Barona, Giambellino e Lorenteggio, entrando verso i Navigli e zona Ticinese e poi a ovest verso San Siro troviamo tutte zone di forte densità abitativa Erp, dove l’edilizia pubblica gestita da Aler e Mm è lasciata volutamente all’incuria e all’abbandono, per giustificare interventi di “riqualificazione” funzionali solo all’espulsione della popolazione originaria e far posto a un insediamento sociale di diverso reddito, più adatto ai nuovi progetti edilizi; case popolari con forti problematiche di mancata manutenzione e conseguenti condizioni di insalubrità sgomberate e non più riassegnate con l’obiettivo di speculazione e svendita alla proprietà privata e costante riduzione dello spazio pubblico per interessi privati, edili o finanziari che siano.
In via Esterle, zona di via Padova, un’occupazione abitativa di lavoratori e lavoratrici immigrati/e, cresciuta negli ultimi cinque anni, è sotto sgombero perché il Comune ha messo a bando la struttura (pubblica), senza considerarne l’attuale uso sociale e collettivo, per assegnarla ad associazioni con scopi religiosi, creando così una situazione di forte tensione all’interno della comunità e del quartiere.
In Barona la presenza dell’ospedale San Paolo influenza le politiche di Aler, che vorrebbe trasformare una parte dell’assetto abitativo pubblico come servizio legato all’accesso ospedaliero; considerando le logiche privatistiche che riguardano la sanità non viene difficile immaginare la destinazione d’uso di quegli alloggi.
In Giambellino-Lorenteggio, nel 2015 l’allora sindaco Pisapia (dopo aver promosso l’anno prima, con questura e procura, una violenta campagna di sgomberi delle occupazioni abitative in tutta la città, fermata dalle mobilitazioni diffuse nei quartieri) siglò con Regione Lombardia un accordo di “riqualificazione” dello storico quartiere popolare che prevedeva abbattimento e “modernizzazione” di grossa parte del patrimonio Erp della zona. Nel 2016 il piano è stato confermato da Sala, che ha avviato i lavori senza aver stabilito un piano di spostamento temporaneo degli abitanti, né aver dato certezze circa quanti caseggiati Erp verranno ricostruiti davvero.
A San Siro, è un fronte eterogeneo, composto da collettivi di base, comitati di quartiere e abitanti, ad aver avviato una vertenza comune contro i molti progetti che, dall’ex Trotto passando per il Lido, alimentano la spirale verso l’alto del valore immobiliare della zona, puntando sul “volano” rappresentato dall’ordine (più che dalla proposta) dato alla giunta Sala dai club di Milan e Inter di abbattere lo stadio simbolo di Milano, per costruire una nuova struttura con funzionalità sportiva ridotta al minimo (appena 13 mila mq su 350 mila) di proprietà dei club (o meglio: dei fondi immobiliari che li posseggono).
È il processo di finanziarizzazione – la progressiva centralità delle società di gestione del risparmio ed hedge fund internazionali nella compravendita di diritti edificatori e nella realizzazione dei progetti – ad aver messo in posizione di subalternità il diritto alla casa rispetto agli interessi privatistici del mercato, mettendo nell’angolo la ormai moribonda edilizia pubblica e i soggetti sociali cui storicamente si rivolgeva. Assistiamo ormai sempre di più al passaggio dall’Erp all’Ers, ovvero “edilizia sociale” o social housing, destinata a redditi alti, nella programmazione urbanistica; mentre l’abitativo (sempre ovviamente di tipo privato) diventa solo un’appendice di copertura a progetti di svendita del patrimonio pubblico, contribuendo alla spirale verso l’alto dei costi di affitto e rendendo inaccessibile la città non solo alle fasce popolari, ma anche a quel ceto medio precario rimasto privo di una prospettiva sostenibile sul diritto all’abitare.
IL CASO DI CINISELLO BALSAMO
All’interno di questo quadro metropolitano, intendiamo soffermarci su Cinisello Balsamo, comune della periferia nord coi suoi 75 mila abitanti (di cui oltre un quinto di origine migrante), con forte concentrazione di redditi bassi e medio-bassi (19.900 euro il reddito medio annuo), un’identità ex agricola e di manodopera per le vicine industrie di Sesto e Milano, attualmente più spostata a favore del commercio della grande distribuzione, una bassa percentuale (4%) di edilizia residenziale pubblica a fronte di una più elevata edilizia convenzionata di cooperativa (11%); un territorio in cui più volte la sperimentazione di nuove politiche legate al paradigma pubblico-privato (dove il primo cede le aree e il secondo ottiene concessioni di edificazione e proprietà) ha visto la luce in anticipo rispetto al resto della città, sia in campo abitativo che sociale; la stessa attuazione della legge regionale 16/2016 sulla gestione dei servizi abitativi, che ha modificato i meccanismi di accesso al patrimonio pubblico, è stata avviata qui prima che a Milano.
Nell’ultimo anno è tornata a pendere sullo Spazio 20092 di via Cremona 10, occupato e autogestito dal 2015, la minaccia di messa all’asta e vendita da parte del Tribunale di Monza, con conseguente, o precedente, in base a quelle che saranno le disposizioni, sgombero della struttura. Nel silenzio generale della giunta cinisellese sulle tematiche sociali, silenzio che non significa inazione, se consideriamo i tagli alla spesa pubblica operati in questi anni, la rete solidale che si è costituita denuncia che la vertenza è parte di quella generale crisi abitativa che riguarda l’intero territorio metropolitano.
Nell’ultimo periodo diverse cose sono successe: alcune delle famiglie che da anni, avendone i requisiti, partecipano a bandi e attendono in graduatoria l’assegnazione della casa popolare (dopo aver subito lo sfratto per morosità incolpevole ed essersi ritrovate nell’occupazione di via Cremona), sono finalmente state chiamate da Aler. Parallelamente, dopo diversi incontri in questura (si sa, la questione abitativa è vissuta dai governanti anzitutto come potenziale problema di ordine pubblico) e richieste di dialogo inviate alla giunta, solo di recente hanno avuto luogo un incontro con gli assessori alla sicurezza e alla casa e un tavolo con la direzione dei servizi sociali comunali per entrare finalmente nel merito delle situazioni di alcuni dei nuclei presenti nello Spazio.
Siamo consapevoli che questi “tavoli tecnici” si muovono sul piano dell’individualità, negando gli aspetti collettivi del problema e ponendo già a monte dei fattori discriminanti, quali la residenza o non residenza, il numero di minori, le condizioni lavorative; ciò che è emerso nelle prime tappe, sembra limitare lo spettro delle soluzioni alle poche risorse e strumenti stabiliti dalla politica (regionale e locale). L’assemblea del Movimento Casa (abitanti e collettivo 20092) ha comunque accettato di portare avanti la trattativa nonostante non coinvolgerà tutti gli occupanti. Paradossalmente, nelle intenzioni di questura, tribunale e Comune, questo percorso potrebbe contribuire all’atteso “svuotamento” dello Spazio, per poter poi procedere con lo sgombero. Crediamo tuttavia che la lotta per i diritti sociali universali cresca anche attraverso i risultati positivi per alcuni. L’eventuale risoluzione del bisogno abitativo dei nuclei abitanti in via Cremona non significherebbe la fine della lotta o dell’urgenza di casa sul territorio. Cinisello resta un Comune in cui la situazione abitativa è definita “critica” anche dall’Osservatorio regionale sulla condizione abitativa e dove manca un qualunque livello regolativo pubblico – considerando anche la bassa percentuale di offerta Erp (circa il 4%) e il cambio di rotta verso la proprietà privata assunto dalle cooperative, soggetti che storicamente hanno risposto al fabbisogno abitativo dei redditi medio-bassi e bassi in questo territorio.
Un dato su tutti: ai bandi annuali per gli alloggi Sap (Servizi abitativi pubblici, ovvero le case popolari) vengono presentate in media circa 650 domande a fronte di circa dodici alloggi disponibili. Inoltre, emerge la drammatica assenza di un piano di emergenza per le situazioni critiche: la giunta e i tecnici negano infatti che il Comune abbia l’obbligo di darsi un regolamento sull’istituzione di alloggi Sat (Servizi abitativi transitori, alloggi pubblici destinati a nuclei in condizione di fragilità e che non rientrerebbero nelle graduatorie Sap normali). Ora, dopo le rivendicazioni portate avanti dal 2016 (anno di entrata in vigore della già citata legge regionale sui servizi abitativi), pare che si stia aprendo uno spiraglio per la loro introduzione. A ben guardare, infatti, la legge dice che “i comuni possono incrementare la disponibilità di servizi abitativi transitori con unità abitative conferite da soggetti pubblici e privati, compresi gli operatori accreditati, da reperire attraverso procedure ad evidenza pubblica e da disciplinare mediante apposite convenzioni, rinnovabili in forma espressa”. Ed è proprio questa possibilità offerta da una legge di per sé nemica dei ceti popolari che potrebbe garantire la famosa graduazione degli sfratti, che rappresenta il punto di partenza per il Patto per la casa che abbiamo lanciato in autunno, capace di coinvolgere anche il mercato privato e l’offerta cooperativistica.
L’AFFAIRE VIA FRIULI
Infine, sempre a proposito di risultato delle lotte o quanto meno del riconoscimento che la pressione sociale possa contribuire a stabilire alcuni elementi delle agende politiche di governo, è di fine maggio la notizia che è stata finalmente trovata – almeno formalmente – una soluzione al caso del condominio ex Inps di via Friuli 3, in quartiere Crocetta (dove vivono circa 5 mila abitanti, la zona più povera di Cinisello, quasi completamente priva di caseggiati Aler): 154 unità immobiliari, di cui una cinquantina da sistemare e assegnare come case popolari. Il condominio fu concesso già nel 1964 all’allora Iacp di Milano, preso in gestione da Inps nel 1994, attraverso la propria società di gestione Inps-Igi Spa quando cominciò una lunghissima controversia attinente la determinazione del canone di locazione conclusasi nel 2012 con una definizione transattiva: la stipula di un nuovo contratto quadriennale di locazione che conteneva la possibilità di cedere in sublocazione gli alloggi ai cittadini non abbienti (legge regionale 27/2009). Il contratto di locazione tra Aler e Inps finì nel 2016, e da allora sono rimaste bloccate le procedure di manutenzione e assegnazione dei cinquanta alloggi vuoti. Ora, dopo quattro anni di trattativa, Aler ha finalmente provveduto a rilevare lo stabile, tramite finanziamento regionale e fondi europei, all’interno della nota logica del “diritto condizionato ai bandi”, aumentando in questo modo la quota di appartamenti Sap presenti nel Comune.
Questa distanza tra la politica istituzionale e la vita delle persone, la riduzione delle politiche pubbliche a favore del profitto e dell’interesse privato, la scarsa capacità di organizzarsi e costruire mobilitazioni per la difesa dei diritti fondamentali, sono dinamiche presenti in tutto il paese. Noi vogliamo restare vigili e riteniamo fondamentale la ricerca di unificazione delle lotte a livello nazionale e internazionale, non solo su specifiche tematiche quali il diritto alla casa, come emerso chiaramente anche durante la tre giorni “Le città in rivolta”. Porteremo avanti la vertenza per gli abitanti dello Spazio 20092, consapevoli che le persone senza una casa o prossime allo sfratto che si presentano settimanalmente in via Cremona 10, durante le distribuzioni della Brigata Orso e lo Sportello di supporto sociale, sono molte e non diminuiranno nel prossimo futuro. Se per il Tribunale di Monza e le istituzioni locali la fuoriuscita delle famiglie più numerose verrà interpretata come l’eventuale via libera allo sgombero, saranno costretti a fare i conti, ancora una volta, con la realtà di un’esperienza nata e cresciuta per rispondere con l’autogestione ai bisogni sociali più urgenti e ignorati. (collettivo 20092)