Quando ero piccolo la chiamavamo “la mischietta”. Si faceva quando giocando a pallone per strada, o ancora di più sulla spiaggia, eravamo in troppi per fare “la tedesca” (dove se il portiere blocca la palla, il giocatore che ha tirato va in porta). Personalmente ho sempre preferito l’agonismo della partitina, anche negli spazi più improbabili, ma anche la mischietta ha il suo fascino: uno con i piedi buoni si defila al limite dello spazio scelto per giocare, e crossa al centro a ripetizione; all’interno di una piccola area di rigore due o tre difensori battagliano con altrettanti attaccanti, rispettivamente per proteggere o battere il portiere di turno. Una variante prevede che nella stessa partita i crossatori siano due, uno da destra e uno da sinistra, e quelli che si dimenano a centro area cercando di rubare il tempo all’avversario, diventino attaccanti o difensori a seconda del lato da cui proviene il cross. Se è da destra devi far gol, se da sinistra devi evitarlo. In ogni caso è più facile a farlo che a dirlo.
A crossare dalla destra, qualche giorno fa – l’ultima volta che ho fatto “la mischietta” – c’era Alfonso. In porta Gargamella (entrambi sono due giovanotti sulla trentina un po’ troppo cresciuti), e in mezzo con me Sasà, Antonio, e Christian, tre dei cinque-sei ragazzini che da un paio di settimane frequentano un ex deposito abbandonato dell’Anm, occupato a Fuorigrotta da un collettivo di studenti e disoccupati. La struttura è particolarmente grande (una palazzina, un grosso spogliatoio con bagni e docce per gli autisti, un cortile, due enormi capannoni che custodiscono autobus e scheletri di autobus risalenti forse agli anni Settanta) e in realtà era frequentata dai ragazzi ancor prima dell’occupazione. La grossa differenza è che prima dovevano scavalcare per entrarci, mentre ora bussano al cancello blu e gridano: «Oh, ce sta Gargamella?». Poi, che ci sia o meno, loro entrano lo stesso e cominciano a giocare. L’altra differenza importante è per gli impiegati dei vicini uffici della MetroNapoli, che hanno accolto con favore l’occupazione, perché loro i ragazzini proprio non riuscivano a tenerli a bada, mentre ora possono delegare il compito a qualcun altro.
Con i piedi Christian è il più bravo del gruppetto, ma temo che sappia di esserlo, e quindi si lascia andare troppo spesso a qualche giocata a effetto, che non sempre riesce. In ogni caso ha un tiro potente e la serranda che ci fa da porta trema in almeno tre quattro occasioni. Anche Antonio, che ha sempre la tuta della scuola calcio, ci sa fare, mentre Sasà è quello che – come ti insegnano gli allenatori quando hai solo nove o dieci anni – tiene più cazzimma, cosa che per “uscire giocatore” conta più di tutto. E infatti un paio di volte prova a trattenermi mentre gli passo davanti per andare a colpire di testa.
Come loro, tutti i ragazzini che passano ogni tanto per quello che è ora l’ANM Occupato, abitano in quella parte vecchia di Fuorigrotta che è chiusa tra il viale Augusto e la stazione della cumana “Fuorigrotta”. Via Due luglio 1820, via Cumana, via Cupa della Ginestra. Nomi di strade che se non ci passi o ci abiti non possono dirti niente. Corpi abbastanza estranei al quartiere, una piccola rete di strade e costruzioni rimaste antiche, negozi più o meno a misura d’uomo, un meccanico, un pescivendolo, un bar, e qualche palazzina di case popolari piantata senza alcun criterio in mezzo al tufo e ai mattoni. Qualcuno, tra questa manciata di ragazzini, va a scuola, qualcun altro ha già smesso. Hanno comunque tempo in abbondanza da impegnare per strada, e come spesso succede in questi casi, superata la prima barriera, hanno curiosità di interagire con chi è diverso da loro ma in fondo nemmeno troppo. D’altronde Gargamella fa il parcheggio come Sasà, che avrà almeno quindici anni in meno di lui, e arriva al deposito che ha fame, perché ha lavorato tutto il giorno. Quando i ragazzi gli dicono di entrare e servirsi nel tripudio di parigine, panini e pizzette varie, confessa però di pigliarsi scuorno. La scena va avanti per qualche minuto, finché qualcuno quasi lo prende per le orecchie e lo accompagna a mangiare.
Dopo, Sasà si ferma fuori a parlare un po’. Tra pochi giorni è Natale, e spiega con poche parole come l’occasione di una giornata di lavoro redditizia vada colta senza pensarci troppo: «Ho fatto il parcheggio al mercatino di Fuorigrotta. Sono sceso di casa stamattina alle sei e mezza, e ora mi sto ritirando!», racconta con la faccia stravolta di chi ha appena smontato da un turno in fabbrica. Sono più o meno le sei di sera, e vedendo le tasche del giubbino abbastanza rigonfie, qualcuno azzarda: «Azzò, la giornata è andata bene però!». Mentre guarda uno dei murales che un gruppo di writers flegrei abbozza sul muro di cinta, Sasà risponde con finta indifferenza, e con l’aria di chi la sa già lunga: «Eh, per forza. S’adda fa’! A Poggi-Poggi nun se stà ‘bbuono. O no?». Difficile dargli torto, buon anno nuovo anche a loro. (riccardo rosa)