– Ascoltami. Siamo in telelinea. Mi senti?
– Sento freddo. [Pausa]. Hai letto il giornale?
– Il giornale, dici?
– Se intercettano qualcuno, lo… [un fruscio] è invivibile. [Silenzio improvviso].
– Ti sento male. Qui a Napoli, dovevi vedere. [Disturbo sulla telelinea]. Tu, tu mi vedi? Dove sei?
– Le condizioni atmosferiche a Torino, il tempo rovina forse… rovina la linea…
– Ma perché non…?
– Come?
– Perché la tua voce… non sento?
– [Fruscio] Qui tira vento…
– Il vento.
– Io non ti vedo più. [Si mette vicino alla finestra, guarda fuori ciecamente]. Ho incubi che [colpo sordo]. Bufera in strada…
– Il vento. Ho letto il capitolo da… [Silenzio]. Moby Dick, la caccia. Dice il capitano…
– Incubi, gli incubi nel mio subconscio. Continuo a vivere a contatto con gli altri ma [uno scrosciare] soffro, sono esperienze negative, mi capisci?
– Il vento di Achab, ricordi? “E i venti selvaggi li squassano, mi frustano come i brandelli di vele strappate [disturbo] la nave sconvolta a cui sono attaccati”.
– Qui squassa tutto, sì. Penso che sia un effetto collaterale, gli altri mi fanno paura, è irrazionale [altro silenzio] questo isolamento, e questa solitudine…
– I guardiani della salute, qui a Napoli. Dovevi vedere.
– Vorrei un pasticcino [ride], sì lo sai che mi piacciono i dolci [un mormorio] una pausa in pasticceria adesso [sospira]. Questo tempo è morto, passa, ma non cambia niente, non succede [pausa]. Spesso parlo con il comando vocale.
– I guardiani, e gli arresti. Mi senti? Io non…
– Tutta questa tecnologia, eppure guarda come siamo ridotti, che vita, questo mondo tecnologico è fragile. E tira vento qui a Torino. Soffia, soffia, uuuuuuuh.
– Ecco, diceva ancora Achab: “Un vento vile che di sicuro prima ha soffiato per corridoi e celle di prigioni e corsie d’ospedale, le ha areate e ora viene a spirare qui, innocente come un agnellino”.
– “Basta con questo vento!”.
– “È infetto. Se io fossi il vento, non soffierei più su un mondo così malvagio e miserando”, così parlò il capitano nel capitolo [fruscio]. La caccia alla balena bianca.
Trascriviamo in queste note una bozza di sceneggiatura del film incompiuto di Adolfo Casarsa, foglio cinquantacinque dalla risma in nostro possesso. Accanto all’ombra della sera che sale sul muro ci siamo domandati: chi sono i “guardiani della salute” menzionati dalla donna? Abbiamo radunato le testimonianze che seguono. Dal diario di G. Borgese, 2 maggio 1976: “I guardiani, controllori dello stato di emergenza, agenti sanitari per il contenimento del contagio – secondo la nostra lingua nuova”. E scrive Casarsa negli appunti autografi, verso del foglio quarantuno: “A capo del governo vi è una casta di tecnici esperti nella scienza medica, selezionati a numero chiuso. L’esercito presidia le strade insieme ai corpi di polizia, ma queste non sono forze dell’ordine come noi le conosciamo. Infatti non usano violenza, nemmeno contemplano la possibilità di usarla: non ce n’è bisogno. L’ordine sociale è garantito da un sottile ricatto morale. Chi si ribella, non accede all’assistenza sanitaria. I guardiani della salute sono il corpo civile che sorveglia il pubblico comportamento”. Sappiamo che Casarsa aveva girato un tentativo di rivolta individuale a Napoli.
G. Borgese, diario del 5 agosto 1976: “La scena è convincente, buona la prima ripresa. La comparsa fugge, proprio sotto il balcone di Lei, e compie un gesto folle, immorale e libero. In lontananza accorrono i guardiani. Adolfo ha sorriso – è inconsueto”. Un appunto autografo di Casarsa ritrovato a lato d’uno schizzo della scena: “Quale il risuonare della tosse? Chiedere ad Antonio”.
– Vieni? [Si sente soffiare il vento accanto alla voce]. Vieni a trovarmi, sono così solo.
– Tutto è bloccato, e poi, e poi il lavoro.
– Vuoi vedermi? Vuoi [gracchia la voce].
– Sì [pausa]. Certo. Ho bisogno di [silenzio].
– Ieri qualcuno ha abbandonato un quadro nella panchina davanti alla mia finestra, ci stava piovendo sopra, sono sceso a vedere. È una foto del mare in una cornice di legno, sembra la Grecia, eppure mi ha rimandato a Napoli. Nell’inerzia di questi giorni le immagini diverse dalla realtà creano connessioni con i nostri sogni e ricordi. È bastato il mare sotto a un cielo sereno. Il vetro della cornice riflette la realtà, ma è sfiorato dalle gocce di pioggia. In un’aria di malattia, la pioggia.
– Sì, dobbiamo ritrovarci. Lasciamo le nostre città. Parti anche tu oltre i blocchi. Ci vedremo a [rumore confuso]. (note a cura dell’Assembramento di Ricerca Cinematografica)