Lo scorso marzo, durante una tragicomica seduta del consiglio comunale, diversi esponenti della giunta Manfredi (tra cui l’assessora all’urbanistica) ebbero modo di esprimere i loro punti di vista sulle trasformazioni presenti e future della città, a un mese dalla pubblicazione del documento di indirizzo sulle politiche urbanistiche e in attesa della revisione del Prg.
Quelle osservazioni risultarono ancor più vaghe di quanto non fossero in considerazione del contesto: una seduta monotematica sul mare, chiesta dai cittadini che da anni protestano contro la privatizzazione di un bene che dovrebbe essere a disposizione di tutti, senza ostacoli, barriere e biglietti da pagare. Imbarazzante fu, inoltre, lo scarto tra il livello di conoscenze e competenze esibito dagli attivisti “per il mare libero” e quello degli esponenti istituzionali, che snocciolavano dati strumentalizzandoli a seconda degli interessi della propria parte politica, o riempivano il minutaggio del loro intervento con chiacchiere retoriche e propaganda.
La storia delle lotte sociali in Campania ci ha mostrato più volte l’efficacia dei processi di studio, analisi e divulgazione messi in campo dagli attivisti su temi complessi, che diventano poi, attraverso incessanti pratiche di condivisione, accessibili anche a chi non ha dimestichezza con numeri, dati, norme e regolamenti (è accaduto con le lotte ambientali dei primi Duemila ad Acerra, Chiaiano, Pianura, Terzigno, o ancora a fasi alterne, per vent’anni, con la denuncia dello scempio in atto a Bagnoli). Si tratta di movimenti che non avevano i fari puntati su una vertenza o un tema specifico, ma si sforzavano di collocare ciò che stava accadendo localmente all’interno di una fase di riorganizzazione dei centri di potere, dei processi di produzione, dei rapporti sociali.
Nonostante il grande sforzo profuso da quei movimenti, e a dispetto persino di qualche vittoria ottenuta, le derive neoliberali sono oggi in fase di accelerazione, dopo che per un ventennio il terreno è stato preparato per la mercificazione totale dell’esistente, l’accantonamento degli interessi della collettività, lo smantellamento della città post-industriale a favore della “città merce”: tutti indirizzi che dalla fine degli anni Novanta in poi sono stati promossi dalle varie scuole di urbanistica pubblica, fino a che un nuovo, incontestato ruolo non è stato assegnato agli strumenti urbanistici stessi: non più regolare lo sviluppo urbano a tutela delle esigenze sociali, ambientali, geologiche della città, ma promuovere quello economico, cogliendo “le opportunità di crescita intesa come attrazione di investimenti esterni, di consumatori, di nuovi residenti ad alto reddito”.
Dopo il fallimento di tutti i grandi progetti di trasformazione urbana (dal piano De Lucia allo sconclusionato NaplEst) la giunta Manfredi ha fondato il suo primo mandato su questo approccio. Da un lato ha cercato di normalizzare – per lo più senza successo – la gestione ordinaria della città, dall’altro ha concentrato il grosso delle energie, anche alla luce delle centinaia di milioni di euro pubblici e privati in arrivo, sul governo (o non governo) di processi che in pochi anni potrebbero rivoltare la città come un calzino.
Nel caso del cosiddetto “perimetro Unesco”, dei Quartieri Spagnoli, della Sanità e di Forcella, le due giunte de Magistris (2011-2021) avevano potuto a malapena assecondare l’acerba finanziarizzazione dello spazio pubblico favorita dall’impatto del turismo di massa, un processo che oggi appare completamente dispiegato, e con prospettive di ulteriore crescita. Al suo insediamento, così, l’oligarchia federiciana che ha conquistato palazzo San Giacomo, ha dovuto semplicemente lasciare che il mercato facesse il suo corso, intervenendo con pochi ma precisi provvedimenti, per lo più finalizzati a regolare fenomeni che potrebbero compromettere la serena redditività di questa inerzia (esempio: da ieri le migliori spiagge libere napoletane hanno di nuovo ingressi contingentati e a numero chiuso).
L’errore da evitare è però guardare a questi eventi come se la città fosse un insieme di monadi che si lasciano attrarre da forze differenti. L’accelerazione dei processi che coinvolgono i quartieri del centro oggi va invece messa in connessione, per esempio, con quanto sta accadendo nelle due grandi periferie ex industriali della città. A velocità diversa, qualcosa si sta muovendo nella zona est e nella zona ovest, dove la strada per gli investimenti privati non è ancora pronta, soprattutto in considerazione delle enormi operazioni di bonifica necessarie. Non è un caso che la partita della rigenerazione in queste aree passi per una pioggia di denaro pubblico, per provvedimenti eccezionali o effettivi commissariamenti, per una messa a reddito di enormi parti di città attraverso il cambio di destinazione d’uso dei suoli. In entrambi i casi, Manfredi e i suoi non nascondono la loro ricetta: una valorizzazione a cura del pubblico ma a beneficio del privato (si potrebbe qui chiudere il cerchio riprendendo una dichiarazione dell’assessora e vicesindaco Lieto, che nel consiglio comunale su quella che viene definita “risorsa mare” ammetteva senza troppi giri di parole che va bene tutelare il mare come bene di tutti, ma lo stesso mare deve essere anche sfruttato in termini di profitto economico).
Su queste connessioni stanno ragionando insieme gruppi di base, comitati civici, attivisti e attiviste napoletani, che provano a mettere in relazione le trasformazioni e le pianificazioni a est e ovest, l’elaborazione del nuovo piano regolatore e la progressiva sottrazione di quel poco di mare che resta ai cittadini. Questa rete ha convocato per oggi pomeriggio (ore 17:30) un confronto pubblico all’ex Asilo Filangieri, con l’obiettivo di intensificare il lavoro di confronto e sintesi, provare a tenere insieme le lotte sui differenti territori nei prossimi mesi, costruire le condizioni per una mobilitazione sociale e civile che possa fungere da reale opposizione ai processi di svendita e cancellazione dello spazio pubblico cittadino. (riccardo rosa)
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