La puzza di discarica ti rimane addosso. Anche se ci sei stato di passaggio, se hai camminato tra le dune di immondizia per cinque o dieci minuti, sembra che quell’odore ti si sia attaccato sui vestiti per sempre. Tra le tante discariche abusive della zona di Napoli est, ce n’è una anche a Barra, alle spalle di via Mastellone, nei pressi del campo rom. Più che nei pressi, anzi, la discarica costeggia due dei quattro lati del perimetro del campo, e il punto peggiore coincide proprio con uno dei due ingressi.
«Gli italiani dicono che siamo noi che abbiamo fatto la discarica, noi che bruciamo le cose, noi che sporchiamo», racconta Costantino, che dopo aver superato qualche (minima) diffidenza, accetta di accompagnarci nel campo. «Ma noi li vediamo la notte, quando vengono a portare i “rifiuti degli operai”, i mobili. E anche di giorno, alle sette, alle otto, quando finisce la giornata, ma noi non possiamo dire niente, sennò vanno due e tornano dieci».
Del campo rom di Barra si è parlato parecchio negli scorsi giorni,soprattutto dopo il 25 febbraio, quando attraverso un presidio – non troppo partecipato – un gruppo di cittadini ha chiesto una bonifica della zona antistante al campo. Tina, una delle organizzatrici della manifestazione, ci accompagna procedendo con noi tra le tettoie in fibra di amianto, i vestiti e le scarpe abbandonate, le pozzanghere di detersivo che le fogne non riescono a inghiottire, e topi morti grandi quanto gatti randagi. Davanti ai nostri occhi una lunga scia di rifiuti, a prima vista interminabile, probabilmente «anche più di duecento metri», come sottolinea più di una volta Salvatore, altro residente storico di via Mastellone.
Una volta entrati nel campo, insieme a Costantino, ci raccontano che ci sono circa cinquanta famiglie, quasi tutte provenienti dalla Romania, per un totale di circa quattrocento abitanti. Alcune vivevano in altri campi, come quello di Caivano o quello di Gianturco. Per esempio, la famiglia di Marco, che ha quindici anni, e parla l’italiano meglio di tutti. «È più intelligente di noi», lo prende in giro un anziano del gruppo, ma lui non ci bada, anzi è contento di aver catturato l’attenzione. Racconta che è andato a scuola fino alla quinta elementare, prima a Capodichino e poi qui a Barra, anche se i nomi delle scuole non li ricorda, confessa ridendo; e che anche lui, come i bambini che sono nel campo ora, doveva attraversare la discarica provando a non respirare.
Petre, quarantuno anni e tre figli, rumeno anche lui, per percorrere i duecento metri che separano l’ingresso del campo dalla piazzetta dove i pulmini del comune arrivano ogni giorno a recuperare i bambini per portarli a scuola, prende la macchina. I pulmini arrivano precisi, anche perché il campo è regolare, e i suoi abitanti sono tutti censiti. Nonostante tutto, però, alle richieste fatte dai cittadini per rimuovere almeno l’amianto dalla strada, la municipalità ha risposto con preventivi da quattrocentomila euro: per asfaltare la strada, bonificare la zona e così via. Anche il vicesindaco si è impegnato a fare qualcosa, dopo essere stato contattato telefonicamente durante il presidio del 25 febbraio. Passata una settimana, però, la situazione non sembra cambiare.
In ogni caso, quando il discorso va sul tecnico e a Petre (che sembra possedere un’autorità superiore agli altri) sfugge qualcosa, interviene Florin, che con noi parla solo in napoletano, e in simultanea traduce tutto ai più anziani del gruppo. «Ce vo’ una barriera, o un cancello cu ‘e chiavi, per quando dobbiamo ascì per magnare qualcosa, o i bambini devono andare a scuola. Un’entrata dove possono entrare le persone e no ‘e machine, perché sennò gli italiani vengono a scaricare qua». Anche Marco interviene: «L’altro giorno non potevamo respirare per la puzza: è venuto un camioncino e ha cominciato a scaricare latte andato a male», racconta, mentre noi immaginiamo che sarà forse stata proprio quella, la cena fatale per quegli enormi topi stecchiti.
Mentre stiamo per andar via, e stiamo salutando tutti, un trentenne in Apecar arancione arriva al campo, e Petre, Florin e gli altri ci fanno un cenno. Il suo furgoncino è pieno di legna verniciata, chiodi arrugginiti e reti metalliche. Vorrebbe scaricare nel campo, e per quindici euro chiede a Marco di accompagnarlo e bruciare tutta la sua roba. Al suo rifiuto fa un giro, forse per chiedere a qualcun altro, e dopo qualche minuto va via guardandoci storto. «Ma tornerà quando ve ne andate, o da solo o con altri. E noi se vogliamo stare quieti non possiamo dire no».
La mattinata a questo punto è terminata. La giornata è scura, il sole non c’è, ma al momento nemmeno la pioggia. Le pozzanghere che si formano all’inizio della discarica, a duecento metri dall’ingresso del campo, non sono ancora quel fiume in piena che comincia a straripare appena cadono quattro gocce, a causa dei due tombini fuori uso. C’è, però, una pozza di detersivo, e ancora un altro, grossissimo topo stecchito, pieno di insetti sopra, che fino a un’ora prima non c’era. Tratteniamo i conati, giriamo l’angolo di via Villa Bisignano – antica villa romana – e ci lasciamo dietro Costantino, Petre, Marco, la discarica abusiva e il campo rom alle spalle di via Mastellone. (rosario napolitano / riccardo rosa)
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