All’ippodromo di Agnano, arriviamo in tempo per assistere alle ultime due corse al trotto. L’ingresso è pieno di gente in attesa, intenta a guardare verso una parete piena di schermi con le quotazioni, i nomi dei fantini e dei cavalli. C’è chi prende appunti su fogli di carta mangiando noccioline, chi fuma nervoso e conta i pezzi da cinquanta, chi invece legge il giornale per avere maggiori informazioni dalle scuderie, e nel giro di pochi istanti si catapulta al totalizzatore per scommettere il cavallo vincente o piazzato. La folla è accalcata in una sala che puzza di sigaro spento. Sul pavimento, fogli sparsi e mozziconi. Provi a chiedere informazioni generiche, e quelli ti squadrano dall’alto in basso prima di risponderti svogliatamente con un sì o con un no, in testa hanno altro a cui pensare… I vecchi giocatori hanno l’aria di capirne, gridano, si afferrano tra di loro scherzosamente e bestemmiano contro questo o quel fantino. Poi ci sono i giovani alle prime armi, donne sfiorite, uomini che molto probabilmente avranno buttato i miliardi appresso alle corse, che si saranno arricchiti prima e impoveriti poi, e che sapranno quanti chili di biada avrà mangiato a pranzo il cavallo su cui punteranno stasera. Si aggira tra la folla un signore ben vestito, dai modi piuttosto educati, che parla con chiunque di fantini, cavalli favoriti e quote, mentre caccia il fiaschetto di whisky dal taschino interno e beve un sorso per riscaldarsi. In effetti, il freddo entra dritto nelle ossa. I giocatori preferiscono vedere le ultime due corse dell’anno dallo schermo interno alla sala piuttosto che sugli spalti, tranne i malati cronici e qualche altro vecchio impavido.
I cavalli non sono ancora usciti dalle scuderie e si mormora che non ci sarà nessuna gara per via dello sciopero. Nel mondo dell’ippica non tira una bella aria, a quanto pare. I tempi d’oro, quelli in cui la gente occupava tutti gli spalti, sono finiti da un bel po’. Federippodromi ha dichiarato di recente che non potrà programmare l’attività di quest’anno a causa delle insufficienti risorse previste. Il mondo dell’ippica sta per fallire, rischiando di mettere sul lastrico migliaia di famiglie e mandando al macello oltre quindicimila cavalli. Il ministero delle politiche agricole ha deciso di tagliare drasticamente il contributo statale che viene girato annualmente all’agenzia ippica. Secondo il rapporto Assi (agenzia per lo sviluppo del settore ippico) il gioco a base ippica rappresenterebbe soltanto l’1,47% del mercato complessivo dei giochi, preceduto a grande distanza dagli apparecchi di intrattenimento (le slot machine da bar), dai giochi di abilità a distanza (poker on line), dalle lotterie, dal lotto, dai giochi a base sportiva, dai giochi numerici a totalizzatore e dal bingo.
A frequentare l’ippodromo sono rimasti gli amanti dello sport, gli appassionati di cavalli purosangue e i dipendenti dal furore del gioco. Tra gli anziani frequentatori partono subito ingiurie nostalgiche sui tempi belli dell’ippica di una volta, ma proprio mentre un vecchio dalla voce stridula racconta dei soldi persi, a un tratto escono uno dopo l’altro cavalli e fantini, e dopo un po’ di riscaldamento si allineano tutti dietro l’autostart. Il cronista prende la parola, ma non si capisce quello che dice, si percepisce soltanto un senso di adrenalina che sale pian piano durante la corsa, un’atmosfera surriscaldata che esplode all’ultima curva con un boato e una pioggia di ingiurie ed esultanze. Ma ci sono troppe cose che non sappiamo. Alla fine della corsa, che dura meno di quattro minuti, c’è chi strappa rabbiosamente le bollette delle scommesse bestemmiando. Un paio di personaggi alle nostre spalle iniziano a urlare all’impazzata. Avevano scommesso sui primi tre piazzati e avevano vinto. «Te l’avevo detto che dovevamo puntare diecimila euro, strunz!», fa uno di loro, mentre scende in fretta le scalette e va a riscuotere al totalizzatore. Il cronista elenca i nomi dei primi tre piazzati seguiti dagli altri. Nomi di cavalli del calibro di Menelao, Italia uno, Irambo jet e Monterrey…
All’interno della sala la scena si ripete. Tutti di nuovo in attesa della prossima corsa, un vociare insistito, gli occhi puntati verso gli schermi, le quotazioni e le possibili combinazioni. Gente che conta i soldi, che grida animatamente, commentando la disfatta della corsa precedente. Stavolta sarà ancora più difficile puntare perché i cavalli in gara saranno una quindicina. Eppure decidiamo di scommettere, per capire almeno un minimo il significato di quell’adrenalina collettiva che sale a poco a poco, come chi vuole capire l’effetto di una droga allucinogena illudendosi di non rimanerci sotto. Solo una puntata. A un signore con la pancia piena e la faccia tonda chiediamo di consigliarci un cavallo buono. Quello prima dice che è difficile, poi resta in religioso silenzio per un minuto, e infine esclama: «Giocati Peppe Maisto piazzato!». Dopodiché scappa via, confondendosi tra la folla ansiosa. Tuttavia non ci ha dato chissà quale informazione sottobanco, ci ha semplicemente consigliato il cavallo favorito.
Decidiamo di puntare su Laerte vincente e su una combinazione di tre cavalli piazzati: due scommesse azzardate, direi. Meglio non svelare quanto abbiamo puntato… Saliamo sugli spalti per vedere la corsa dopo essere passati al totalizzatore, muniti di quel genere di speranza che appare come un’idea senza parola. Il cronista parte con una digressione lanciando frecciatine ai responsabili della crisi del settore, ricordando che nonostante tutto il movimento odierno di scommesse ammonta a centoquarantamila euro, alla faccia di chi li vuole male. I cavalli sono pronti, ma sono costretti a ripartire per via di una falsa partenza. Piovono bestemmie. In quel momento il cronista ribadisce il ritiro di un cavallo: era quello su cui avevamo scommesso nella combinazione vincente.
Partiamo male. La corsa è cominciata e ascoltiamo le ingiurie mischiate alla voce del cronista che esce dagli altoparlanti mentre guardiamo i cavalli correre, trottare verso la meta. Osserviamo in silenzio, in stato semiconfusionale, cercando di comprendere chi è il primo, ma restiamo attoniti, sbigottiti, senza parole, a bocca aperta. All’ultima curva, quelli che stavano seduti si alzano di botto in piedi e cominciano a urlare come dei forsennati. Hanno vinto. Noi invece abbiamo perso, e mentre ce ne usciamo delusi insieme alla folla dall’ippodromo, già pensiamo intimamente che questa è stata soltanto la prima di una lunga serie di scommesse sui cavalli. (andrea bottalico/davide schiavon)
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