Ci sono più di cento persone nell’aula Matteo Ripa di Palazzo Giusso, tanta gente non si vedeva dall’assemblea successiva al 15 ottobre. L’idea è quella di costruire un ponte tra le lotte dei lavoratori e quelle degli studenti. Forse, più semplicemente, di mettere in contatto i lavoratori, di oggi e di domani, se è vero che, come dice una studentessa, «anche noi tra qualche anno subiremo lo stesso trattamento». Le sigle sul manifesto sono addirittura diciassette.
Il primo a intervenire è un militante iscritto alla Fiom, lavoratore dell’Alenia aeronautica di Casoria. Come altri più tardi, esprime grande sfiducia verso i sindacati: l’Alenia ha chiuso proprio ieri l’accordo nazionale sul piano industriale: l’azienda di Casoria dovrebbe chiudere, la sede legale sarà trasferita nel varesotto. Costo sociale dell’operazione: almeno sette-ottocento esuberi. «Ci troviamo di fronte a un problema di democrazia tra i rappresentati e i rappresentanti, non è possibile mettere in campo una lotta dalla buona visibilità mediatica e, un attimo dopo, decidere ai tavoli di Roma».
Non è migliore la situazione dei lavoratori dell’Irisbus di Grottaminarda. Hanno dovuto organizzare la protesta senza l’aiuto del sindacato, dopo il 20 giugno, quando si è stilato un accordo tra Fiat e tutti i sindacati in cui si decretava la chiusura dello stabilimento. L’accordo doveva restare segreto, spiega uno dei lavoratori, «ma qualche tempo dopo, il Mattino ha pubblicato la notizia. A quel punto il consiglio di fabbrica non è più riuscito a gestire la cosa: un giovane lavoratore si è incatenato ai cancelli, e da quel momento è iniziata la nostra battaglia, con l’assenza completa del sindacato. Abbiamo fatto il primo pullman, siamo andati davanti al parlamento, abbiamo dormito là davanti per ottenere ascolto. Ma il lavoro ci sarebbe. Il parco autobus è obsoleto, pericoloso, inquinante. Ci sono diciottomila veicoli da mettere fuori legge. Abbiamo anche pensato di fare una denuncia a de Magistris per non far circolare questi autobus a Napoli. E nel 2016 dovremmo rinnovare il parco con trentamila vetture».
Durante gli scioperi all’Irisbus, gli operai hanno organizzato dei picchetti ai cancelli, ai quali la Fiat ha risposto con lettere di sospensione che nascondevano nove licenziamenti. Se l’accordo con l’imprenditore Di Risio, al quale il sindacato si è opposto fermamente, non era l’ideale, quello siglato oggi con la cinese Amsia Motors è anche peggiore, perché l’azienda è obbligata ad acquisire lo stabilimento, non necessariamente i lavoratori che ci stanno dentro.
I lavoratori del trasporto pubblico sono reduci da dieci giorni di scioperi e proteste: «Abbiamo causato una serie di danni ai cittadini e ce ne dispiace, ma era inevitabile: siamo riusciti a trascinare, nel caso di Sepsa, addirittura i colletti bianchi, che negli ultimi ventitre anni non si erano mai mossi dalle poltrone. Abbiamo paralizzato la città col blocco di autobus e treni, partendo dal problema della mancanza degli stipendi, ma opponendoci anche alla privatizzazione del settore. Il 2 gennaio saranno fuse e messe a gara Sepsa, Circumvesuviana e Metrocampania Nord-est in un’unica azienda, EAM ferro. Circolano voci di interessi di Montezemolo e addirittura della nazionalizzata francese RATP». Se inoltre, come osserva il lavoratore della Sepsa, la Circumvesuviana, che serve tratte piuttosto remunerative, potrebbe essere interessante per le grandi aziende, gli altri trasporti andrebbero verosimilmente a finire in mano ad aziende più piccole, con ulteriore dequalificazione del servizio, aumento dei prezzi, diminuzione delle garanzie per i lavoratori.
Mimmo, iscritto Fiom, descrive la situazione alla Fiat di Pomigliano: «Nel reparto stampaggio, uno dei pochi dove si continua a lavorare, è in atto una forte repressione. Gli altri lavorano, mentre a chi è rimasto iscritto alla Fiom viene chiesto di cancellarsi dal sindacato per riprendere. Il mio contratto “Nuova Panda”, è un contratto a progetto: seppure riuscissi a rientrare in fabbrica, dovrei firmarne uno nuovo dopo quattro anni. Ma presto saremo tutti a progetto. Il progetto vero, è quello di sfruttarci fino all’osso».
Poi ci sono i lavoratori del museo Madre, da un anno in cassa integrazione, che sono riusciti in parte a rientrare a lavoro. Sembra che chi ha ripreso a lavorare non smetta di sostenere i venti con contratto di apprendistato, che non sono rientrati, e a dicembre non avranno nemmeno più la cassa integrazione. Così come la Telecom, che come spiega Antonio, sta imparando dallo stile Fiat: «Ha fatto licenziare dipendenti per poi riassumerli con contratti meno vantaggiosi. Da quando è stata privatizzata ha perso circa la metà dei posti di lavoro. Ci si è difesi attraverso il contratto di solidarietà, cioè accettando di lavorare solo tre settimane al mese, pur di far lavorare tutti».
Ancora, prende la parola Enzo della Magneti Marelli, attivista Fiom, che mette al centro l’insufficienza del sindacato. «Se c’è una nota positiva in questo nuovo malessere è che i lavoratori lontani dalla politica e mai sindacalizzati si stanno avvicinando loro malgrado alla lotta». Arianna, precaria della scuola, ricorda come il settore dell’istruzione stia ancora scontando gli effetti della legge 133, che prevedeva, già nel 2008, otto miliardi di tagli. Genny, operatore sociale, parla di seicentocinquantamila operatori sul territorio nazionale, l’ottantacinque per cento dei quali ha un contratto precario. In Campania sono circa ventimila e hanno accumulato duecento milioni di arretrati dall’amministrazione comunale per lavori già fatti, ai quali se ne sommano trecento della Regione.
Dopo l’assemblea, infine, una cena sociale per sostenere la cassa di resistenza dei lavoratori Irisbus. L’iniziativa si chiama Magnammoce ‘o padrone traduzione più saporita dello slogan internazionale Eat the rich. A completare l’atmosfera mangereccia, un’eterodossa bandiera con falce e forchetta sulla parete. Seppure non sembra che tutto questo possa finire a tarallucci e vino. (giulia beat)