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napoli
12 Settembre 2010

Il sabato dei morti viventi

Andrea Bottalico
(archivio disegni napolimonitor)

Stavolta non è stato come il diciassette agosto scorso, quando Vincenzo Sisto è morto mentre effettuava lavori di manutenzione a un montacarichi di un supermercato a Frattamaggiore. Agosto è un mese infame per queste cose. Perfino il supermercato nel quale Sisto stava lavorando era chiuso per ferie. E poi mettici l’età, sessantaquattro anni sono troppi: la morte sul lavoro di Vincenzo Sisto non ha fatto alcuna notizia.

Questa volta a morire sono stati tre operai all’interno di una cisterna della fabbrica chimico farmaceutica DSM, a Capua. Giuseppe Cecere, cinquant’anni di Capua, Antonio Di Matteo, sessantatre anni di Macerata Campania, Vincenzo Musso, quarantatre anni di Casoria. I pompieri hanno impiegato tre ore per tirarli fuori. Avevano le facce bluastre, cianotiche. Sono morti asfissiati senza avere neanche il tempo di accorgersene.

C’è una folla silenziosa che aspetta all’uscita della fabbrica, comuni abitanti della zona, operai che hanno finito da poco il turno e che sono ritornati per capire cos’è successo, giornalisti locali e nazionali. Cercano di guardare al di là dei cancelli e nel frattempo s’interrogano a vicenda sull’accaduto. Qualcuno mormora, qualcun altro trattiene le lacrime strette nei denti. Ma cosa è successo? «Non lo so, io non so niente domandatelo a loro». Loro sarebbero i giornalisti.

Certi operai hanno l’aria di sapere la ragione di queste morti, dicono che ogni giorno devono farsi il segno della croce prima di entrare nello stabilimento ma non fanno altre dichiarazioni, parlano tra di loro a bassa voce. Un operaio esce dallo stabilimento piangendo. Una signora si dimena con un carabiniere perché vuole sapere a tutti i costi in quale ospedale li hanno mandati.

Lo stabilimento è un groviglio di cisterne alte una decina di metri, scale antincendio, silos e tubature che si arrotolano sulle nostre teste e ai lati di uno stradone che porta fino al settore di fermentazione, laddove è avvenuta la disgrazia. Un fischio nell’orecchio costante trapana i timpani. C’è un cartellone all’entrata, indica la “Situazione infortuni anno 2010”. Sui serbatoi appaiono nomi di sostanze acide, valvole di sfogo, bombole, le segnaletiche indicano i vari settori di distillazione e derivati. Lo stabilimento è piccolo, con l’indotto saranno un trecento lavoratori. I tre operai morti erano dipendenti di una ditta esterna di Afragola. Sono già stati in questo stabilimento, certi operai fuori ai cancelli li conoscevano bene.

Le voci si mescolano alle informazioni frammentarie e incerte al punto da non capire dove sta la verità e a chi bisogna prestare ascolto. Come sono morti? Esalazioni, dicono. Sì, ma di che? Nessuno risponde. Lo dirà l’autopsia. A conti fatti, l’impianto del reparto di fermentazione era in manutenzione da un po’ di tempo, dunque era stato svuotato e bonificato prima che gli operai potessero entrare per montare il ponteggio. Cosa conteneva all’interno? Gli operai non vogliono dirlo, c’è chi dice sostanze naturali, un’affermazione che suona strana in mezzo a quello scenario. A ogni modo, la cisterna fu svuotata tempo fa e gli operai della ditta di Afragola (non si sa se fossero gli stessi operai morti) vi montarono il ponteggio all’interno senza alcun problema. Stavolta gli operai sono morti sul colpo. Non appena sono entrati nella cisterna, i due operai hanno perso i sensi e sono spirati nel giro di pochi istanti. Uno dei tre, rimasto fuori, è sceso all’interno per prestare soccorso ai due compagni, ma non ha avuto neanche il tempo di capire che era già morto. (andrea bottalico)

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