Da Napoli Monitor n. 43, ottobre 2011
È stato presentato alla mostra del cinema di Venezia il film Là-bas – Educazione criminale, scritto e diretto da Guido Lombardi, prodotto dalla napoletana Figli del Bronx, liberamente ispirato alla strage di Castel Volturno del 18 settembre 2008.
Il protagonista si chiama Yssuf ed è un artista. È arrivato in Italia su invito dello zio con la speranza di trovare lavoro come artigiano e di riuscire a mettere da parte i soldi necessari per l’acquisto di una costosa macchina che produca le sue opere d’arte. Una volta giunto a Castel Volturno, Yssouf si accorge che la realtà è ben diversa. La casa dove trova ospitalità è degradata e i suoi abitanti sopravvivono vendendo fazzoletti ai semafori o suonando musica per strada. Suo zio, Moses, invece è in Italia da molti anni, sa come va il mondo, e ha messo in piedi un’organizzazione dedita al traffico internazionale di droga.
Yssouf, dopo una prima esperienza di lavoro in un autolavaggio, dove viene sfruttato e sottopagato, si ritroverà anche lui coinvolto in traffici illeciti. Suo zio gli chiederà di aiutarlo a nascondere il corpo di una donna- corriere morta a causa delle rottura di un ovulo che portava con sé e che conteneva droga. Inizia così la carriera criminale di Yssouf, che terminerà con la fuga dall’agguato dei criminali locali che uccideranno lo zio e sei vittime innocenti, colpevoli solo di frequentare lo stesso luogo del clan di Moses.
A Venezia il film ha ottenuto un buon successo, vincendo il Premio Venezia Opera Prima e il Premio del pubblico. L’opera prima di Lombardi ha riscosso un giudizio positivo anche dalla critica, che al di là del suo valore cinematografico ne ha apprezzato il valore di testimonianza civile.
Eppure, quando il 17 settembre, il giorno prima del terzo anniversario della strage, è stato presentato in anteprima nazionale a Castel Volturno, Là-bas non ha riscosso lo stesso entusiasmo registrato a Venezia. Anzi, una volta terminata la proiezione ci sono stati momenti di tensione tra il produttore e una parte del pubblico che non aveva gradito l’inserimento della strage all’interno del film. Secondo alcuni, infatti, il film usa in modo strumentale i fatti accaduti nel 2008 e rischia di danneggiare il lavoro fatto in questi anni anche dalle associazioni del territorio per far emergere la verità sulle circostanze e sulle motivazioni dell’eccidio.
Il regista ha dichiarato che Là-bas è stato scritto nel 2005, e nel 2008, dopo la strage, è stato riadattato per inserire nella trama anche l’eccidio. A tal fine Lombardi ha affermato di essersi letto gli atti processuali e di avere chiesto aiuto a una giornalista professionista. Nonostante ciò il racconto del film si discosta molto dalla realtà dei fatti. In Là-bas le motivazioni della strage sono da ricercare nel contrasto tra due bande criminali, da un lato quella locale, che chiede agli africani di pagare una tangente sui guadagni provenienti dallo spaccio di droga, dall’altro quella africana, che gestisce il traffico di stupefacenti ma non ha alcuna intenzione di sottostare al diktat dei camorristi locali. La magistratura ha appurato che i sei ragazzi ghanesi uccisi non erano spacciatori e non avevano alcun legame con la criminalità, e che il commando guidato da Giuseppe Setola, luogotenente del clan dei Casalesi, agì “allo scopo di incutere terrore e con l’obiettivo di uccidere le vittime in quanto persone di colore, ritenute inferiori e diverse”. Motivazione che è stata poi confermata dalla sentenza di primo grado emessa dalla Prima Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha condannato all’ergastolo gli esecutori materiali della strage.
Là-bas dunque mischia finzione e realtà, lo fa però nel modo peggiore, inserendo nella sua trama in modo distorto un episodio tragico e controverso, sul quale i razzisti in servizio permanente, a Castel Volturno come altrove, avevano già provveduto a gettare ombre e maligne allusioni. Non a caso, subito dopo l’eccidio, la tesi del regolamento di conti tra bande rivali aveva causato la rivolta degli immigrati con un corteo spontaneo lungo la Domiziana.
Il film non dà conto neppure della complessa realtà del litorale domitio, ma perpetua il cliché che identifica l’immigrato con il trafficante di droga o con il giovane lavoratore che attende il caporale alle rotonde o con la prostituta che passeggia lungo le strade provinciali. Làbas descrive una comunità che vive in un “non luogo” e abita case di fortuna, in cui l’unica via per smettere di essere un immigrato è quella di diventare un “avventuriero”, come si autodefinisce lo zio criminale di Yssouf.
Per fortuna, a Castel Volturno non c’è solo questo. Nessuno vuole negare l’esistenza delle organizzazioni criminali. Eppure, la comunità africana in questi ultimi anni è cambiata radicalmente. In passato il litorale era un luogo di transito, e ci si stava fino a quando non si riusciva a ottenere il permesso di soggiorno, poi subito via verso una meta migliore. Ora invece in molti hanno messo radici. Alle famiglie composte dagli immigrati storici, arrivati a Castel Volturno negli anni Ottanta e che ora hanno figli maggiorenni che frequentano le università di Napoli e Aversa, si sono aggiunte le giovani coppie formate negli ultimi anni, con uno o più figli.
Gli africani hanno letteralmente ridato vita a un insieme di insediamenti turistici, frutto della speculazione edilizia negli anni del boom economico, poi abbandonati dagli italiani con l’arrivo dei primi sfollati del dopo terremoto. In questi spazi periferici, gli africani hanno aperto decine di piccoli commerci – supermercati, sartorie, bar etnici, parrucchieri e barbieri (sul luogo della strage affacciavano tre botteghe tenute da africani: un barbiere, un sarto e una parrucchiera) – e numerosi luoghi di culto. Oltre a quelli pubblici ci sono altrettanti spazi collettivi informali e una diffusa rete di solidarietà interna che dà assistenza alle giovani mamme con figli, ai malati e a chi è senza un lavoro e ha bisogno di alimenti e di un alloggio a basso costo.
Intorno a questa realtà variegata, alcune associazioni di italiani lavorano da anni per sostenere gli africani e far emergere ciò che è nascosto per paura o per abbandono. Gli insediamenti lungo la costa, che continuano a essere pensati dai nostri politici come una risorsa turistica, andrebbero trasformati in veri e propri quartieri di una vasta area urbana che è la città metropolitana, prendendo atto della trasformazione in atto da anni.
Ai tanti artisti benintenzionati nessuno chiede di edulcorare la rappresentazione di questo contraddittorio microcosmo, ma piuttosto di assumersi maggiori responsabilità al momento di piegare le tragedie di esseri umani in carne e ossa alle loro esigenze creative e commerciali. (salvatore porcaro)