Costruire. Il trentesimo appuntamento di Futuro Remoto, dal 7 al 10 ottobre a piazza del Plebiscito, si presenta con un manifesto eloquente: un muro di mattoncini decorati dai volti di ragazzi, anziani, donne, studenti, bambini. Un messaggio fin troppo semplice, al limite della banalità e dallo stile grafico davvero poco smart, stampato su uno sfondo di fili d’erba mossi dal vento. La volontà di edificare è il nucleo della kermesse e pare quasi una provocazione, in questi tempi di macerie senza prospettive.
Orfani di Città della Scienza, gli organizzatori di Futuro Remoto hanno occupato l’enorme piazza con una serie di stand che sembrano palloni aerostatici, dentro cui si sviluppano le attività. “Terra Madre”, “IV Rivoluzione Industriale”, “Mare Nostrum”, “Comunico ergo sum”. Proprio come la grafica, anche la comunicazione punta al messaggio easy, con i nomi dei padiglioni al cui interno si svolgono attività tra le più disparate, in quello che è un grande show della scienza, interattivo e superficiale. All’interno delle mongolfiere, gli studenti e i visitatori smanettano con le pipette dei ricercatori di Telethon, osservano progetti, modellini, prototipi. Giocano, pure: l’approccio ludico è un pilastro della filosofia di Città della Scienza, e da sempre capita di vedere qualcuno uscire da un padiglione coi capelli colorati di verde e la faccia di grigio come dopo un’esplosione.
In fondo, è superfluo provare a capire cosa ci sia dentro il ventre delle isole tematiche. Siamo tra i frammenti di un grande parco giochi della scienza che permette un’interazione fatta di suggestioni incapaci di scendere in profondità, trovando un limite enorme – va detto – nella scorza inossidabile di generazioni di studenti dalla scarsissima attenzione e disponibilità ad affrontare la complessità. Dentro il perimetro della manifestazione, delimitato in maniera orrenda da steccati metallici, ci sono conferenze, eventi spettacolo, il palco centrale dove un’americana mostra esperimenti con l’acqua. Ci sono gli sponsor, dal momento che ogni padiglione è adottato da un’azienda o dalla Camera di commercio, e al centro della piazza c’è persino il ministero della difesa a esporre un suo drone. Ci sarebbero, in realtà, anche i presupposti per un evento importante, ma lo spessore degli intellettuali e degli scienziati coinvolti e la buona predisposizione di alcuni docenti che accompagnano scolaresche attaccate allo smartphone sono assorbite nella trama fluida dell’evento, una tre giorni che non vuole andare oltre un’interazione di superficie tra pubblico e contenuti.
L’elemento interessante della giornata del 7 è l’incontro di Futuro Remoto con la mobilitazione che in tutta Italia porta in piazza gli studenti contro le politiche della scuola e per il diritto allo studio. Migliaia di giovani si schierano contro il progetto del re delle suggestioni e della superficialità, il premier fiorentino che ha come riferimento teoretico Baricco, un politico dallo stile “gonzo” che confonde senza problemi semplicità e banalità, in un corto circuito micidiale. Gli studenti scendono in piazza anche a Napoli e si dirigono proprio verso la manifestazione di piazza Plebiscito, rinchiusa nelle sue griglie metalliche. Dietro i padiglioni, i celerini fumano sigarette tastando i manganelli, tra gli alambicchi da piccolo chimico e gli stand sulla ricerca oceanografica. Ma non accade nulla. Niente scontri, niente molotov, nemmeno una scaramuccia, anzi l’atmosfera edulcorata dell’evento avvolge anche il corteo studentesco. Così gli organizzatori, quasi tutti ex ribelli che hanno sostituito la foto del Che sul comodino con quella di Steve Jobs, consentono a una portavoce degli studenti di parlare dal palco e spiegare le ragioni della protesta.
Investito dalla invettiva della studentessa, un consigliere di Città della Scienza attacca la ragazza, inalberandosi e sacramentando contro la presunta ignoranza di questi giovani, spostando quasi subito il discorso sulla proposta “di qualcuno” che vorrebbe una spiaggia pubblica a Bagnoli, esibendo una coda di paglia gigantesca e imbarazzante. Lui, dice, figlio di operai, appartiene a quelli che vogliono creare sviluppo per Bagnoli e per Napoli. Loro, prosegue, gli studenti incazzati, sono il male, quelli che protestano per professione, non sanno nulla e dovrebbero solo stare a sentire. A dargli man forte interviene un docente del liceo Labriola, che non si presenta ma almeno indica quale infelice scuola è ammorbata dal suo tristissimo magistero, tirando fuori dal cilindro un classico della cultura borghese: chi non ha voglia di godere delle bellissime iniziative di questa manifestazione può stare a casa e protestare dentro la sua cameretta. L’importanza del dissenso, la piazza come luogo del confronto, il miracolo di centinaia di studenti che nel deserto dell’idiozia collettiva dei tempi che corrono provano ad articolare una reazione, cancellati dal nulla saccente di un docente. Ma il bello non è questo. La vera notizia è che nessuno gli tira dietro una bottiglia, un accendino, un estintore o un medaglione di sputazza. Anche perché l’animato dibattito si svolge ai margini della manifestazione, così come la manifestazione è ai margini del presente, di quello che accade nel mondo reale.
La discussione tra animosi studenti e penosi docenti prosegue. La folla dei ribelli aspetta disciplinata fuori dalle transenne mentre poco distante, dove fa mostra di sé la scienza prestata alla guerra – con gli stand dell’aeronautica militare e quello dei carabinieri (l’ultimo modello di motocicletta per inseguire i cattivi: ipertecnologica, pesante, poderosa, densa di minacce) –, altri ragazzi si fanno fotografare alla guida della volante o abbracciati ai militari. Ancora più fuori torme di turisti guardano lo strambo spettacolo. Tedeschi in bermuda e sandali col calzino nonostante le minacce d’autunno, sparsi nella piazza tra il Caffè del professore e l’imbocco di via Roma, scattano selfie, mangiano pizza e spaghetti accompagnati da un cappuccino bollente. E anche questa è una metafora eloquente di quello che è successo all’Europa, come all’Italia dei giovani ribelli appesi a transenne che li separano dal Futuro Remoto. Eccessivamente remoto. (giovanni maestro)