Nei giorni delle feste natalizie, mentre leggevo il nuovo libro di Francesco Durante, I napoletani (Neri Pozza, 2011, 17 euro), è passato sul tg regionale un servizio su Diego De Silva, scrittore napoletano di stanza a Salerno, autore di bestseller targati Einaudi, che mi ha colpito per due particolari, uno dei quali insignificante, ovvero il fatto che lo scrittore si facesse intervistare con gli occhiali da sole; l’altro, più significativo, riguardava un passaggio dell’intervista: non tanto la frase in sé – De Silva sosteneva che lo scrivere non ha alcun valore sociale ma solo di ricerca estetica –, quanto l’aria di inattaccabile sicumera con la quale veniva pronunciata. Mi è venuto in mente che la verità di una frase del genere dipende molto da chi può permettersi di pronunciarla. Poi sono tornato al libro di Durante, ma con una punta di insofferenza in più rispetto a quando l’avevo cominciato.
I napoletani – a tre anni dal fortunato Scuorno, uscito in piena emergenza rifiuti per Mondadori – è un saggio diviso in due ampie sezioni, più o meno parallele, una dal titolo Teoria e l’altro Pratica. Nella prima lo sguardo dell’autore è rivolto spesso all’indietro, ai napoletani di ieri, dei quali si analizza il rapporto con il paesaggio, con il dialetto, con il sesso, con il cibo, e così via, attraverso l’ausilio di una ricchissimo campionario di poeti, viaggiatori, cantautori, artisti ed eruditi di ogni genere, le cui parole, note e visioni si alternano grazie alla sapiente orchestrazione dell’autore.
La parte “Pratica” tocca argomenti quasi speculari ma l’attenzione di Durante si appunta stavolta su personaggi contemporanei, alcuni di grande attualità, dal sindaco de Magistris alla soubrette Marika Fruscio, dal faccendiere Valter Lavitola al poeta Tommaso Pignatelli alias Giorgio Napolitano, in un’alternanza continua di temi alti e lievi fino all’infimo e al pecoreccio.
In più di trecento pagine salgono in superficie, con una scrittura accogliente ma sempre controllata, una gran quantità di opere – versi poetici, frammenti romanzeschi, strofe di canzonette – e di uomini e donne più o meno illustri, che l’autore enumera, mette in fila, come rispondendo al bisogno di avere tutti fronte a sé – e di fronte al lettore – i termini della “questione napoletana”, in una gamma che va dal sublime all’insignificante: basta che non manchi nessuno. Ma arrivati alla fine della lista, e del capitolo, c’è appena lo spazio per una chiosa che riconduca il sovrabbondante excursus a una qualche specificità napoletana. Lo schema si ripete, la lettura non annoia, ma alla fine troppi nomi restano in superficie, e né loro né il ragionamento che li accompagna acquistano la necessaria consistenza.
L’esempio più lampante riguarda il capitolo sull’ultima fioritura di scrittori in città, perché in fondo Durante si occupa di questo, facendo il giornalista culturale al Corriere del Mezzogiorno e scrivendo, una volta a settimana, recensioni di libri “napoletani”. È una “fioritura”, dice appunto Durante, seconda solo a quella che si registrò nel Seicento. Ma poi si ferma, si rituffa negli elenchi, senza provare a mettere il dito in questo calderone di storie, a tirarne fuori qualcuna, a spiegarci quali dovremmo trattenere e quali possiamo rapidamente dimenticare. La scrittura che utilizza, così elegante e neutrale, lo aiuta a eludere, a non farsi mai guida, lasciando l’impressione a un lettore poco esigente che Erri De Luca sia la stessa cosa di Giuseppe Montesano o che un Diego De Silva abbia qualcosa da spartire con Ermanno Rea. Non è così, in letteratura non contano solo le leggi del mercato, o quanto meno non ci si può rassegnare che contino solo quelle, che l’autore di besteller possa sproloquiare allegramente dall’alto delle migliaia di copie vendute; il critico dovrebbe stare nell’altro campo, quello in cui ci si prende la responsabilità di rimettere ordine, di riequilibrare il peso del marketing con quello della forma, delle parole, della coerenza, e di altre sfumature poco vendibili.
Nell’analisi di come ci viene narrata la città, avremmo bisogno di meno erudizione e di più voglia di mettersi in gioco. E questo non riguarda certo solo i romanzieri. Non è un caso, in fondo, che le pagine più interessanti del libro di Durante siano quelle dove, messe da parte le enumerazioni, l’autore affronta a viso aperto un’opera (il saggio Le due Napoli di Domenico Rea o il documentario Passione di Turturro), una vita (quella dell’ex galeotto e oggi produttore cinematografico Gaetano Di Vaio, da Piscinola) o certe idee (quelle dell’architetto Francesco Venezia e dell’urbanista Vezio De Lucia), con un tono finalmente meno sussiegoso, pur facendo sempre attenzione a non scomporsi troppo. (luca rossomando)